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Home » Esteri

Le violenze sessuali subite dalle 40 ragazze morte nel rogo del casa-rifugio in Guatemala

Immagine di copertina

All'interno della struttura bruciata l'8 marzo, c'erano orfani e ragazzi problematici. Sugli ospiti si consumavano abusi e violenze quotidiane da parte dello staff

La bara di Kimberly Mishel Palencia Ortiz avvolta in un tessuto di raso bianco sfila per le strade di San José Pinnula, una cittadina a 25 chilometri da Città del Guatemala, capitale del paese e città più popolosa dell’America centrale.

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Una folla l’accompagna per darle l’ultimo saluto. A differenza delle sue amiche morte carbonizzate in un incendio scoppiato l’8 marzo in una casa d’accoglienza in Guatemala, Kimberly ha un volto. 

Mentre il mondo celebrava la Giornata Internazionale delle donne, 40 ragazze morivano arse vive in un incendio divampato in un’ala dell’istituto guatemalteco Hogar Seguro Virgen de la Asuncion che ospita bambini orfani, abbandonati dalle famiglie o considerati problematici. 

A distanza di settimane, il Guatemala piange e ricorda le sue vittime. Delle 52 ragazze presenti nella struttura al momento dell’incendio, più della metà sono morte bruciate vive. Dai racconti dei testimoni e di chi è sopravvissuto all’inferno, sono emersi particolari inquietanti. 

L’incendio

La protesta organizzata dalle ragazze ospiti del centro di accoglienza è cominciata il 7 marzo. Una di loro ha raccontato al quotidiano locale di ricordare ben poco di quello che è successo.

“Dico solo quello di cui ho un ricordo vivido, come il momento in cui abbiamo messo in piedi la protesta”, racconta la giovane. “Io e altri ragazzi abbiamo iniziato a correre a perdifiato per chilometri e chilometri, mentre la polizia ci inseguiva attraverso i boschi che circondano l’intera area, prima di essere ripresi dagli agenti”.

”Non appena ci hanno catturati, siamo stati picchiati”, ha proseguito la giovane. “Il poliziotto che mi ha preso mi ha ordinato di mettermi in ginocchio e di posare le mani dietro la testa. Mi ha puntato una pistola alla testa, ha detto che non gli importava nulla del fatto che fossi una femmina. Potevo essere anche più piccola. Mi ha portato di nuovo dentro la casa e lì mi ha lasciata stringendo le manette strette attorno al mio polso”.

Lo stesso trattamento è stato riservato alle altre ragazze che avevano provato a fuggire. Sono state tutte quante ricondotte all’interno della struttura, confinate all’interno di un’aula poi chiusa a chiave con diverse mandate. Non c’erano uscite di sicurezza.

“Ci hanno svegliato e ci hanno portato perfino la colazione al mattino presto”,  ha raccontato una sopravvissuta al rogo, seppur ferita. “Tutto era apparentemente calmo, ma quando hanno chiesto ai sorveglianti di andare al bagno, la polizia si è rifiutata di aprire la porta. Le ragazze allora si sono arrabbiate e hanno iniziato a posizionare i materassi sopra le finestre, per fare in modo che la polizia non vedesse cosa accadeva dentro”.

Secondo i suoi racconti, a provocare l’incendio sarebbero state tre ragazze. Quando le fiamme hanno iniziato a innalzarsi, le ragazze hanno chiesto aiuto agli agenti, ma uno di loro si è rivolto al collega dicendogli di lasciar perdere e di non aprire la porta: “Lascia che queste disgraziate soffrano. Sono state brave a fuggire, ora devono essere brave a sopportare il dolore”. 

Pochi minuti dopo si è scatenato l’inferno, con le fiamme che avvolgevano l’aula e le ragazze prigioniere all’interno che invocavano aiuto. Nessuno però è intervento in maniera tempestiva per salvarle. 

Da giorni, all’interno della struttura, si respirava un clima teso che ha dato il via alla sommossa interna. Nel bel mezzo del caos e della confusione, almeno una cinquantina di ragazzi e ragazze sono fuggiti via, tentando di rifugiarsi nei boschi o nei prati, ma sono stati fermati poco dopo. 

Gli abusi e le violenze

La protesta era nata per denunciare i trattamenti violenti e gli abusi perpetrati fra le quattro mura dell’istituto a opera di inservienti, personale e perfino degli stessi ospiti della casa di accoglienza. La struttura Virgen de la Asuncion è un istituto statale nato per accogliere bambini e adolescenti abbandonati, maltrattati, disabili, tossicodipendenti o responsabili di piccoli reati. 

Non è una situazione nuova in un paese poverissimo, dove la corruzione e la criminalità sono all’ordine del giorno. Il Guatemala è uno dei paesi più violenti del mondo e con un elevato numero di bambini e minori abbandonati che vivono per strada. Alla situazione già drammatica si aggiunge anche la scarsa attenzione da parte del governo e i ridotti investimenti nelle politiche sociali. 

Prima dell’incendio, la struttura di Città del Guatemala ospitava all’incirca 750 persone, 250 in più rispetto alla capienza limite consentita). Tutti sapevano cosa succedeva all’interno del centro d’accoglienza, descritto da molti residenti come un vero e proprio inferno. Tra le motivazioni che hanno spinto le ragazze a reagire, oltre alle cattive condizioni di vita, si annoveravano anche i ripetuti episodi di violenza sessuale. 

La casa-rifugio somigliava a un lager, dove le bambine e le ragazze erano vittime di abusi da parte dei responsabili della struttura e dei ragazzi appartenenti a una gang, anch’essi ospiti della struttura. 

Sulla base delle innumerevoli testimonianze raccolte fra i genitori dei giovani accolti nell’istituto Virgen de Asuncion e di coloro sopravvissuti all’incendio, gli abusi sarebbero stati regolari e frequenti: violenze, torture e prostituzione coinvolgevano anche i disabili. Anche un bambino autistico di 12 anni sarebbe stato vittima di violenza sessuale, come ha raccontato la madre al quotidiano The Guardian

Una casa degli orrori che invece di proteggere i bambini deboli e indifesi li ha esposti ad abusi costanti. Tutto ciò ha spinto i ragazzi più grandi a mettere in atto una rivolta. Per placare gli animi, lo staff della struttura ha disposto l’intervento di una squadra di poliziotti.

Una donna che vive nelle vicinanza dell’istituto ha raccontato a un giornale locale, Nomada, di aver assistito alla rivolta messa in piedi dalle ragazze il 7 marzo e di aver visto molte di loro lanciare delle pietre contro gli insegnanti e i poliziotti intervenuti per sedare la rivolta in atto. Alcune urlavano contro di loro e lanciavano accuse: “Qui veniamo sempre violentate! Venite e fatelo davanti a tutti, violentateci di nuovo qui, se è questo che volete”. 

“Alcune delle ragazze si sono ribellate”, ha proseguito la testimone. “Chi vive da queste parti sa che quel posto è un vero inferno”.

Le polemiche

All’indomani della tragedia, il 9 marzo, durante una conferenza stampa, la polizia e i vigili del fuoco si sono accusati a vicenda per il ritardo di 40 minuti nei soccorsi.

La vicenda ha avuto pesanti ripercussioni anche sul versante politico: due giorni dopo l’incendio, il ministro del Welfare, Carlos Rodas, è stato costretto a rassegnare le dimissioni, mentre il presidente Jimmy Morales ha proclamato tre giorni di lutto nazionale, ma questo non è stato sufficiente a placare le proteste e le sollevazioni popolari rivolte all’amministrazione, accusata di cattiva gestione e incapace di gestire la situazione. 

Da giorni i cittadini chiedono giustizia per le vittime e puntano il dito contro lo stato. Non è la prima volta che la casa-rifugio Virgen de la Asuncion viene messa sotto accusa.

Nel 2013 diversi membri dello staff della scuola sono stati sospettati di abusi sessuali, mentre nel 2016 la ministra della Giustizia guatemalteca, Thelma Aldana, aveva ritenuto che la struttura ospitasse un numero di persone superiore al limite consentito, aveva denunciato le pessime condizioni di vita al suo interno e aveva puntato il dito contro lo staff sospettato di abusi su minori, minacciando di chiuderla. 

Nel periodo che si estende dal 2012 al 2016, l’ufficio del procuratore per la difesa dei diritti umani guatemalteco aveva ricevuto oltre 40 segnalazioni di abusi e maltrattamenti perpetrati all’interno della struttura. Sulla base di ciò, aveva trasmesso una relazione dettagliata al ministero del Welfare, che non aveva mai risposto.

L’unica proposta avanzata dal governo è stata quella di ridurre il numero degli ospiti e soprattutto spostare i ragazzi autori di reati in un altro istituto. Tuttavia, nessun provvedimento è stato mai preso al riguardo. 

Nei giorni successivi al tragico incendio che ha causato 41 vittime, i parenti hanno puntato il dito contro il governo.

Il presidente Jimmy Morales ha ammesso che le ragazze morte nel rogo erano state chiuse a chiave, mentre sono finiti in manette l’ex segretario del Welfare, Carlos Rodas Mejia, la sua sottosegretaria Anahì Keller e il direttore del centro Santos Torres. L’accusa nei loro confronti è di omicidio colposo, negligenza dei doveri istituzionali e maltrattamento di minori. I tre si erano dimessi dai loro incarichi poco prima dell’arresto.

Anche le autorità che hanno condotto le indagini sono state aspramente criticate per la mancanza di chiarezza e per inefficienza. L’istituto Virgen de la Asuncion incarna una delle tante istituzioni statali sorte in Guatemala con la funzione sociale di accogliere i giovani rimasti orfani, abbandonati o lasciati dai loro genitori che non possiedono mezzi economici per sostenerli.

Alcune di queste famiglie sentite dai quotidiani locali hanno confessato di aver spedito i propri figli in istituto, al fine di imporre loro una certa disciplina. Altri invece volevano proteggerli dalle bande di strada (maras) che terrorizzano i quartieri urbani più poveri del paese. 

Una corte guatemalteca aveva disposto per alcune delle ragazze una custodia speciale perché ritenute vittime di abusi da parte di alcuni familiari, o perché alcune di loro vivevano per strada al fine di garantire un luogo più sicuro, che si è trasformato invece in un posto dell’orrore. 

(Qui sotto un video mostra il recupero delle vittime dell’incendio)

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