Esclusivo TPI – Viaggio a Zaporizhzhya: ecco che cosa sta accadendo intorno al più grande impianto nucleare d’Europa
Tutto il mondo ne parla, temendo un’altra Chernobyl causata dalla guerra. Siamo entrati a Nikopol’ e Zaporizhzhya, per raccontarvi cosa sta accadendo. Il reportage dell’inviato di TPI in Ucraina
Nei corridoi della stazione dei pompieri di Zaporizhzhya, a circa 40 chilometri dalla centrale nucleare, campeggia un vecchio e polveroso memoriale sovietico dedicato agli eroi di Chernobyl, «che persero la vita per proteggere l’umanità dalla minaccia nucleare». Una squadra di pompieri in pausa sistema i manicotti usati nell’ultimo intervento, i russi bombardano incessantemente a sud della città e diversi condomini sono ancora in fiamme. «Chernobyl per un pompiere ucraino è come la seconda guerra mondiale per un soldato», racconta Volodymyr, pompiere volontario di 23 anni. «È il nostro orgoglio più alto ma anche il nostro terrore più grande».
In città non si parla d’altro da settimane, «a causa del pericolo, è urgente adottare misure per ridurre le possibili conseguenze di un incidente presso la centrale nucleare di Zaporizhzhya. I piani di evacuazione devono essere rivisti e aggiornati il prima possibile», ha spiegato ai cittadini il governatore della regione Oleksandr Starukh, durante una riunione speciale per la gestione dell’emergenza. Il piano prevede mezzi per un’evacuazione immediata e diversi cordoni di isolamento e stazioni di decontaminazione.
Ancora più vicino alla centrale invece c’è Nikopol’, a soli tre chilometri dai reattori e dove non c’è finestra esposta a sud dalla quale non siano visibili i sei giganteschi cubi delle turbine, una skyline che incupisce i pensieri di chi sa di vivere troppo vicino per pensare di potersi mettere in salvo se dovesse accadere qualcosa. Lo specchio d’acqua che separa la città dall’impianto, che sorge al di la del fiume Dnipro, oggi è diventato anche la linea del fronte. Da un lato i territori sotto controllo governativo e dall’altro quelli sotto occupazione russa. Su Nikopol’ e i villaggi vicini ogni notte piovono missili, una media di oltre 60 esplosioni tra i condomini della zona a ridosso della riva del fiume. «Sappiamo che i colpi vengono sparati da posizioni dall’altro lato del fiume, di notte vediamo le scie partire da dietro la centrale, non so se vengano da lì dentro o da lì vicino, ma poco cambia», spiega Tatyana Borisovna, la portavoce dell’amministrazione cittadina. Le esplosioni però non si limitano a questo lato del fiume: quando l’aria è più chiara dalla centrale si vede alzarsi anche qualche colonna di fumo a pochi metri dai reattori, si sentono i rimbombi di spari e di esplosioni. Impotente, la gente guarda con terrore sui gruppi Telegram le foto dei danni agli edifici della centrale che trapelano dai cellulari dei lavoratori che a turni forzati continuano a tenere accesa la struttura.
In città tutti hanno un parente o un amico che lavora dentro alla centrale e i racconti che arrivano via chat criptate levano il sonno a chi vive così vicino alla centrale. Alina, la redattrice in capo della pagina Nikopol News, raccoglie le testimonianze proteggendo le sue fonti: «Sabato c’è stato un bombardamento della stazione di azoto-ossigeno, che ha provocato un incendio. Per miracolo, le persone che ci lavorano sono sopravvissute», dice uno dei messaggi raccolti «la nostra situazione psicologica è difficile» spiega un altro lavoratore anonimo. «I soldati sono dentro alla centrale, ci minacciano, lavoriamo con le armi puntate addosso, ma se dovessimo smettere di svolgere i nostri compiti il pericolo sarebbe ancora maggiore».
Intanto al posto di blocco di Vasylivka, unica via d’uscita dai territori occupati, i numeri sono ricominciati a salire dopo che a giugno sembravano essersi stabilizzati. «I russi ci hanno terrorizzato, qualcuno alla tv ha detto che Kiev vuole fare saltare la centrale nucleare e quindi abbiamo deciso di scappare», racconta una famiglia di Melitopol che dopo tre notti e quattro giorni di attesa dentro la loro Lada Samara è riuscita ad attraversare il checkpoint russo. «L’ho già sentita diverse volte questa storia», spiega uno dei poliziotti al centro d’accoglienza profughi, «scatenano il panico e svuotano le città e poi nelle case di chi scappa ci mettono qualcuno dalla Siberia», si lamenta l’agente.
Su chi stia sparando sulla centrale però non c’è chiarezza. Per Kiev la risposta è netta: «I russi stanno deliberatamente sabotando gli impianti per creare il panico e ricattare la comunità internazionale», spiega il comando militare. Da Mosca invece attaccano: «l’artiglieria di Kiev bombarda la centrale, che al momento è sotto il nostro controllo, mettendo in pericolo l’intero continente», ma rifiutano di commentare le immagini satellitari distribuite dall’intelligence americana in cui si vedono chiaramente i blindati russi scorrazzare a fianco dei reattori. «Perché mai dovremmo sparare a un’impianto che è già sotto nostro controllo», accusano da Mosca. «Perché mai dovremmo sparare a una centrale nucleare che è di fianco alle nostre case», tagliano secco via social dal ministero della Difesa ucraino.
Tra gli abitanti di Nikopol il dibattito non appassiona: «Non è questione di chi spara, il fatto è che lì loro non ci dovrebbero essere, come si fa a portare i carri armati dentro a una centrale, bisogna essere dei criminali», spiega Tanya una signora di 63 anni alla quale una scheggia di un missile ha sfondato la finestra della cucina piantandosi nel frigo. «Vi rendete conto di che rischio corriamo, ma perché nessuno fa qualcosa perché non costringete i russi ad andare via, ma è mai possibile che non ci sia in Europa o in America un battaglione capace di cacciarli da lì prima che sia troppo tardi, una cosa che ne so come nei film. A voi magari fa ridere, ma io la centrale la vedo lì dal mio balcone e sto male a pensare a quello che ci può succedere».
Il bombardamento della settimana scorsa ha sfondato anche il tetto di una casa in cui abita una signora di 94 anni. In mezzo al giardino devastato dalle schegge sbuca una vecchia porta di lamiera arrugginita dietro cui si nascondono scale che portano ad un bunker in cemento oltre tre metri sotto terra, un rifugio vecchio almeno quanto la centrale. «Il bunker era già qui quando mamma si è trasferita», spiega il figlio, «credo ci abitasse qualche impiegato della centrale».
«Questa è la mia stanza dei barattoli», spiega l’anziana mentre a lume di candela passa in rassegna i suoi sottaceti, i figli le hanno sistemato una branda e la signora a fatica scende quando suona l’allarme anti aerea. «A ogni esplosione penso: ecco questa volta è lei, è la centrale. Allora prego perché sono vecchia e morire mi sta bene, però non così, voglio morire da sola e in pace non assieme a mezza città».