Effetto Zeigarnik: cosa lega amanti feriti, procrastinatori e fan delle serie tv
La psicoterapeuta Giovanna Celia spiega a TPI il motivo per cui certi ex non si dimenticano, l’ansia sale se si rimanda un impegno, l’autostima a volte è troppo bassa. E si canticchia sempre lo stesso ritornello
Effetto Zeigarnik | Perché non dimentico il mio ex
“Una vita senza amore è come un anno senza estate”, recita un proverbio svedese. Forse è solo uno dei tanti aforismi in cui si incappa navigando sul web, ma l’estate è la stagione per antonomasia delle nuove storie d’amore: che siano romantiche o passionali, fugaci o durature, poco cambia. Sotto il sole d’agosto, prendersi una cotta sembra più facile. Eppure qualcuno non riesce a smettere di pensare all’ex nemmeno in vacanza: rimane ostaggio di momenti che appartengono a un passato distante, in compagnia di partner ormai lontani o sconosciuti.
Nei manuali di psicologia, per giustificare questo atteggiamento si fa riferimento al cosiddetto ‘effetto Zeigarnik’: un automatismo del cervello che accomuna gli amanti nostalgici, i procrastinatori seriali e i fan sfegatati delle serie tv senza fine. Ma anche chi fatica a trovare la parola ‘autostima’ nel suo vocabolario.
TPI ne ha parlato con la dottoressa Giovanna Celia, presidente della Società italiana di psicoterapia integrata e strategica (Sipis).
È un meccanismo involontario: spiega, dal punto di vista cognitivo, perché la nostra mente archivi determinate esperienze e ne mantenga altre sempre vivide, come un file aperto in background sul computer. Prende il nome dalla psicologa lituana Bluma Zeigarnik, che lo ha scoperto: una sera, mentre cenava al ristorante, ha notato come il cameriere ricordasse in modo impeccabile le comande aperte – quelle ancora da portare in tavola – e dimenticasse subito quelle dei clienti già serviti.
La mente, come il corpo, è votata alla conservazione, alla tutela. Siamo programmati per portare a termine un compito. Così la nostra testa, se percepisce che una questione è incompiuta, continua a mantenere alta l’attenzione a riguardo. A scuola o al lavoro è un processo molto utile, ci rende performanti. Ma gioca un ruolo importante anche nei problemi di cuore: se un rapporto di coppia si chiude in modo repentino o incomprensibile per chi viene lasciato, l’effetto Zeigarnik lo inserisce tra le attività in sospeso. Ecco perché si fatica a levarsi dalla testa una vecchia fiamma.
Sotto il profilo cognitivo, si resta intrappolati in un’esperienza a cui manca un pezzo. Ma non basta a chiarire il fenomeno. Dal punto di vista affettivo, si crea un vuoto: in un fiato si interrompe qualcosa che ci dava soddisfazione, senza avere avuto il tempo di colmare questo spazio. È la ragione per cui la cura deve agire su due livelli.
Tutti chiedono all’ex una spiegazione. Ma non sempre questa arriva, è veritiera o esaustiva. Soprattutto se ci troviamo di fronte a un narcisista e ne siamo dipendenti. Che fare, allora? Cerchiamo in noi il perché dell’accaduto, passiamo da una posizione passiva a un ruolo attivo nella vicenda. Troviamo motivazioni ragionevoli ai nostri occhi: poco importa che corrispondano a verità. Conta sbloccarsi, uscire dall’impasse cognitiva.
Dal punto di vista affettivo, invece, dobbiamo imparare a riempire il vuoto generato dall’assenza dell’altro. Quando amiamo qualcuno, concediamo a lui o a lei il potere di incidere sul nostro umore e sulle nostre emozioni: è una disponibilità affettiva che va interrotta appena veniamo lasciati. Bisogna imparare a bastare a se stessi, a badare a se stessi.
Un motto cognitivo, “Datti una spiegazione!”. E uno affettivo: “Concedi fiducia solo se c’è reciprocità”.
Esatto. Però anziché essere condizionati dalla regia o dal palinsesto, impariamo a stabilire in prima persona il finale del film. E poi chiediamoci: “Aspetto il sequel o così rischio di mettere in stand-by la mia vita?”.
Zeigarnik | Poca autostima
No, infatti. Influisce anche sull’autostima. Chi ha poca considerazione di sé, tende a ricordare gli episodi del passato che per lui hanno rappresentato un insuccesso. Critiche e fallimenti si fissano nella memoria, mentre si rimuove con facilità ciò che è stato gratificante.
Sì, ma anche il fallimento dovrebbe essere un’esperienza compiuta, da superare. Il problema, per chi ha scarsa autostima, è la selettività affettiva. Ribadisco: l’effetto Zeigarnik riguarda la dimensione cognitiva, ma la mente è governata anche da emozioni. Se non mi riconosco come un individuo di valore, riterrò che i miei sbagli mi rappresentino di più.
La comprensione razionale di un fenomeno è importante, ma il magma emotivo che lo circonda è qualcosa di viscerale. Per reagire consiglio un esercizio: tenere il diario dei successi. Vai indietro con la memoria e segna ogni volta che ricordi di aver ricevuto un complimento, da quando eri bambino fino a oggi.
“Ricordo quella volta in cui all’asilo il mio disegno era il più bello e la maestra mi disse: ‘Bravo!’”, oppure “Il ragazzo del bar mi ha portato il caffè e ha sorriso: ‘Come è elegante oggi, dottoressa!’”. Ogni dettaglio fa la differenza, soprattutto quelli microscopici. Poca autostima porta ad attribuire i grandi successi al caso o all’aiuto altrui, ma imputare ad altri il merito di cose piccole è più difficile.
Quando ho scarsa fiducia in me, è immediato pensare che le cose di poco conto dipendano da me. Ma se il barista è sempre gentile, il disegno piaceva, il capo mi ha concesso le ferie mentre a un collega le ha negate… Allora non sono poi così male, no? Riconoscere cose di questo tipo può significare moltissimo.
Effetto Zeigarnik | Ansia e confusione sul lavoro
L’ansia ha diverse funzioni. È utile, ci rende efficienti. Ma se carichiamo eccessivamente un compito di valore affettivo, rischiamo che l’ansia cresca al punto da immobilizzarci. Allora anziché concentrarci, tendiamo a fuggire da ciò che ci mette alla prova. Più un impegno si rimanda è più il carico affettivo si ingigantisce. Ancora una volta l’effetto Zeigarnik conta, le emozioni altrettanto.
Sì. Così come nelle soap opera gli autori fanno leva sull’effetto Zeigarnik per mantenerci incollati al televisore puntata dopo puntata. La suspance sul finale serve a questo. E nel quotidiano si dimostra uno stratagemma cognitivo ancora più pervasivo. Immaginiamoci in ufficio: si lavora da desktop, ma intanto lo smartphone ci tempesta con notifiche di Facebook, Telegram, Whatsapp.
C’è l’illusione di essere multitasking, ma l’attenzione si disperde su troppi fronti in contemporanea, così ci riveliamo meno efficienti di quanto non saremmo se portassimo a termine le stesse azioni una per volta. Non è questione di velocità. Le si potrebbe fare di fretta rendendo comunque di più. Invece siamo sommersi da stimoli visivi e sonori che sollecitano il nostro cervello e ci distraggono: siamo costantemente confusi.
Cominciamo col disattivare le notifiche. Decidiamo noi quando aprire un’app per controllare i nuovi messaggi: saremo più concentrati su quello che stiamo facendo. E faremo meno errori.