Se quello di Vincent Lambert è un omicidio, allora sono un’assassina anche io
Vincent Lambert, il 42enne francese in stato vegetativo da oltre 10 anni e divenuto simbolo della battaglia per un fine vita dignitoso, è morto ieri, a una settimana dalla sospensione di alimentazione e idratazione artificiale che per un decennio l’hanno tenuto forzosamente in vita.
La vicenda di Lambert ha scosso la Francia, ma ancora di più sembra aver scosso l’opinione pubblica italiana, che da mesi ne parla incessantemente quasi fosse un caso che la riguarda direttamente.
“Vincent Lambert è stato ucciso, l’hanno fatto morire di fame e di sete”, sostengono in molti. “Quello di Vincent Lambert è un omicidio”, ripetono da giorni le vestali del cattolicesimo più intransigente, facendo intendere che quello del 42enne francese sia un caso di eutanasia disposta coattivamente senza tenere conto del volere dei genitori dell’uomo, che per anni si sono opposti in ogni modo al distacco delle macchine.
Quello del 42enne francese è diventato un caso solo perché i genitori, in contrasto con il volere della moglie e dei sei fratelli nonché dello stesso Lambert, hanno intentato una lunghissima battaglia legale per impedire il distacco delle macchine.
Sostenevano fosse ancora cosciente, che piangesse, che guardasse con gli occhi e cercasse di comunicare qualcosa nonostante questo fosse assolutamente impossibile dato il quadro clinico del figlio. Il caso di Vincent Lambert, però, nulla c’entra con l’eutanasia e chi lo sostiene mente spudoratamente.
Vincent Lambert è morto dignitosamente, dopo dieci anni di limbo coattivamente imposto, grazie a una pratica di medicina palliativa che si chiama sedazione profonda continuata, una terapia assolutamente legale anche in Italia.
La sedazione profonda continuata può essere richiesta dal paziente – o in alternativa dai famigliari più prossimi – qualora il malato terminale oncologico o non oncologico presenti sintomi refrattari che non possono più in alcun modo essere trattati.
La sedazione profonda continuata è praticata in Italia e non ha nulla a che fare con l’eutanasia o il suicidio assistito perché non provoca la morte dell’assistito ma al contrario l’accompagna a quella che è la sua ineluttabile fine. Ineluttabile, perché la morte sarebbe sopraggiunta naturalmente se il paziente non fosse stato attaccato alle macchine per l’idratazione, la respirazione e la nutrizione artificiale.
Sono passati pochi mesi, ma quel pomeriggio di fine settembre in cui mio padre è morto è ancora vivido nella mia mente. Dopo oltre tre anni di calvario, sfinito da una demenza frontotemporale che l’aveva colpito a soli 55 anni, nel letto dell’hospice che l’aveva avuto in cura nelle ultime settimane di sopravvivenza forzata mio padre è riuscito a morire con un po’ di dignità.
Refrattario a ogni cura, colpito da ogni genere di infezione e resistente a ogni tipo di terapia antibiotica, mio padre sopravviveva da mesi attaccato alle cosiddette macchine salvavita. Senza respirazione, nutrizione e idratazione artificiale sarebbe deceduto molti mesi prima, evitando mesi di crudele calvario.
Non dimenticherò mai le prime parole che mi disse il medico dell’hospice. “Questo per me è accanimento terapeutico, inutile e crudele continuare le terapie”. Non posso dire che mi cadde il mondo addosso, posso dire che quelle parole per me rappresentarono una speranza, la speranza di dare un fine vita dignitoso a un padre che stava soffrendo in maniera atroce da anni e che era arrivato a pesare 30 chili scarsi.
Un’anossia cerebrale l’aveva colpito a Pasqua, la mancanza di sangue al cervello provocò il coma irreversibile. Mesi e mesi di inutile riabilitazione in una struttura apposita, un calvario che con il senno di poi avrebbe dovuto essergli evitato. Era accanimento terapeutico, aveva ragione il professore.
Desideravo per mio padre una morte dignitosa, avrei fatto qualsiasi cosa perché potesse averla. La sedazione profonda continuata fu la soluzione prospettata, la stessa che ha accompagnato alla morte Vincent Lambert.
Al distacco delle macchine sarebbe seguita la somministrazione di una terapia palliativa in grado di alleviare la sofferenza della morte incombente. Ho ucciso mio padre? No, era già morto da tempo, esisteva solo un corpo tenuto in vita artificiosamente.
Nessuna possibilità di ripresa, nessuna guarigione avrebbe potuto intervenire, si trattava solo di inutile e protratta crudele sofferenza. Se quello di Vincent Lambert è un omicidio, allora anche io sono un’assassina a piede libero.