Fotografarsi per non pensare al suicidio
La giovane fotografa Laura Hospes racconta cosa c'è dietro le porte chiuse di una clinica psichiatrica
“Avevo 20 anni, studiavo fotografia e, come dicono, vivevo la vita al massimo. Ma quella non era la vera me. La vera me programmava di mettere fine alla sua vita. Soffrivo di un disordine alimentare un paio di anni fa. Dopo un periodo di terapia sono guarita e ho potuto riprendere gli studi. Un anno più tardi ho dovuto accettare che la mia salute mentale era ancora pessima e ho cercato un altro psicologo. Con lui, che pensava che soffrissi di nuovo del mio disordine alimentare, ho tirato avanti per circa un anno. Poi, un Mercoledì mattina, ho detto addio al mio gatto e mi sono addormentata per sempre, almeno così credevo.”
Comincia così il racconto che Laura Hospes fa del suo percorso dentro un ospedale psichiatrico, dopo aver tentato il suicidio, e di come la fotografia abbia alleviato le sue sofferenze e l’abbia salvata.
Dopo essere stata ricoverata in una clinica psichiatrica, ha deciso di farsi un autoscatto, come faceva prima di essere ricoverata ogniqualvolta si sentisse sola, triste o arrabbiata, e questo gesto, inaspettatamente, ha dato a Laura un attimo di sollievo. Ad ogni nuova foto ha cominciato a sentirsi più tranquilla e ha cominciato a gestire tutte le emozioni che travolgono una persona nella sua situazione. “Sinceramente, sento che sarei esplosa se non avessi avuto modo di esprimere me stessa, facendolo la mia macchina fotografica mi ha salvato”.
Laura ha pubblicato gli scatti che hanno scandito il suo percorso dentro la clinica e intitolato questo progetto fotografico UCP-UMCG (il nome del suo reparto psichiatrico), con lo scopo di far sentire alle persone come lei che non sono sole, ma soprattutto di far comprendere, a chi non ha mai varcato la porta chiusa di un ospedale psichiatrico, la paura e il dolore che travolgono i pazienti. Per far capire che:”i pazienti degli ospedali psichiatrici non sono pazzi, ma si sentono sul punto di impazzire. E questa è la sensazione peggiore che io abbia mai provato.”