Il nemico in casa: quando Vladimir Putin ospitava la Nato
Invade l’Ucraina per tenere l’Alleanza lontana dai suoi confini e si oppone all’ingresso di Svezia e Finlandia nel Patto Atlantico, ma nel 2012 acconsentì a ospitare una base in Russia
Era la città di Lenin, per anni meta del turismo legato alla rivoluzione, eppure nel 2012 il Cremlino ha pensato alla Nato per dare un futuro a Ulyanovsk, che così per quasi un anno ha ospitato una base di transito dell’Alleanza. È una storia poco conosciuta quella della città di circa 600mila abitanti nel centro della Russia, che rappresenta la prova di uno dei tanti “voltafaccia” di Vladimir Putin, almeno secondo il suo più acerrimo rivale Alexei Navalny. «Quando sento parlare della Nato in tv mi viene solo da ridere», ha accusato l’oppositore rivolgendosi alla corte di Mosca che il 24 maggio scorso ha confermato la sua condanna a 9 anni di carcere. «Ricordo come è stata aperta la base Nato a Ulyanovsk nel 2013 e il governatore locale (allora era Sergey Morozov, ndr) che raccontava a tutti quanto fosse bello aprire una base Nato in città». Il motivo lo spiega una ricerca del Nato Defense College: Morozov sperava nella creazione di migliaia di nuovi posti di lavoro, le autorità doganali prevedevano un sensibile incremento delle tasse di transito e il governo cittadino era allettato dall’ammodernamento dell’aeroporto Vostochny, da cui dovevano passare le forniture militari.
Tutte speranze poi disattese ma le sorprese non finiscono qui. Tra gli entusiasti c’era anche chi figura tra i falchi del Cremlino nell’odierna guerra all’Ucraina propagandata come un’operazione preventiva anti-Nato. È il caso dell’ex vicepremier e attuale direttore dell’agenzia aerospaziale Roscosmos, Dmitry Rogozin. Allora l’ex ambasciatore presso l’Alleanza difese la scelta di Mosca di assicurare al Patto atlantico una base di transito in Russia, dopo le proteste sorte tra le frange nazionaliste che accusavano Putin di aver “tradito la patria”. L’11 aprile 2012, il leader del Cremlino aveva infatti sottolineato di fronte alla Duma come fosse nel pieno «interesse nazionale» della Russia «aiutare a mantenere la stabilità in Afghanistan». «Là sono presenti la Nato e la comunità occidentale: Dio li benedica», aveva rimarcato Putin riconoscendo che, nonostante le pulsioni per un «ritorno alla Guerra fredda», l’Alleanza aveva un ruolo da svolgere come «stabilizzatore negli affari globali». Dopo tutto, aveva chiosato Rogozin, «il transito della carta igienica della Nato attraverso la Russia» non poteva «essere qualificato come tradimento».
La base di Ulyanovsk, dove non fu mai costruito un vero e proprio nuovo impianto militare, ebbe comunque vita breve. Il suo utilizzo era legato alla necessità di redistribuire le forze in Afghanistan in vista del ritiro previsto per il 2014 e che invece si tradurrà in una riduzione di quasi il 90 per cento delle truppe occidentali schierate nel Paese, che gli eserciti dell’Alleanza lasceranno definitivamente soltanto nell’agosto 2021. Allora, i militari americani avevano bisogno di quante più rotte possibili. Il vantaggio di servirsi di Ulyanovsk risiedeva nella possibilità di creare un centro di smistamento sul territorio russo che, fatto poco raccontato, permetteva già il transito delle forniture militari della Nato. Tutto avveniva attraverso la cosiddetta “Northern Distribution Network”, una serie di percorsi che dai Paesi dell’Asia centrale confinanti con l’Afghanistan facevano fluire i rifornimenti sulle linee ferroviarie e nello spazio aereo russo senza mai farvi scalo. La proposta di avvalersi dell’aeroporto Vostochny, costruito per una fabbrica di aerei al di là del Volga, appariva conveniente anche per l’insolita lunghezza della sua pista, che supera i sei chilometri, tra le più lunghe al mondo. Così, per spostare rifornimenti non letali, la Nato potè usare come scalo la città russa, collegata principalmente alla capitale della Lettonia, Riga. Ma l’idillio durò poco perché la riapertura delle più brevi rotte attraverso il Pakistan prima e le tensioni in Ucraina con l’annessione della Crimea poi fecero naufragare la collaborazione tra l’Alleanza e Mosca. Per la gioia del Partito comunista russo che, da sempre contrario alla base, aveva fatto affiggere un manifesto all’ingresso dell’aeroporto con una foto di Stalin e la scritta: “Benvenuta Nato”. Un’opposizione fieramente avversata dai sostenitori di Putin che in quel momento sostenevano le aperture all’Occidente del Cremlino.
Tutt’altra musica rispetto alle azioni odierne del presidente russo, che dieci anni dopo è sull’orlo di un confronto militare con l’Alleanza. Per Navalny non è una sorpresa: «Cercano di convincerci della necessità di un bagno di sangue per contrapporci alla Nato», ha accusato l’attivista detenuto in un carcere di massima sicurezza. «Il nostro governo, i nostri tribunali e lo stesso Putin hanno costantemente bisogno di un voltafaccia per far dimenticare le loro più recenti bugie». Forse, ma la storia di Ulyanovsk mostra una volta di più quanto sia spregiudicato il leader del Cremlino e quanto sia importante geopoliticamente la Russia in Eurasia. Tratti da non sottovalutare quando arriverà il momento di trattare, se non la pace almeno una tregua.
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