“Possiamo comprare tutto, non l’amore”: la lezione di Bauman sulle relazioni moderne
Schiavi del sistema, viviamo nella mera illusione di poterlo padroneggiare. Instabili economicamente, lavorativamente, emotivamente, viviamo nella perenne incertezza. L'articolo di Frammenti Rivista
L’esistenzialismo heideggeriano si ripresenta incessantemente ad ogni fallimento, mentre tentiamo di racimolare l’amor proprio, l’autoconsapevolezza e l’autoconservazione al fine di prevaricare gli ostacoli della vita, per proseguire lungo il cammino. amore liquido bauman
Veleggiamo su acque increspate dal caos, nel’illusione del potere, sommersi dalla disumanizzazione e dall’individualizzazione ego-sistematica. Ci crediamo imbattibili e insormontabili, siamo il centro di noi stessi, ma siamo solo tessere di un puzzle più grande di noi.
Mentre Raymond Carver lavorava a Voi non sapete cos’è l’amore, Zygmunt Baumanscriveva: «l’amore è un prestito ipotecario fatto su un futuro incerto e imperscrutabile».
Amore liquido
Secondo Bauman, uno dei più influenti sociologi del secondo Novecento, i rapporti umani affettivi, in una società liquida – dove il prodotto merceologico nasce obsoleto, e la cultura dell’usa-getta è intrinseca alla mentalità perennemente in corsa – sono contraddistinti dalla mancanza di unicità.
Si privilegia il vediamo come va, si sceglie ottimisticamente il rischio calcolato, il desiderio di non incatenarsi e rimanere bloccati in un mondo in continua evoluzione. L’amore liquido di Bauman è contraddistinto dalla razionalità, dalla temporaneità, dalla fragilità e dall’assenza di fiducia.
Come un qualunque bene acquistabile sul mercato libero, ogni merce ha un prezzo e una data di scadenza. Iniziare una relazione significa essere preventivamente consapevoli della durata del prodotto scelto. Si tende ad optare per la convivenza al posto del matrimonio, e anche se si decide di rischiare e scegliere consapevolmente l’impervia strada del sempiterno amore, la consapevolezza del poter troncare il rapporto è dietro l’angolo e inevitabilmente rassicura. In salute e in malattia, finché morte non ci separi, sottoscritto da un notaio tra i due contraenti.
Relazione pura
Anthony Giddens descrive la relazione post-moderna come una relazione pura:
una condizione non naturale, che nulla ha a che vedere con il vincolo matrimoniale; una delle caratteristiche prime è che può essere troncata, a proprio piacimento e in ciascun momento, da ciascuno dei due partner. Perché una relazione abbia una chance di durare, è necessario l’impegno; ma chiunque si impegni senza riserve rischia di soffrire molto in futuro qualora la relazione dovesse dissolversi.
Il modello antecedente di unione è stato sradicato a favore di rapporti elastici, volubili nel tempo e nella forma, dove la somma dei rischi calcolati preclude qualunque possibilità di riuscita. Azionisti in borsa, calcoliamo i pro e i contro, decidiamo preventivamente quanto investire, lasciamo che sia la scelta razionale, matematica e statistica, a controbilanciare l’istinto e l’irrazionalità. E ricerchiamo, più di ogni altra cosa, l’appagamento massimo con la minima spesa.
Ogni rapporto è valido fino ad un certo lasso di tempo, fino a che quello seguente sarà ottimisticamente migliore del precedente e certamente meno influente rispetto a quello successivo.
Denaro, massimo livellatore umano
La perdita dell’unicità e dell’insostituibilità, prosegue Bauman, ha a che fare con la società consumistica in cui viviamo.
In un mondo pronto a introdurre nel mercato, ogni giorno, qualcosa di nuovo che renderà il passato obsoleto, tendiamo perennemente alla miglior riuscita, ricerchiamo incessantemente il nuovo, originale, prodotto appena lanciato sul mercato.
Ogni volta che acquistiamo un bene, esso è già stato sostituito da qualcosa di più innovativo e ricercato, a cui propendiamo instancabilmente, perennemente bombardati dalle pubblicità, dal desiderio ultimo da soddisfare, dove sono i beni a creare i bisogni e non i bisogni a creare i beni.
L’insostenibile leggerezza dell’homo o economicus
Milan Kundera oggi parlerebbe dell’insostenibile leggerezza dell’homo oeconomicus, che segue schematiche razionali, insite nella sua natura di agente economico, volto al soddisfacimento del suo interesse personale sopra ogni altra cosa.
La pesantezza è oppressione e la leggerezza è libertà di scelta – dove si cela il più grande paradosso della post-modernità: l’imprevedibilità della scelta data dalla molteplicità di alternative possibili diventa opprimente anziché liberatoria.
Possiamo prendere aerei, treni, navi e addirittura volare nello spazio, possiamo essere qui ed altrove allo stesso tempo, vedere il mondo attraverso uno schermo, ascoltare una voce appartenente ad un corpo in un altro continente. Non abbiamo catene che ci legano al suolo – la modernità è contraddistinta dal turismo, dal pendolarismo, dalle migrazioni volontarie e obbligate. Siamo perennemente in moto. Scegliamo razionalmente la leggerezza che ci vieta di ancorarci, e anche quando decidiamo di fermarci in un luogo, abbiamo la consapevolezza di poter impacchettare tutti i nostri – frivoli, miseri, intercambiabili – averi per raggiungere nuove mete e nuovi orizzonti.
Scrive Bauman:
vincoli e legami rendono i rapporti umani impuri, come farebbero con qualsiasi atto di consumo che presume soddisfazione istantanea e parimenti istantanea obsolescenza dell’oggetto consumato.
La natura del consumismo non riguarda l’accumulo dei beni, ma l’utilizzarli e smaltirli per far posto a nuovi beni da usare. Così l’homo oeconomicus, consumatore prima che uomo, predilige la leggerezza e la velocità, la novità e la varietà. Ha la continua necessità di nuovi stimoli, di nuove interazioni, di nuovi bisogni da soddisfare, e nuovi oggetti del piacere da incontrare.
Prosegue Bauman:
Tendiamo a non tollerare la routine, perché fin dall’infanzia siamo stati abituati a rincorrere oggetti usa e getta, da rimpiazzare velocemente. Non conosciamo più la gioia delle cose durevoli, frutto dello sforzo e di un lavoro scrupoloso.
Non siamo più in grado di accontentarci – dove l’accontentarsi assurge al ruolo degradante di accettare un compromesso che non crediamo all’altezza delle nostre capacità, delle nostre qualità o delle nostre aspettative. E le aspettative non vengono mai ripagate nella perenne rincorsa della felicità suprema, irraggiungibile per mezzi e costi, che produce la demoralizzazione, la perdita del sé, per finire in una fatiscente omologazione di massa che ci illude di essere diversi e distinti, ma ci rende uguali e peculiari.
Viviamo nella società dell’usa e getta, scrive Latouche, professore di Scienze economiche, gli oggetti sono costruiti per non durare, l’obsolescenza programmata è il motore del consumismo che produce beni non durevoli, al fine di continuare a produrre. Cantano i CCCP: produci, consuma, muori.