Arancino o arancina?
L'Accademia della Crusca ha parlato: si dice al maschile, arancino.
Non c’è niente che divide la Sicilia come il quesito che riguarda una delle specialità più famose dell’isola: si dice arancino o arancina?
Nella parte occidentale della regione sono sicuri che la dicitura giusta sia quella al femminile, ma per chi vive nella zona orientale non ci sono dubbi: si dice arancino.
Ma la discussione non si ferma entro i confini siculi: in ogni lato dello stivale, quando si fa riferimento al piccolo timballo di riso si ha sempre quello filino di incertezza su come chiamarlo.
A rispondere alla questione, a dissipare ogni dubbio, è una delle voci più autorevoli della lingua italiana: l’Accademia della Crusca.
Tutti sanno – anche solo per intuito – che il nome del succulento piccolo timballo di riso si rifà a uno dei frutti che meglio rappresenta questa terra: l’arancia.
Per un semplice e banale sillogismo si potrebbe pensare quindi che il genere corretto sia quello femminile: arancina. Per la gioia dei palermitani. Ma non è così semplice.
Con la “a”
Ricominciamo dall’arancia, il frutto. Le varianti, al femminile e al maschile, per indicare l’agrume che abbonda in Sicilia coesistono di fatto.
Il femminile viene recepito, però, come più corretto. Questo perché, come sottolineato, per differenziare gli alberi dai frutti si ricorre proprio all’opposizione di genere. E quindi il cicliegio sarà l’albero e la ciliegia sarà il frutto, il pesco sarà l’albero e la pesca il frutto. E via discorrendo.
E così i palermitani hanno assorbito le caratteristiche della lingua standard adottando il femminile. Usando il femminile di conseguenza anche per indicare la famosa crocchetta di riso.
Con la “o”
Come riportano tutti i dizionari siciliani, però, il frutto in questione in dialetto siciliano non viene chiamato “arancia”, ma resta al maschile, come l’albero. Il frutto dell’arancio è “aranciu” e nell’italiano regionale diventa arancio.
Il diminutivo, “piccola arancia”, diventa “arancinu”, quindi nell’italiano regionale si traduce di fatto in “arancino”. Ecco il perché dell’utilizzo del nome maschile per indicare il supplì di riso dorato.
I dizionari dialettali, i dizionari italiani si fermano quindi ad “arancino” e questa è la forma che adotta anche il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali nella lista dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali italiani (arancini di riso: Regione Siciliana, Prodotti della gastronomia, 188).
Ma non solo: a confermare tale versione è un’altra autorevolissima voce siciliana, quella di Motalbano. Andrea Camilleri, infatti, titola uno dei gialli del commissario più famoso d’Italia “Gli arancini di Montalbano”.
E si fida di Montalbano anche il presidente onorario dell’Accademia della Crusca, Francesco Sabatini. Il linguista, filologo, lessicografo è convinto, convintissimo che ci sia una sola versione. E cioè arancino.
E torniamo alla teoria del diminutivo. È vero che l’arancia è femminile, ma è vero anche che i diminutivi sono sempre al maschile – in siciliano, come in italiano. Quindi arancia sarà arancino.
“L’arancia è femminile, ma la trasformazione in un’altra cosa dovrebbe far cambiare il genere grammaticale”, afferma Sabatini.
Certo, i palermitani non si piegheranno mai al nazismo grammaticale della lingua italiana e continueranno a chiamare i loro timballini di riso “arancina”.
Ma che importa, in fondo. Come dice lo stesso Sabatini: “Arancino o arancina? Mangio solo quelli buoni”.