E se la 10 Years Challenge non fosse solo un gioco?
Spopola sul web la sfida dei "10 anni dopo", ma qualcuno solleva un dubbio: e se ci stessero rubando i dati (ancora)? Facebook smentisce
Probabilmente sarà solo un innocuo giochino/tormentone del momento, ma se dietro ci fosse – ancora una volta – la mente machiavellica di Zuckerberg&Co.? Vi sarà sicuramente capitato di imbattervi nella 10 Years Challenge che spopola sui social network (Facebook e Instagram, in primis). Funziona così: si postano due foto, una di dieci anni fa e una di oggi.
Quanto siamo cambiati in dieci anni? Questa la domanda alla base del gioco. Migliaia e migliaia di persone, in ogni angolo del mondo, hanno postato sui loro account le due foto: i loro faccioni ieri e oggi, accompagnati dall’hashtag immancabile #10YearsChallenge. Una catena di Sant’Antonio infinita che ha risparmiato veramente pochi.
Tra questi, coloro che credono che dietro ci sia molto di più. Complottisti? Forse. Ma se dieci anni fa non ci sarebbe mai balenato per la testa di pensare che una semplice foto potesse essere un ricettacolo di dati, oggi, invece, il sospetto che pubblicando una foto vengano sfruttate le nostre informazioni per altri fini nasce quasi spontaneo.
A porre l’attenzione su questo risvolto della popolarissima “challenge” è la scrittrice Kate O’Neill, che in un tweet scrive: “Io 10 anni fa: probabilmente avrei giocato e avrei pubblicato su Facebook e Instagram le mie foto. Io oggi: rifletto su come tutti questi dati potrebbero essere utilizzati per creare algoritmi di riconoscimento facciale sulla progressione dell’età e sul riconoscimento dell’età”.
Me 10 years ago: probably would have played along with the profile picture aging meme going around on Facebook and Instagram
Me now: ponders how all this data could be mined to train facial recognition algorithms on age progression and age recognition— Kate O’Neill (@kateo) 12 gennaio 2019
Forse O’Neill sarà particolarmente paranoica, ma a giudicare dalle migliaia di retweet e di like pare che sia in buona compagnia. Non serve andare troppo indietro nel tempo per trovarci di fronte a un esempio di utilizzo di dati rubati a migliaia di utenti proprio tramite giochini simili a quello della 10 Years Challenge. Cambridge Analytica è stato lo scandalo più grande in questo ambito: i dati ricavati online sono stati utilizzati per veicolare migliaia e migliaia di voti.
Il tweet di O’Neill – sfociato poi in una lunga riflessione su Wired – suggerisce di riflettere di più su quello che facciamo online. Certo, precisa lei stessa, Facebook possiede già un’enormità di dati che ci riguardano, ma mettendo le nostre due foto a confronto probabilmente gli stiamo facilitando il lavoro.
“In poche parole grazie a questo meme oggi è possibile costruire un database molto ampio di fotografie, attentamente etichettate, che mostrano le persone com’erano dieci anni fa e come sono oggi”, spiega ancora O’Neill. Quella delle foto “10 anni dopo” potrebbe essere solo un gioco, ma sappiamo bene che oggi una delle sfide più ambiziose della tecnologia è proprio quella della face recognition.
Manca poco a che potremo acquistare prodotti solo con il riconoscimento del nostro volto. A questo si somma la questione sicurezza: i database della polizia potrebbero così essere ampliati. Ma non solo: il riconoscimento facciale potrebbe essere utile anche in caso di bambini scomparsi. Come spiega O’Neill, grazie a questa tecnologia “i bambini smarriti da tempo potrebbero avere un aspetto molto diverso rispetto alle loro ultime foto; quindi un algoritmo affidabile, in grado di riconoscere come si cambia con l’età, potrebbe essere estremamente utile”.
Insomma, il riconoscimento facciale potrebbe essere molto utili in alcuni casi, ma potrebbe anche trasformarsi in una potente arma nelle mani di poteri autoritari che potrebbero utilizzarlo per riconoscere (e punire) dissidenti, ad esempio.
Che viviamo in una società iper controllata è un dato di fatto. Stare attenti a quello che si pubblica sui social rimane una precauzione che fa male.
Intanto da Facebook rispondono ai dubbi sollevati da O’Neill: “Si tratta di un meme creato dagli utenti e che è diventato virale in modo spontaneo. Non abbiamo iniziato noi questo trend, in cui vengono utilizzate foto già esistenti sulla piattaforma, e non guadagniamo nulla da questo meme (se non ricordarci quanto fosse discutibile la moda nel 2009). Per inciso, gli utenti di Facebook possono, in qualsiasi momento, scegliere se attivare o disattivare il riconoscimento facciale”.