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Brighton: cronache dal gay pride più famoso del Regno Unito

Immagine di copertina

Ormai da decenni la città balneare a sud del Regno Unito si riempie ogni agosto di migliaia di persone determinate a difendere i diritti della comunità LGBTQ

Brighton. Non piove da due giorni in questa cittadina
sul mare dell’East Sussex, ma centinaia di arcobaleni incorniciano il cielo
limpido, di un improbabile blu mediterraneo. Sono le bandiere multicolori del
gay pride più famoso e più grande del Regno Unito.

Come
ogni anno dal 1991, nella prima settimana di agosto circa 200mila persone invadono
piazze e parchi e, dice il sito del Gay Pride, circa 14 milioni di sterline si riversano
nelle tasche della città, tanto che le aziende locali fanno a gara a
sponsorizzare la parata. 

La
motivazione economica, però, non sembra la più importante: i cittadini di
Brighton sono pienamente coinvolti nella manifestazione perché, mi ha detto un
tassista ieri sera, sono open-minded e accolgono e accettano chiunque, da chi come me sta imparando l’inglese alle drag queens.  

Sono
e si dichiarano tolleranti e credono che la multiculturalità sia un fattore
coesivo.

Non
a caso, a Brighton & Hove per il referendum sulla Brexit si sono recati
alle urne ben il 74 per cento degli aventi diritto, e il 70 per cento di questi
ha votato Remain. Qui si sentono europei.

La
marcia parte dalla statua della pace. C’è chi sfila con una corona di fiori in
testa, chi balla con costumi accattivanti sui carri, chi sfreccia su sedie a
rotelle motorizzate e chi spinge un passeggino. Di ogni età, di ogni etnia e di
ogni credo.

Alla
metà del corteo ondeggia per il vento un maxi pupazzo che rappresenta Gesù con
la fascia arcobaleno; dietro, una delegazione di preti con il colletto bianco porta il cartello God adores you.

Tanti
agenti di polizia sono sparsi per la città, a piedi e a cavallo. Queens Road è
stata qualche ora isolata per un (falso) allarme bomba, la tensione e
l’attenzione sono alte. Ma anche i poliziotti vogliono partecipare: le volanti
sono decorate e i cavalli hanno la fascia arcobaleno sulla criniera.

Il Brighton
Pride è nato nel 1973 come una marcia gay, ma  a partire dal 1991 si è trasformato in un vero movimento di protesta
contro la “clausola 28”,  la norma varata
da Margaret Thatcher che impediva alle autorità locali di promuovere l’integrazione
degli omosessuali, soprattutto nelle scuole.  

Ed è
anche grazie a questa manifestazione (ormai un festival annuale ricco di
iniziative culturali) se dal 2005 le unioni civili sono riconosciute in tutto
il Regno Unito, e dal 2014 è consentito sposarsi in Inghilterra, Galles e
Scozia.

Eppure,
dicono i cartelli disseminati nella parade di questo Carnevale della
diversità, ancora  in cinque paesi nel
mondo l’omosessualità è punibile con la pena di morte, e in altri settanta con
la detenzione.

“Voglio mandare i miei migliori auguri alle molte migliaia di persone che parteciperanno al Brighton Pride”, ha dichiarato
Theresa May, nuova premier britannica. “Brighton ha mostrato a tutti come fare campagna a favore dei diritti Lgbt e del matrimonio”.

E c’è
anche chi proprio da Theresa May pretende delle scuse per tutto ciò che, negli
anni passati, ha dovuto subire. È George
Montague, che si dichiara “il più vecchio gay del villaggio” ed è riconosciuto
come una star.

Con i suoi  93 anni e una
motocarrozzella per disabili,  si muove  agile nella parata e raccoglie firme per la
sua petizione diretta a Theresa May e al sindaco di Londra. Mi dice di averne
raccolte più di duemila, da sommarsi alle tremila di change.org.

Mi
spiega che, negli anni Cinquanta, anche nella liberal Inghilterra era illegale essere omosessuali. La regola era sposarsi
e mettere su famiglia, non era immaginabile una vita diversa, e così lui ha
sposato Vera e ha avuto tre figli.

Quando
nel 1974 ha preso piena coscienza del suo essere gay e ha divorziato dalla
moglie, è stato obbligato a rassegnare
le dimissioni da Capo scout e inserito in una queer list. In seguito, come
riporta nella petizione, è stato anche arrestato e sbeffeggiato da una polizia
allora omofoba.

Nato
nel 1923, George ha visto scorrere sulla sua pelle anni e anni di cambiamenti sulla
percezione dell’omosessualità e anche sulla legislazione e ha raccontato tutto
ciò per filo e per segno nel suo libro ‘The
Oldest Gay in the Village
‘ (acquistabile su Amazon).

Adesso,
al centro di questo corteo, è soddisfatto della sua vita, delle sue battaglie e
dei risultati. Nel 2013 è stato nominato ambasciatore del Brighton Pride e l’anno scorso, proprio a Brighton, si è persino sposato
con il suo compagno Somchai
Phukkhlai.

Cosa ancora gli manca per
concludere la sua vita e poter “morire felice”?  “Per favore primo ministro”, dice. “Posso avere delle scuse prima di morire?”  

Dice proprio così, “Per favore, signora May”.  

*A cura di Virginia Volpi

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