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FaceApp mania: perché vogliamo tutti sapere come saremo tra quarant’anni?

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“Bisognerebbe proibire la chirurgia cosmetica e considerare il lifting un crimine contro l’umanità”, scriveva il filosofo e psicanalista statunitense James Hillman. Alle soglie del nuovo millennio, nell’opera La forza del carattere, affrontava il tema della vecchiaia cercando di svincolarlo da una prospettiva puramente fisiologica.

In una società dove tutti sono ossessionati dal dover essere veloci, belli e competitivi, invecchiare fa paura: la biologia ci insegna che all’avanzare dell’età corrisponde il lento e inesorabile sfiorire del corpo, che invecchiando ci si avvicina alla morte.

E dalla paura ci si difende mascherandosi, nascondendo i segni del tempo che passa, offrendo al mondo un volto sempre giovane (o quasi) nella speranza di poter vivere meglio e più a lungo. Qui entra in gioco la chirurgia plastica condannata dallo psicologo di Atlantic City. Chissà cosa ne direbbe del nuovo trend che spopola sui social, dove vip e persone comuni da giorni si sfidano a colpi di selfie modificati via FaceApp per mostrare ai naviganti del web come sarà il loro viso tra 40anni.

“Invecchiando io rivelo il mio carattere, non la mia morte”, diceva ancora Hillman.

Umberto Galimberti in più occasioni ha commentato questa frase chiave del pensiero del collega americano sostenendo che “per carattere devo pensare a ciò che ha plasmato la mia faccia, che si chiama ‘faccia’ perché la ‘faccio’ proprio io, con le abitudini contratte nella vita, le amicizie che ho frequentato, la peculiarità che mi sono dato, le ambizioni che ho inseguito, gli amori che ho incontrato e che ho sognato, i figli che ho generato”.

Allora cosa c’è dietro le centinaia di migliaia di immagini con hashtag #faceapp che stanno invadendo la rete? Forse pura curiosità, un passatempo che ruba qualche minuto e che accomuna illustri sconosciuti a influencer con decine di milioni di follower come Chiara Ferragni. Forse c’è il tentativo di esorcizzare la paura di invecchiare, ritrovando in un volto rugoso lo sguardo di un istante immortalato in gioventù. Forse è solo un modo di ammettere che abbiamo voglia di invecchiare, di sapere che per noi ci sarà un ‘domani’ e tanti altri giorni di vita ci attendono da qui ai prossimi anni. O forse aveva ragione Totò: “La vecchiaia è l’unica cura per l’acne giovanile”.

È improbabile che una foto modificata con lo smartphone ci aiuti a rivelare il nostro carattere nel senso auspicato da Hillman, ma una cosa è certa: Andrea Camilleri è morto oggi, 17 luglio, all’ospedale Santo Spirito di Roma. Aveva 93 anni. Da tempo i suoi occhi non vedevano più: anche per questo durante gli ultimi impegni teatrali interpretava Tiresia, l’indovino omerico che – proprio perché cieco – sa predire il futuro, indicando ad Ulisse la via del ritorno.

Camilleri è famoso in tutto il mondo come scrittore. Non tutti sanno, però, che il suo primo libro – Il corso delle cose – è stato pubblicato nel 1978, quando lui aveva già più di 50 anni. E il successo è arrivato molto dopo, con le avventure del Commissario Montalbano: l’autore stava per spegnere 70 candeline quando ha dato alla luce il primo giallo ambientato a Vigata, La forma dell’acqua. Non so se si sia mai preoccupato di quante rughe attraversassero il suo volto, ma era la prova vivente che invecchiare non riserva solo rotture di cabasisi.

Andrea Camilleri, lo scrittore siciliano che ha dato vita a Montalbano
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