Bangladesh, Papa Francesco si inchina ai rohingya e chiede loro perdono
Il Pontefice ha riconosciuto ufficialmente il popolo rohingya, pronunciando il loro nome e inginocchiandosi chiedendo perdono per "l'indifferenza del mondo"
Nel pomeriggio di venerdì 1 dicembre, intorno alle 12 ora italiana, papa Francesco ha incontrato in Bangladesh 16 persone di etnia rohingya; una piccola rappresentanza degli oltre 620mila membri della minoranza islamica scappati dalla Birmania per fuggire alle violenze delle forze di sicurezza.
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In un discorso non preparato Papa Francesco ha parlato a ognuno dei 16 rohingya che hanno avuto modo di raccontare le loro storie. Inginocchiandosi il Papa ha chiesto perdono e ha chiamato, questa volta ufficialmente, i rohingya con il loro nome, riconoscendo così la loro etnia.
“La presenza di Dio oggi si chiama anche rohingya, che ognuno abbia la sua risposta. La vostra tragedia è molto dura e grande ma le diamo spazio nel nostro cuore. A nome di quelli che vi perseguitano e vi hanno fatto male e per l’indifferenza del mondo chiedo perdono, perdono”, ha detto.
“Continuiamo a muoverci perché siano riconosciuti i loro diritti, non chiudendo il nostro cuore. Forse possiamo fare poco per voi”, ha concluso Papa Francesco.
Sempre per oggi è previsto l’incontro tra Jorge Bergoglio e la prima ministra del Bangladesh, Sheikh Hasina.
Nella seconda giornata di visita ufficiale nel paese asiatico, circa 100mila persone hanno partecipato alla messa presieduta dal Pontefice nel Suhrawardy Udyan Park di Dacca, nel corso della quale sono stati ordinati 16 nuovi sacerdoti.
Papa Francesco ai trova in Bangladesh dal 30 novembre. Si tratta della seconda e ultima tappa del viaggio in Asia che si concluderà sabato 2 dicembre, giorno del suo rientro a Roma.
In Bangladesh papa Francesco incontrerà una piccola rappresentanza degli oltre 620mila rohingya scappati dalla Birmania per fuggire alle violenze delle forze di sicurezza.
Nel corso del suo soggiorno in Birmania tra il 27 e il 29 novembre, il Pontefice ha tenuto un discorso ufficiale a Nay Pyi Taw davanti alla leader Aung San Suu Kyi, Consigliere diplomatico della Birmania.
“Il futuro della Birmania deve essere la pace: una pace fondata sul rispetto della dignità e dei diritti di ogni membro della società, sul rispetto di ogni gruppo etnico e della sua identità, sul rispetto dello stato di diritto e di un ordine democratico che consenta a ciascun individuo e a ogni gruppo, nessuno escluso, di offrire il suo legittimo contributo al bene comune”.
Un riferimento non esplicito ai rohingya: dopo i diversi appelli rivolti al Pontefice a evitare di nominare direttamente la minoranza etnica di religione musulmana, al centro di violenze e persecuzioni in Birmania e protagonista di un massiccio esodo in Bangladesh, il Pontefice ha scelto di non parlare di loro direttamente.
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Poco prima si era concluso il colloquio privato tra papa Francesco e il ministro degli Esteri e Consigliere diplomatico della Birmania Aung San Suu Kyii, nella sala del Corpo diplomatico del palazzo presidenziale della capitale birmana.
Il Papa e Aung San Suu Kyi si erano incontrati una prima volta a Roma la scorsa primavera, quando la premio Nobel visitò il Vaticano in occasione dell’allacciamento delle relazioni diplomatiche.
Aung San Suu Kyi, insignita del premio Nobel per la pace nel 1991, è al centro delle polemiche per il suo mancato intervento sulla crisi dei rohingya nel paese.
La leader democratica ha pubblicamente ringraziato il Papa, citato tra i “buoni amici che desiderano soltanto vederci avere successo nel nostro sforzo”.
La situazione in Rakhine, zona di origine dei rohingya, ha “eroso fiducia, comprensione, armonia. Anche per questo l’aiuto di questi buoni amici è inestimabile”, ha detto la leader.
La visita di Papa Francesco in Birmania è arrivata in un momento particolarmente difficile per il paese del sud-est asiatico, le cui forze di sicurezza sono state accusate da Amnesty International e altre ong di “crimini contro l’umanità” e di “pulizia etnica” dalla comunità internazionale, a causa della crisi della minoranza musulmana dei rohingya, in corso da fine agosto.
Negli ultimi mesi il Pontefice ha spesso lanciato appelli per chiedere la fine delle violenze nei confronti dei rohingya, cui ha espresso la sua vicinanza definendoli “fratelli e sorelle”.
Il segretario di Stato del Vaticano, Pietro Parolin, ha commentato il viaggio del Papa in Asia davanti alle telecamere del Centro Televisivo Vaticano: “In questi due paesi la comunità cattolica costituisce una minoranza all’interno di maggioranze rispettivamente musulmana in Bangladesh e buddhista in Birmania. È logico che la prima attenzione, il primo interesse del Santo Padre in questo suo viaggio sarà rivolto proprio alla comunità cristiana per esprimere vicinanza e sostegno.”