Nel suo libro Edge of caos, Moyo lancia la provocazione, un po’ radical chic, partendo dal presupposto che la democrazia così come intesa oggi va “aggiustata”.
In un’intervista a Vanity Fair, l’economista dà una spiegazione della “rottura della democrazia”, dicendo che il motivo è il fatto che “non sta più riuscendo a guidare in modo efficace la crescita economica.
Ci sono paesi privi di democrazia, come la Cina, dove l’economia prospera, e altri, profondamente democratici, come l’Unione Europea, in cui l’economia annaspa”.
La proposta di voto ponderato, avanzata nel libro, presuppone l’idea che gli elettori debbano dimostrare di essere informati per far sì che il loro voto valga appieno. Se non lo sono, vale meno.
E a chi la “accusa” di classismo, Dambisa Moyo risponde che la sua teoria del voto ponderato non ha nulla a che vedere con l’uguaglianza e la parità dei diritti, né è legata al grado di istruzione o al ceto sociale.
È piuttosto legata al proprio interesse per la politica. “Se ti interessa la politica, se ci spendi tempo e passione, è giusto che la tua voce pesi di più nel dibattito”, ha detto Moyo.
Ma come si misura l’interesse per la politica? Secondo l’economista il modo è semplice: basta fare un test, simile a quello che si usa per le domande di cittadinanza. Un’altra idea è introdurre una sorta di penalizzazione per gli astensionisti.
Secondo l’economista, il vero vantaggio di tutto questo meccanismo è spronare la gente a impegnarsi e informarsi di più, per non sentirsi da meno rispetto agli altri.
L’autrice di Edge of caos, tra le idee per migliorare la democrazia, propone anche quella di votare meno spesso, per costringere i politici a uscire dall’ottica della “campagna elettorale permanente”, e far sì che siano più impegnati a governare anzicché a cercare consensi.
E infine Moyo fa un’altra proposta: ancorare i compensi dei politici ai loro risultati economici sul lungo periodo, una sorta di bonus sulla falsariga di quelli utilizzati nelle aziende, così come succede a Singapore, dove i compensi dei ministri sono per il 40 per cento costituiti da bonus, legati ai risultati dell’economia del paese.