Perché gli Stati Uniti hanno revocato l’embargo di armi al Vietnam
La storica decisione di Obama è volta a contenere le mire espansionistiche di Pechino sul Mar Cinese Meridionale
Il presidente americano Barack Obama ha annunciato durante la sua visita a Hanoi di ieri 23 maggio, la prima da quando è in carica, la revoca dell’embargo sulla vendita di armi al Vietnam.
Ufficialmente, la storica decisione presa del presidente uscente è un passo in avanti nel più ampio quadro di normalizzazione delle relazioni bilaterali. La revoca dell’embargo certificherebbe in questo modo la piena riconciliazione fra Usa e Vietnam, dopo un lungo processo diplomatico di riavvicinamento.
I due paesi erano stati in guerra ai tempi della Guerra fredda, durante gli anni Sessanta e Settanta. Il sanguinoso conflitto ha causato 58mila vittime fra i soldati americani e centinaia di migliaia di morti fra la popolazione locale. La sconfitta dei potentissimi Stati Uniti per mano dei comunisti del nord segnò un’epoca storica. Con la caduta di Saigon del 1975, la guerra finiva e l’esercito popolare del Vietnam del nord e i vietcong, alleati di Unione Sovietica e Cina, riunificavano il paese sotto un’unica bandiera.
Nel 1995 venne ufficializzata la normalizzazione delle relazioni bilaterali e, da allora, tutti i presidenti americani – Bill Clinton, George W. Bush e Barack Obama – hanno visitato il Vietnam. Tuttavia, gli strascichi del conflitto sono evidenti ancora oggi: dal 1975 fino a oggi, ben 100mila vietnamiti sono stati uccisi o feriti da mine e bombe inesplose. A scuola si insegna ancora adesso ai bambini come evitare le mine.
Nonostante ciò, e nonostante la forma di governo di stampo socialista, il paese asiatico è diventato uno degli alleati principali degli americani nella regione. Il 78 per cento dei vietnamiti ha un’opinione positiva degli Stati Uniti e il 95 per cento è entusiasta del sistema economico di libero mercato.
Inoltre, questi dati sono supportati dai fatti: i legami commerciali tra i due paesi sono aumentati a dismisura dagli anni Novanta, toccando i 29 miliardi di dollari. La recente firma del Partenariato Trans-Pacifico, un accordo di libero scambio firmato da 12 paesi, Stati Uniti e Vietnam compresi, potrà in futuro alimentare questa tendenza già positiva.
Il Vietnam, però, è soprattutto una pedina fondamentale nello scacchiere geopolitico regionale degli Stati Uniti. La revoca dell’embargo annunciata ieri è da interpretare proprio in questi termini: l’amministrazione Obama vuole infatti che tutti gli alleati del Pacifico asiatico siano in grado di contenere le velleità espansionistiche cinesi.
La storica decisione riflette quindi la preoccupazione di Washington per l’assertività militare di Pechino, sempre più incline a mostrare i muscoli nel Mar Cinese Meridionale.
Il Vietnam confina con la Cina e i due paesi asiatici si contendono, insieme alle Filippine, le isole Paracel e le isole Spartly, atolli ricchi di risorse energetiche. La Cina reclama l’80 per cento delle acque del Mar Cinese Meridionale e, in questi ultimi anni, ha costruito dal nulla varie isole artificiali con porti e piste aeree abilitate per condurre operazioni militari, rivendicando la piena sovranità delle cosiddette “acque storiche”.
Gli Usa hanno intimato alla Cina di recedere dai propositi espansionistici, ma il presidente della Repubblica popolare, Xi Jinping, è andato avanti per la propria strada, imponendo il limite di navigazione di 12 miglia nautiche. Vi è stata quindi un’escalation di tensioni che ha portato Obama a intensificare la presenza della marina americana nel Pacifico.
Washington ha quindi optato per la revoca dell’embargo di armi dando la priorità alla “realpolitik”, nonostante le varie critiche degli attivisti per i diritti umani nei confronti del presidente vietnamita Tran Dai Quang.
La Cina critica aspramente la decisione, accusando gli Stati Uniti di interferire nelle dinamiche regionali e di voler imporre la propria egemonia a livello globale. La decisione è dunque solo l’ultima mossa di una partita a scacchi che vede le due superpotenze confrontarsi su un terreno molto pericoloso.