Oro che cola: la mania dilagante del gold food
Dal risotto oro e zafferano di Gualtiero Marchesi al Glamburger con caviale e foglia d’oro nato a Londra, ecco tutte le declinazioni foodie del gold. Che si pagano, ovviamente, a peso d’oro
Il mattino ha l’oro in bocca, letteralmente parlando. Anzi: letteralmente mangiando.
La colazione più cool che ci si possa concedere a New York, ad esempio, annovera infatti leccornie come il bagel farcito di foglie d’oro dell’Hotel Westin, vero must del brunch domenicale della crème de la crème targata Grande Mela.
La stessa crème de la crème che non si accontenta di un po’ di panna con cannella o cacao sul cappuccino ma lo esige con scaglie d’oro a mo’ di guarnizione, per la modica cifra di 25 dollari a tazza.
Un boccone ben più amaro da mandare giù è il costo del bagel dorato di cui sopra: 1.000 dollari, non poco per la ciambella farcita con foglia d’oro e crema di formaggio al tartufo creata dallo chef Frank Tujague.
L’ultima mania che sta contagiando i foodie dalle papille gustative più snob è proprio quella di mangiare manicaretti preparati con oro alimentare. Un business che per l’alta cucina equivale a grasso che cola. O meglio: oro che cola. Direttamente nelle casse dei ristoranti.
Nuove tipologie di caveau hanno aperto i battenti per accogliere i lingotti: la dispensa e il frigorifero, i due tabernacoli laici in cui si conserva il cibo per il corpo che, tuttavia, spesso riesce a dare un bel po’ d’animo anche allo spirito.
Anche il pranzo ha il suo menù d’oro da leccarsi i baffi. Sempre a New York, l’hamburger del 666 Burger Truck è tra i più costosi al mondo: 666 dollari (al diavolo l’avarizia!) giustificati in parte da materie prime che si pagano a peso d’oro, primo tra tutti la gold leaf che avvolge il medaglione di manzo Kobe (prelibatezza giapponese) insaporito dal salgemma dell’Himalaya, dal caviale, dal foie gras, dall’aragosta e dal tartufo, per non farsi mancare niente.
In realtà ci manca solo che allo chef cada un dente d’oro sul panino e potreste pagarci una rata del mutuo.
Ma questo “piatto ricco mi ci ficco” non è il più costoso hamburger del globo, il cui primato va al Glamburger del bar-ristorante Honky Tonk di Londra. Qui vi serviranno 1.100 sterline (1.200 euro circa) per farvi servire la creazione dello chef Chris Large a base di manzo Kobe tritato con carne di cervo neozelandese, impreziosito da un cuore di brie al tartufo nero, con un po’ di astice canadese in salsa di zafferano iraniano, un pugnetto di caviale Beluga e, dulcis in fundo, un uovo d’anatra affumicato, il tutto rivestito da una muta degna di uno sceicco: la foglia d’oro, appunto.
Roba che avanzarne un boccone è da pazzi, così come lo sarebbe farsi fare la doggy bag e portare gli avanzi al cane. Nemmeno il cane a sei zampe della Eni potrebbe permettersi una pappa così prezzolata.
Chi volesse fare impallidire la nonna, invece, la porti al ristorante del Mirage Hotel and Casino di Las Vegas ad assaggiare la lasagna che al posto degli avanzi (con cui solitamente le nonne nostrane preparano questo piatto) ingloba in sé manzo Kobe, prosciutto iberico, prosciutto di Parma, parmigiano reggiano, mozzarella di bufala e funghi porcini con spolverata di tartufo, guarnizione di diamanti bianchi e foglia d’oro da 23 carati.
Le nonne milanesi, invece, sono da portare nel ristorante Berger Strasse di Dusseldorf per far loro assaggiare la Golden Kaiser Schnitzel, una cotoletta contornata di tartufo bianco e foglie d’oro che costa più di 200 euro.
Ma per fare veramente felice la nonna meneghina, prenotate un tavolo al ristorante Marchesi alla Scala di Milano e fatele assaggiare il risotto oro e zafferano di Gualtiero Marchesi.
Chi volesse qualcosa di più “informale”, c’è la pizza firmata dallo chef Domenico Crolla.
Con aragosta marinata nel cognac, caviale allo champagne, pomodoro, salmone affumicato, carne di cervo, prosciutto di Parma, aceto balsamico e le immancabili scaglie d’oro 24 carati, questa pizza non vi farà sfigurare nemmeno se la scegliete per il Cenone di Capodanno.
Per la cena in generale, di Capodanno o degli altri 364 giorni, le declinazioni food dell’oro predilette dai palati più gold addict sono il gold caviar e il gold sushi.
Il primo, a dispetto del nome, non ha nulla di derivato animale quindi è perfetto anche per i vegani. Lo chiamano “caviale” per via della forma delle palline auree (che si presentano come piccole sfere molto simili a quelle del piatto russo per eccellenza), realizzate con limone, vino bianco, zucchero e oro.
Il gold sushi è invece la trovata dello chef giapponese Angelito Araneta Jr. che ha avuto l’intuizione di impreziosire i bocconi di riso e pesce sostituendo alla solita alga una foglia d’oro, farcita con salmone norvegese, fois gras e zafferano selvatico a cui viene poi aggiunta una ciliegina sulla torta davvero esclusiva: perla o diamante, a seconda della scelta basic oppure premium del piatto.
Il prezzo è riservato ma, considerati gli ingredienti, se lo possono permettere soltanto i portafogli che pesano come il manzo Kobe. L’animale vivo, s’intende.
Ma come si fa a non farsi andare di traverso tutto quest’oro pensando allo sperpero economico? L’unico modo è darsi al vino e far sì che in tavola non sia solo l’oro quello che brilla.
Per essere brilli al punto giusto e non struggersi all’idea dell’arrivo del conto salato, esiste anche la carta dei vini che conta tante etichette con un bouquet dal sentore d’odorato dorato.
Quella che è sulla bocca di tutti è la Grand Cuvee 24 carati, uno spumante prodotto in California mettendo in infusione foglie d’oro e scaglie 24 carati. E con un prezzo abbordabilissimo: 31 dollari a bottiglia.
Non bisogna esagerare, però, altrimenti l’indomani mattina si avrà sì l’oro in bocca, ma in maniera così impastata e sgradevole da far perdere significato al proverbio. E, peggio ancora, da fare perdere senso a tutto ciò che avete speso.