Il mondo dopo il Covid: con la mutazione del virus H5N1 un’altra pandemia minaccia il pianeta
Una nuova mutazione del virus H5N1 ne ha favorito la trasmissione tra i mammiferi, soprattutto nei visoni che hanno un tratto respiratorio superiore simile al nostro. Finora questa malattia non ha colpito spesso gli umani, ma quando è successo il tasso di mortalità ha raggiunto il 56% degli infetti. La sua scarsa capacità di diffondersi ha finora evitato una crisi globale, la situazione però potrebbe cambiare
Il mondo si sta lentamente riprendendo dalla devastante diffusione del Covid-19, ma una nuova pandemia legata a un altro virus potrebbe essere alle porte. L’influenza aviaria, da tempo “sorvegliata speciale” dagli scienziati, non ha colpito spesso la nostra specie; ma quando l’ha fatto, il tasso di mortalità è arrivato a toccare il 56 per cento delle persone infette. Per nostra fortuna, finora, la sua incapacità di diffondersi con facilità da uomo a uomo le ha impedito di provocare una pandemia. Ma la situazione sta cambiando.
Il caso spagnolo
Il virus, da tempo causa di focolai negli allevamenti di pollame, sta infettando sempre più uccelli migratori, consentendogli di viaggiare in lungo e in largo e di essere trasmesso anche a vari mammiferi selvatici, aumentando il rischio di una nuova variante che potrebbe diffondersi tra gli esseri umani. A lanciare l’allarme è uno studio condotto dai ricercatori del Laboratorio di referenza europeo per l’influenza aviaria (EURL) presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) insieme allo spagnolo Laboratorio di referenza nazionale per l’influenza aviaria di Madrid e le autorità sanitarie iberiche.
Tutto è cominciato nell’ottobre 2022, quando i visoni presenti in un allevamento da pelliccia in Galizia, nel nord ovest della Spagna, hanno iniziato a morire uno dopo l’altro. Pensando inizialmente a un focolaio di SARS Cov-2, gli esperti hanno concluso che si trattava di un virus influenzale aviario ad alta patogenicità, l’H5N1. I lavoratori dell’allevamento sono stati messi in quarantena preventiva, e oltre 50mila visoni sono stati uccisi e le loro carcasse distrutte.
Nonostante nessuno dei lavoratori sia stato contagiato, l’episodio, pubblicato a fine gennaio sulla rivista Eurosurveillance, ha riacceso nella comunità scientifica i timori di una nuova emergenza pandemica. I virologi infatti, sostengono che l’H5N1 si sia diffuso tra la popolazione mammifera grazie ad almeno una nuova mutazione che favorisce la trasmissione da specie a specie, e temono che dopo essersi diffuso in modo inarrestabile tra i volatili di tutto il mondo, possa raggiungere altri allevamenti di visoni e diventare ancora più trasmissibile.
Il motivo per cui i visoni suscitano più allarme rispetto ad altri mammiferi nella diffusione di virus tra gli umani è l’estrema somiglianza del loro tratto respiratorio superiore con il nostro, rendendolo un eccezionale canale di trasmissione. Per Thomas Peacock, virologo presso l’Imperial College di Londra, la situazione è «estremamente preoccupante». «Le condizioni per una pandemia umana di H5 non potrebbero essere più favorevoli», ha detto alla rivista scientifica Science. Isabella Monne, autrice dello studio e ricercatrice veterinaria del Laboratorio di referenza europeo per l’influenza aviaria presso l’IZSVe, dove sono stati analizzati i campioni raccolti in Spagna, sostiene che la scoperta rappresenta un «forte campanello d’allarme».
I precedenti
L’H5N1 è stato individuato per la prima volta in un allevamento di oche in Cina nel 1996. L’anno successivo, un grosso focolaio di pollame a Hong Kong ha provocato i primi decessi umani sollevando le prime preoccupazioni sul rischio pandemico. Dal 2005, anno in cui il virus ha compiuto lo spillover negli uccelli migratori, l’H5N1 si è diffuso in tutto il mondo a varie ondate. Nel 2020, i ricercatori hanno individuato una nuova variante in grado di diffondersi più rapidamente e a maggiore distanza di quelle precedenti, causando danni enormi all’industria del pollame europea e nordamericana, per poi raggiungere l’America centrale e il Sudamerica nell’autunno 2022. Secondo gli studiosi, è un segnale chiaro di come questo virus sembra essersi adattato a tutti gli uccelli più d’ogni altro finora conosciuto.
In passato sono state segnalate epidemie negli allevamenti di visoni in Cina, ma non c’erano prove sufficienti per dimostrare come il virus si diffondesse tra gli animali. Con il focolaio spagnolo, restano pochi dubbi. Quanto possa metterci il virus trovato in Galizia a infettare gli umani – e a diffondersi – non ci è ancora dato sapere, ma il team di ricercatori dell’IZSVe sta attualmente studiando le proprietà del virus nei visoni e gli effetti della recente mutazione. Con il SARS-Cov-2, introdotto negli allevamenti dagli esseri umani, dove si è diffuso a macchia d’olio per poi essere ritrasmesso ai loro custodi, i ricercatori erano preoccupati che l’industria dei visoni rappresentasse una minaccia permanente per le infezioni e un terreno fertile per le nuove varianti. Purtroppo l’unica soluzione sembra essere eliminare gli allevamenti di questa specie, anche se ciò vuol dire uccidere i poveri animali. I Paesi Bassi, che avevano già deciso di eliminare questo tipo di allevamenti entro il 2024 per ragioni etiche, hanno chiuso tutti quelli rimanenti nel 2021. La Danimarca ha fatto lo stesso nel 2020. Quello stesso anno, quando il coronavirus colpì gli allevamenti di visoni, si crearono tra loro nuove varianti che infettarono gli umani. Ogni sforzo per salvare l’industria fu inutile, i contagi erano fuori controllo.
Che fare
Nel 2006, quando gli scienziati scoprirono che l’H5N1 non si diffondeva facilmente tra gli umani perché si depositava nel tratto respiratorio inferiore, un gruppo di ricercatori dell’Erasmus University Medical Center fece notare che se il virus si fosse evoluto legandosi ai recettori del tratto respiratorio superiore – diventando più facilmente trasmissibile per via aerea – il rischio di una pandemia tra gli esseri umani sarebbe aumentato sensibilmente. L’epidemia nell’allevamento di visoni in Spagna rappresenta un segnale che forse ci stiamo muovendo proprio in quella direzione. I segnali d’allarme di una pandemia dal potenziale catastrofico non potrebbero essere più chiari.
«Questo evento ci ricorda che il virus influenzale aviario ad alta patogenicità H5N1 non è un problema solo dei volatili», spiega Isabella Monne. «È in atto un’emergenza epidemica globale, senza precedenti, che non sconvolge solo la produzione avicola ma che sta colpendo gravemente molte specie di volatili selvatici e sporadicamente anche di mammiferi selvatici, minacciando gravemente la biodiversità del nostro pianeta. La continua circolazione del virus nella popolazione selvatica e le mortalità massive causate dal diffondersi dell’infezione in alcune specie rischia di sbilanciare ulteriormente gli ecosistemi con conseguenze ignote anche sulle dinamiche evolutive del virus. Anche questa emergenza va affrontata con un approccio One Health, globale e multidisciplinare, con la massima attenzione e prontezza, come abbiamo cominciato a capire grazie alla lezione della pandemia da Covid-19. Un virus influenzale capace di causare lo spillover nei mammiferi va fermato prima di diventare un problema per la sanità pubblica».
Il pubblico non ha sicuramente voglia di sentire parlare di un altro virus, ma le influenze pandemiche avvengono con regolarità nella storia dell’uomo, senza curarsi se siamo stanchi o ci siamo ripresi da quelle precedenti. Questa volta, oltre ai campanelli d’allarme, abbiamo a disposizione molti degli strumenti necessari per evitare una nuova pandemia. Quello che manca è un maggiore senso di urgenza e di azione immediata.