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“Vittorio è ancora vivo”: parla la madre di Vittorio Arrigoni, l’attivista ucciso a Gaza il 15 aprile 2011

Immagine di copertina
Vittorio Arrigoni

In occasione del settimo anniversario della morte di Vittorio Arrigoni, TPI ha intervistato la madre dell'attivista morto a Gaza il 15 aprile 2011. Vittorio era a Gaza durante l'operazione "Piombo fuso" e ha raccontato le sofferenze dei palestinesi

Il 15 aprile 2011 moriva a Gaza Vittorio Arrigoni, volontario e attivista per i diritti umani di origini lombarde.

Vittorio ha passato 10 anni in giro per il mondo lavorando con diverse organizzazioni umanitarie ed è arrivato in Palestina per la prima volta nel 2002. Lì è stato rapito e ucciso nel 2011 da una cellula jiadista salafita. Le motivazioni alla base del suo omicidio sono ancora oggi sconosciute.

Vittorio, che gli amici chiamavano Vik, è stato uno dei pochi attivisti ad essere stato testimone dell’operazione “Piombo fuso”, condotta da Israele contro la striscia di Gaza nel 2009, e di cui ha raccontato nel suo blog Guerrilla Radio.

Durante gli anni passati a Gaza aveva più volte rischiato la vita uscendo in mare con le imbarcazione di pescatori palestinesi nel tentativo di proteggerle dalle azioni della marina israeliana.

Molto attivo sui social, Arrigoni è stato anche reporter per il quotidiano Il manifesto, PeaceReporter, Radio 2  nel programma Caterpillar, Radio Popolare e per l’agenzia stampa InfoPal. “Restiamo umani” era la frase con cui Vittorio Arrigoni concludeva sempre i suoi reportage da Gaza.

In occasione del settimo anniversario della sua morte, TPI ha intervistato la madre di Vittorio, Egidia Beretta.

Pensa che il ricordo di Vittorio sia ancora vivo a Gaza e in Italia?

“Il ricordo di Vittorio è ancora vivo e non soltanto a Gaza, ma anche in tutta la Palestina e di questo sono certa perché ne ho le testimonianze. Al di là degli eventi che si terranno in questi giorni in sua memoria in Palestina, lo vedo nei numerosi viaggi che faccio in Italia. Sia gli adulti, che i ragazzi delle scuole, che le insegnanti vogliono sentire di questa vita un po’ ‘straordinaria’ di Vittorio, una vita che ha messo al servizio dei più deboli, dei più bisognosi. Il ricordo di Vittorio è ancora fortissimo dopo 7 anni”.

Cosa penserebbe Vittorio oggi, vedendo quanto sta accadendo ai palestinesi che partecipano alla Grande Marcia del ritorno? Viene da pensare che nulla sia cambiato in Palestina.

“Sembra anzi che la situazione delle persone sia peggiorata. Penso che Vittorio sarebbe stato lì insieme a loro, a vedere, a partecipare e a testimoniare. Perché era quello che in fondo Vittorio era diventato. Oltre a proteggere i pescatori, i contadini, a ragionare con i giovani, era diventato un testimone. Aveva capito che era importante far conoscere quello che succedeva all’interno della Striscia. Io me lo immagino lì con la sua telecamera e il suo blocco di appunti per raccontare quello che succede”.

Da cosa è nato l’interesse di Vittorio per la Palestina, questo desiderio di dedicarsi agli altri?

“Nel mio libro ‘Il viaggio di Vittorio’ narro l’evoluzione di questo sentimento che all’inizio era sì forte in Vittorio, ma privo di un obiettivo particolare e che è maturato fino a quando lui stesso mi ha detto: ‘La Palestina mi ha chiamato’. Lì ha trovato un popolo tenace, coraggioso, orgoglioso, e che condivideva le sue idee. I diritti umani sono universali, non sono solo diritti. Vittorio ha cercato di raddrizzare la situazione come ha potuto, proteggendo i palestinesi, aiutandoli e raccontando. É un amore che è nato piano piano e che ha trovato in Palestina. Lui ha sempre cercato di aiutare le persone con meno diritti. Vittorio infatti si definiva un attivista per i diritti umani. Per lui quello era il tempo e il momento giusto per essere a Gaza”.

L’idea della “famiglia umana” a cui tutti, secondo Vittorio, apparteniamo è ancora lontana dall’essere raggiunta?

“Per certi versi sì. Io ho proprio qui davanti queste sue parole perché credo che siano le più importanti che ci ha lasciato. Credere che non ci sono differenze, confini, barriere o bandiere. Sono convinta che facciamo davvero tutti parte di questa ‘famiglia umana’ e lui ha cercato di mettere in pratica le sue idee. Siamo lontani dalla ‘famiglia umana’ di Vittorio, però c’è tanta generosità e umanità, tanto desiderio da parte di molti giovani di mettersi a disposizione degli altri. Sarà sempre una ricerca infinita quella di restare umani, però non si è fermata, continua veramente. Soprattutto nelle persone che hanno questa tensione interiore, la stessa che aveva Vittorio, di impegnarsi per costruire la pace e cercare la verità”.

Come madre, che pensa di ciò che ha fatto suo figlio nella vita?

“Vittorio ha portato al limite estremo una passione verso gli altri che gli avevamo trasmesso in casa. La sua scelta però è stata radicale, non lasciava mai spazio a se stesso. Metteva sempre prima gli altri. La sua scelta di vita era condivisa dalla sua famiglia, soprattutto da parte mia. Poi però c’è stata la fine, ma non ho mai cambiato idea rispetto a quello che Vittorio è stato e che ha fatto. Sono contenta di come ha vissuto la sua vita perché quando lo vedevo a Gaza, nei suoi video, vedevo un ragazzo sorridente e sereno come non lo era mai quando era a casa. Lo leggevo nei suoi occhi che era convinto di quello che faceva. Questo mi consola. Non è stata una vita buttata via. Vittorio è ancora vivo”.

Domenica 15 aprile al porto di Gaza si terrà una cerimonia commemorativa in onore di Vittorio Arrigoni, a cui parteciperà anche il giornalista e amico Michele Giorgio.

“Il ricordo di Vittorio a Gaza è ancora vivo”, ci racconta Michele. “Vittorio ha raccontato la gente di Gaza nei giorni dell’operazione ‘Piombo fuso’. Ha cambiato il modo di scrivere di certe situazione e grazie a lui ho capito come utilizzare meglio i social per diffondere quelle informazioni che di solito non passano nei media tradizionali”.

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