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Il boom dell’industria musicale dell’Isis

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L'Isis vede nella musica un mezzo potente per la propaganda, a tal punto da aver creato una vera e propria industria del settore, tra case di produzione e una radio

Nel febbraio del 2015 i militanti del sedicente Stato islamico facevano indignare il mondo dando fuoco, sul suolo libico, a cataste di strumenti musicali applicando la loro personale interpretazione dei precetti della Shari’a, la legge islamica.

L’accanimento verso rullanti, tamburi, timpani e piatti, e più in generale verso una delle forme d’arte più d’impatto della storia della società – la musica – ricordava i divieti imposti nei confronti del jazz dal regime nazista nella Germania degli anni Trenta.

All’epoca la diffusione e la riproduzione del jazz veniva proibita perché considerata musica da neri ed ebrei, tanto da ricevere l’appellativo di Negro music ed essere iscritta nella lista nera della Entartete Musik, la cosiddetta arte degenerata.

I roghi musicali appiccati dai militanti dell’Isis qualche mese fa si inseriscono dunque nel buio filone storico della lotta alla cultura e alle forme di espressione individuali e collettive.

Eppure il rapporto del sedicente Stato islamico con la musica non si arresta a queste forme di accanimento pubblico. Al contrario, i suoi leader vedono nella musica un forte potere propagandistico, tanto da avere avviato numerosi progetti nell’ambito della produzione musicale.

Quello che per noi è un’incoerenza di fondo, un ossimoro tra i roghi di strumenti e il finanziamento di progetti musicali, non lo è per i leader dell’Isis, e questo per un motivo molto semplice.

Secondo la legge islamica, o meglio secondo la loro interpretazione della legge islamica, le forme di musica degenerata sono unicamente quelle riconducibili a certi tipi di supporto strumentale, in particolare quelli potenti e profondi della batteria e più in generale degli strumenti a percussione.

Al contrario la voce e il cantato sono considerati leciti e addirittura valorizzati quali potenti mezzi di propaganda attraverso cui diffondere la grandezza dello Stato islamico, inteso come regione geografica.

Insomma, a sorpresa, lo Stato islamico si scopre un grande estimatore dei pezzi a cappella. Il potere della musica per l’Isis è enorme.

I video diffusi attraverso i suoi canali media – tanto quelli più cruenti nei quali vengono riprese le esecuzioni dei loro ostaggi, quanto quelli più propagandistici creati per diffondere i precetti e i dogmi del gruppo – sono accompagnati da canti arabi da essi stessi finanziati e prodotti.

Il cantato diventa una sorta di megafono che si affianca al potere delle immagini, che non potrebbero esistere senza il sottofondo musicale, e viceversa.

Ma il potere propagandistico della musica per l’Isis non si ferma qui. Le canzoni che accompagnano i video del gruppo vengono anche diffuse nelle città e nei villaggi sotto il suo controllo.

I pezzi prodotti dall’industria musicale del sedicente Stato islamico diventano un inno, un segno di riconoscimento o addirittura un mezzo attraverso cui marcare il territorio.

La musica assume così un valore sempre più importante per i leader dell’Isis, una sorta di mezzo di marketing attraverso cui affermare il proprio brand.

Ecco perché l’anno scorso la sezione irachena del gruppo decise di fondare la Anjad Media Foundation, un’agenzia specializzata nella produzione e nella diffusione dei cosiddetti Nasheed, canzoni religiose islamiche cantate senza accompagnamento di strumenti musicali.

L’obiettivo perseguito dai leader attraverso la creazione e il finanziamento di centri appositi come l’Anjad Media Foundation è tanto quello di attrarre nuove reclute via web, quanto quello di stimolare e motivare i miliziani sul campo di battaglia.

Per farlo, serve un lavoro condotto ad hoc da esperti del settore, che possano mettere a disposizione tutta la loro esperienza nel campo della comunicazione e del marketing.

Ecco il senso di creare una vera e propria industria del settore, un mosaico di media center sparsi per la regione che lavorino 24 ore su 24 nella realizzazione di quelle che in fin dei conti diventano vere e proprie campagne pubblicitarie a marchio Isis.

Oltre all’Anjad Media Foundation, che è la più rinomata del gruppo, ce ne sono molte altre, tra cui al_Hayat Media Center (Hmc), al_Furqan Media Foundation (Fmf), al_i’tisam Media Foundation (Itmf), Asawirti Media (Am), al_Ghuraba Media (Gm), al_Malahem Media (Mm) e Fursan al_Balagh Media (Fbm).

I Nasheed si suddividono tra inni al martirio, inni di lode, inni funebri e inni di battaglia. Naturalmente, questa industria musicale si è specializzata soprattutto nella realizzazione di inni di battaglia, a cui appartiene peraltro la vera canzone del gruppo: Dawat al-Islam Qamat, da molti considerato l’inno dell’Isis.

La particolarità di questo pezzo, ma anche degli altri, sta nel fatto che la sua connotazione a cappella è sporcata dall’intervento di suoni esterni non riconducibili però ai classici strumenti a cui siamo abituati.

I suoni che accompagnano il cantato sono piuttosto rumori di passi di soldati in marcia, spari d’arma da fuoco e spade che vengono sguainate.

Per quanto riguarda il testo, invece, la traduzione di Bruno Ballardini in Isis: il marketing dell’apocalisse ci rivela un susseguirsi di frasi come “non disperare, la vittoria è vicina”, “Dio è il nostro Signore, concedigli il tuo sangue perché la vittoria non si otterrà se non attraverso il sangue dei martiri”, “Coloro che donano e concedono se stessi sono i migliori tra noi” e via dicendo.

 Attraverso l’uso di queste frasi, il sedicente Stato islamico si pone l’obiettivo di attirare il numero più alto di persone verso i suoi ideali.

“Se davvero vuoi raccogliere e indottrinare la gente, la musica è un modo perfetto per farlo. È un po’ come in Apocalipse Now con la Cavalcata delle valchirie di Wagner”, racconta a Mother Jones Philipp Smith, esperto di affari medio-orientali all’Università del Maryland.

Non è chiaro chi siano i compositori e i cantanti dei Nasheed. Ma questo poco importa nell’ottica propagandistica della musica propria dei leader dell’Isis. La cosa importante è il messaggio che con essa tentano di trasmettere. 

Per garantire una riproduzione frequente dei suoi Nasheed, il sedicente Stato islamico si è impossessato di alcune frequenze radio, sia nell’area medio-orientale che sul territorio libico. Al-Bayan è una di queste, raggiungibile alla frequenza 99.9 FM dell’area di Mosul in Iraq.

Come sottolinea Bruno Ballardini, esperto di comunicazione strategica e di filosofia del linguaggio, “la radio resta lo strumento popolare più adatto per raggiungere capillarmente vaste aree anche in tempi di guerra”.

L’Isis ha insomma compreso il potere della musica e della radio, e la straordinaria influenza che queste possono esercitare sulla gente.

“Che la cultura fosse uno strumento di potere lo avevano già scoperto a fondo gli antichi, e se i partiti politici si sono affrettati nel corso della storia a monopolizzare questo strumento di comunicazione, ciò significa che le parole che escono dalla radio esercitano un potere fortissimo su chi le ascolta”, scrive in Psicologia della Radio Oddone Demichelis, psicologo psicoterapeuta e membro della Società europea di scienze cognitive della musica.

In seguito all’episodio con cui alcuni militanti dell’Isis hanno bruciato strumenti musicali in Libia, sembra assurdo che il sedicente Stato islamico si sia lanciato in un programma di sviluppo dell’industria musicale e radiofonica negli ultimi mesi.

Un’incoerenza che sta comunque dando i suoi frutti, come dimostra il fatto che Dawat al-Islam Qamat è stato proclamato pezzo musicale più influente del 2014 nell’area geografica siriano-irachena. Le 700mila visualizzazioni del video su Youtube di questo Nasheed non fanno altro che confermare questo primato.

La versione qui sotto è sotto-titolata in inglese 

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