Tuscholé: dove i bambini imparano immersi nella natura, senza banchi, pagelle e punizioni
L'esperienza è nata dall'impegno di due genitori che, insoddisfatti della scuola tradizionale, hanno deciso di creare uno spazio alternativo per i loro figli e per chi avesse gli stessi bisogni
A Monte Porzio Catone, vicino Frascati, c’è uno spazio educativo libertario che si chiama Tuscholé: alternativo alla scuola tradizionale, basato sull’unschooling e su un’educazione all’aperto e libertaria.
“Mi dispiace se ti ho fatto cadere la ciotola con l’acqua”, dice il piccolo Leonardo al suo compagno di giochi Gioele. Pochi minuti prima una lite, comune fra bambini, culminata in un pianto a dirotto e in una ciotola d’acqua versata a terra. E ora la pace, immersi nel verde di un giardino mentre ci si arrampica sugli alberi. Comprendere e saper esprimere i propri stati d’animo è importante: anche questo significa apprendere. Ed è ciò che Tuscholé, realtà educativa libertaria, cerca di fare con i suoi bambini.
Ci troviamo a Monte Porzio Catone dove, circondata dal verde dei Castelli Romani, questo progetto educativo ha preso vita nel settembre 2015. Si tratta per lo più di un “laboratorio scolastico”, portato avanti dall’associazione omonima, nato dall’impegno di due genitori che, insoddisfatti della scuola tradizionale, hanno deciso di creare uno spazio alternativo per i loro figli e per quelli di chi volesse avvicinarsi a questa esperienza.
Tuscholé può essere annoverata all’interno di quella “Rete per l’educazione libertaria” che si sta allargando in questi anni in Italia, vedendo fiorire un numero sempre maggiore di realtà simili. Il disagio vissuto – e manifestato – da molti bambini all’interno della scuola pubblica è, infatti, uno dei principali motivi che ha spinto molti genitori a cercare un’alternativa all’istruzione statale e a trovarla nell’educazione libertaria.
Il principio cardine che le regola è la libertà del bambino: si riconosce loro la capacità di decidere da soli cosa fare, in che modo e in che tempi apprendere, allontanando ogni possibile imposizione nel processo di apprendimento, ma affiancato da un accompagnamento fermo e deciso nell’imparare a rispettare regole decise dai bambini stessi e tra loro condivise.
Come si legge sul Manifesto per l’educazione libertaria, “Al bambino viene riconosciuta piena capacità di scegliere [e] questa si concretizza nella opportunità di decidere su contenuti e metodi del proprio apprendimento e nella partecipazione paritaria alle attività che regolano la scuola” L’idea di base è che questi bambini, seguiti da un “adulto-accompagnatore” che deve osservare il bambino e raccoglierne gli stimoli all’apprendimento, diventeranno alla fine individui più equilibrati, responsabili e consapevoli delle proprie scelte. E quindi più motivati nell’apprendimento di ciò di cui hanno bisogno.
La piccola realtà di Tuscholé cerca proprio di attuare questi principi con 25 bambini che vanno dai 18 mesi agli 8 anni. Niente banchi né voti e punizioni. Asilo nel bosco, educazione libertaria e unschooling sono le tre basi teoriche che significano educazione immersa nella natura, basata sulla libertà e sulle scelte del bambino.
“Si tratta di accendere il loro entusiasmo, di permettergli di apprendere le cose con il cuore e con la pancia. Un conto è conoscere un albero su un libro, un conto è vederlo e toccarlo”, racconta Andrea Caruso, co-fondatore di Tuscholé ed educatore, oltre che padre di Samira e Matias che frequentano la “scuoletta”, come chiamata affettuosamente dai bambini. “Nella mia vita le esperienze che più mi hanno segnato sono state quelle che ho appreso a livello corporeo, non cognitivo”.
Non a caso, l’edificio dove questa esperienza educativa viene portata avanti è immerso nel verde: non soltanto in quello dei Castelli Romani, ma in quello di un giardino e di un piccolo orto, in attesa di spazi più ampi. Qui i bambini possono toccare le cose con mano, apprendere direttamente dalla natura.
Andrea, che in passato ha lavorato nella scuola pubblica come assistente per bambini con difficoltà, racconta in cosa consiste il lavoro degli adulti-accompagnatori: “Sostanzialmente quello che noi facciamo è osservarli, seguirli e renderli responsabili rispetto a ciò che desiderano nel presente. Poi andiamo a lavorare molto sull’aspetto relazionale e cerchiamo di avere uno spazio all’aperto adeguato alle loro esigenze. La grossa sfida di questo progetto è quello di riuscire a ribaltare la frase per cui l’istruzione è un obbligo. Per noi l’istruzione è un bisogno”.
Anche Elisabetta Fenocchio, co-fondatrice del progetto e madre di Emma e Gioele, entrambi ‘alunni’ di Tuscholé, proviene da un’esperienza deludente con la scuola tradizionale. “Emma aveva iniziato a mostrare un malessere già alla scuola dell’infanzia: si alzava la mattina e piangeva, perché non voleva andarci”.
Da qui i tentativi – rimasti tali – di migliorare la scuola e di creare una classe montessoriana. “Da lì, visto che il tempo passava, ho capito che andava trovata un’alternativa e ho pensato: ‘Se non esiste, creiamola questa realtà’ Finché non ho incontrato Andrea, che veniva dal progetto di educazione libertaria di Roma”. Ora, a quasi un anno dal progetto, dubbi sulla scelta fatta non ce ne sono: “Se guardiamo i bambini sono loro a darci la risposta: Emma è felice e vorrebbe venire qui anche sabato e domenica”.
Quello che invece molti genitori si domandano, spaventati dalla libertà lasciata a questi bambini, è se questa realtà sia in grado di fornire gli strumenti adatti ad affrontare la vita lavorativa e ad auto-realizzarsi. È, insomma, il dopo ciò che più spaventa, perché l’idea comune è che nelle scuole libertarie il bambino non si formi seriamente e non apprenda ciò che viene ritenuto fondamentale per il suo sviluppo.
Ma, in realtà, il punto su cui l’esperienza libertaria si focalizza è proprio questo, lo sviluppo psico-fisico integrale del bambino: “Una persona che cresce libera – nel senso libera di esprimersi e sviluppare sé stesso – troverà la sua via e la troverà con maggiore equilibrio di una persona che è stata costretta ad essere qualcosa che forse non era”, spiega Francesca Sozio, insegnante statale e madre di uno dei bambini della “scuoletta”. Francesca è parte fondamentale della sperimentazione sulla primaria e il suo è allora un ruolo di mediazione fra la scuola tradizionale e quella libertaria.
L’intento è quello di fondere gli elementi positivi delle due esperienze: “Non sono completamente d’accordo con chi individua nella scuola statale solo elementi negativi, in realtà ci sono tante energie positive. La vera differenza nell’educazione non è tanto nel cosa, ma nel come si propongono le cose, e nell’accettare che il tuo input educativo possa essere rifiutato. Nella scuola tradizionale l’elemento che interferisce con l’apprendimento è l’imposizione”.
Insegnare in una realtà educativa di questo tipo non significa, però, abbandonare i bambini a loro stessi e alla propria libertà, ma guidarli nel loro percorso di crescita personale. Attenzione per l’aspetto relazionale, rispetto dei tempi e degli interessi del bambino ed educazione libertaria all’aperto continueranno ad essere pilastri fondamentali di questo esperimento, che però si doterà di una didattica più strutturata.
Andando più nello specifico, si può dire che si adotterà un approccio al sapere in modo globale, eliminando la suddivisione in materie rigidamente separate tra loro, dando grande attenzione alle proposte formulate dal bambino e all’apprendimento incidentale.
Quest’ultimo, poi, è seguito da un apprendimento intenzionale, che nasce però dal bisogno di approfondimento e di strutturazione di quanto precedentemente appreso ‘incidentalmente’. Sta all’adulto-accompagnatore essere sempre attento a cogliere e soddisfare questo bisogno.
Un esempio pratico: un bambino vede un lombrico e fa una domanda su come è fatto. È questa un’occasione per guidarlo nella scoperta, spingendosi avanti finché c’è la curiosità.
Creare degli uomini e delle donne liberi, consapevoli e capaci di pensare criticamente: questa la sfida ultima di Tuscholé e delle scuole libertarie.
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* A cura di Elisabetta Elia