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Home » Esteri

Ricordando Yasser Arafat

Immagine di copertina

Il 24 agosto 1929 nasceva Yasser Arafat, storico leader palestinese e vincitore del Nobel per la pace nel 1994

Gli americani lo chiamavano Mr Palestina: era il simbolo del suo Paese, il leader indiscusso del popolo palestinese, l’uomo che più di tutti ha impersonato la resistenza contro Israele. 

Il 24 agosto 1929 nasceva Yasser Arafat, presidente dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) dal 1969 fino alla sua morte nel 2004.

Ha sempre sostenuto di essere nato a Gerusalemme, ma secondo i biografi che hanno verificato le sue origini sarebbe nato al Cairo o nella Striscia di Gaza, da una famiglia benestante di mercanti. Il suo nome di battesimo era Muhammad, ma si è sempre fatto chiamare con il soprannome di Yasser. 

Sin dall’adolescenza, Arafat si avvicinò a gruppi di combattenti palestinesi che cercavano di resistere contro l’occupazione israeliana.


Negli anni Cinquanta andò a studiare ingegneria a Il Cairo e insieme ad alcuni colleghi creò l’Associazione degli universitari palestinesi, un gruppo di volontari impegnati ad aiutare le forze egiziane durante la crisi di Suez.

Nell’ottobre del 1956, l’Egitto si oppose alle truppe britanniche, francesi e israeliani che cercarono di occupare militarmente il canale di Suez. Il conflitto si risolse nel marzo del 1957: quando l’Unione Sovietica minacciò di inviare i suoi soldati a sostegno dell’Egitto, gli Stati Uniti obbligarono le truppe straniere a ritirarsi. 

Completati gli studi in Egitto, Arafat si recò in Kuwait per cercare lavoro. Fu qui che formò il primo nucleo di Fatah, movimento politico di ispirazione laica che oggi costituisce la fazione più grande all’interno dell’Olp, l’organizzazione che rappresenta il popolo palestinese. 

—- Leggi anche: Chi controlla davvero la Palestina? 

Nel 1965 fu aperto un ufficio di Fatah anche in Algeria, con l’obbiettivo di coinvolgere il resto del mondo arabo nella causa palestinese. Fatah, che oggi rifiuta esplicitamente la lotta armata, inizialmente sosteneva che il fine giustificasse ogni mezzo: fu dunque artefice di diversi attacchi armati nei confronti di Israele.

Come scrive Al Jazeera, secondo Arafat in quegli anni la lotta armata era l’unica opzione che restava al popolo palestinese, che aveva perso la sua terra e la sua libertà.

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Il leader palestinese tuttavia cercò sempre di evitare un intervento dei Paesi arabi su larga scala, per evitare che la Palestina perdesse il suo carattere indipendente. 

Nel 1970 sfociarono le tensioni tra alcune fazioni palestinesi e l’esercito giordano. Migliaia di palestinesi si erano infatti rifugiati in Giordania e tra di loro c’erano anche i cosiddetti Fedayyin, militanti della guerriglia armata palestinese.

Quando i Fedayyin dirottarono e distrussero tre aerei di linea, il governo giordano decise di intervenire contro i palestinesi, che nel frattempo avevano organizzato un comando militare chiamato Armata per la liberazione della Palestina (Alp), guidato da Arafat.

Nel cosiddetto Settembre Nero, il governo di Damasco uccise migliaia di civili palestinesi e costrinse l’Alp a rifugiarsi in Libano. 

Qui sotto:un video ripercorre la vita di Yasser Arafat 

 

Nel 1974 Arafat si presentò per la prima volta presso la sede delle Nazioni Unite. In un celebre discorso, Arafat disse davanti all’Assemblea:

“La differenza tra un rivoluzionario e un terrorista risiede nella ragione per la quale si lotta. Chiunque combatta per una giusta causa e per la liberazione dagli invasori e dai colonizzatori non può essere chiamato terrorista. Sono coloro che dichiarano guerra per occupare, colonizzare e opprimere altre persone a essere i veri terroristi. Il popolo palestinese è stato costretto a ricorrere alla lotta armata quando ha perso la fiducia nella comunità internazionale, che ne ha ignorato i diritti, e quando è divenuto chiaro che non avrebbe riconquistato un centimetro di terra attraverso mezzi esclusivamente politici (…). Sono venuto qui con un ramo d’olivo in una mano e una pistola di un combattente per la libertà nell’altra. Non fate cadere il ramo d’olivo dalla mia mano”. 

Arafat – che ha spesso tenuto posizioni ambivalenti sull’efficacia e la legittimità della lotta armata – cambiò radicalmente i toni negli anni successivi. Nel novembre del 1988, il Consiglio nazionale palestinese dell’Olp proclamò l’indipendenza dello Stato palestinese, con capitale a Gerusalemme.

In una dichiarazione storica, Arafat rifiutò pubblicamente ogni forma di violenza, andando incontro alle richieste del governo statunitense che cercava di mediare una soluzione al conflitto tra Israele e Palestina. In quell’occasione, l’Olp riconobbe ufficialmente l’esistenza dello Stato di Israele. 

Il processo di pace con Israele riavvicinò Arafat alla comunità internazionale, ma lo allontanò dalle fazioni dell’Olp più radicali, secondo cui riconoscere lo Stato israeliano significava abbandonare la lotta per l’indipendenza. 

—- Leggi anche: Chi controlla davvero la Palestina? 

Nel 1993 Arafat siglò con Israele gli accordi di Oslo, primo trattato di pace stipulato dall’inizio del conflitto nel 1948. Con questo patto, Israele accettò di ritirarsi da alcuni territori palestinesi e l’Olp creò una sua filiale – l’Autorità nazionale palestinese (Anp) – per amministrare i territori della Cisgiordania e della Striscia di Gaza. Arafat, già leader dell’Olp, nel 1996 con l’83 per cento dei voti fu eletto anche presidente dell’Anp

Qui sotto: Ia storica foto del leader palestinese Yassar Arafat e del primo ministro israeliano Yitzhak Rabin, che si strinsero la mano durante una cerimonia alla Casa Bianca, dopo aver firmato gli accordi di Oslo, il 13 settembre 1993. A entrambi fu riconosciuto il premio Nobel per la pace, per gli sforzi compiuti verso la soluzione del conflitto. 


Negli anni Novanta Arafat siglò ulteriori accordi di pace con Israele, ma gli ultimi anni della sua carriera politica furono segnati da crescenti difficoltà, sia nelle relazioni estere sia con quelle con le altre fazioni all’interno dell’Olp.

Nel 2000, in seguito all’insurrezione palestinese nota come al-Aqsa intifada, i rapporti con gli Stati Uniti degenerarono. L’allora presidente statunitense George W. Bush accusò Arafat di aver usato la violenza in modo deliberato per interrompere il processo di pace e si rifiutò più volte di incontrarlo.

Arafat trascorse gli ultimi anni nel bunker della Mukata – nome del complesso degli uffici amministrativi delle autorità palestinesi – a Ramallah, in Cisgiordania. Nel 2002 il complesso fu assediato e bombardato dalle forze israeliane. 

Nell’ottobre del 2004 fu trasferito in una clinica a Parigi, dove morì l’11 novembre del 2004, all’età di 75 anni. Secondo la moglie Suha, aiutata nelle indagini dall’emittente televisiva Al Jazeera, il leader non sarebbe morto per cause naturali, ma per avvelenamento da polonio.

La tesi è stata confermata anche da altre testate internazionali, ma l’ospedale francese ha dichiarato che Arafat sarebbe morto a causa di una forte emorragia interna. 

Dopo una cerimonia celebrata a Il Cairo, Arafat fu sepolto presso un mausoleo vicino alla Mukata, in Cisgiordania. 

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