Noi, ex militari, così diamo la caccia ai migranti in Bulgaria
A TPI parla il capo di una delle milizie autonome armate che pattugliano il confine tra il paese e la Turchia, per respingere chi chiede aiuto. Il videoreportage
Siamo alle porte dell’Europa. “Da questa parte c’è la Bulgaria,” dice l’uomo con gli occhiali da sole indicando un punto in mezzo alla foresta. Poi si gira e indica il lato opposto: “Di là la Turchia”.
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La nostra guida porta gli occhiali scuri per via di un’infezione all’occhio che si è procurata giocando con il figlio. Quando lo abbiamo incontrato, si è presentato come il gestore della guest house Belite Kashti a Malko Tarnovo, cittadina di 2mila abitanti al confine tra i due stati.
“La Bulgaria è nota per la sua ospitalità”, recita una campagna pubblicitaria promossa nel 2016 dalla camera per il turismo di Burgas, una delle principali mete turistiche sulla costa occidentale del Mar Nero. In una foto appare la nostra guida: ha la testa rasata e sorride mentre indossa una camicia bianca estiva.
Non ci ha svelato il suo nome, ma ha orgogliosamente mostrato le medaglie che sostiene di essersi guadagnato combattendo insieme alla Legione straniera francese durante la Guerra del Golfo.
Per accompagnarci nel bosco, appena fuori dalla città, ha indossato una tuta mimetica e non ha dimenticato di portare una pistola con sé: “This is my best friend” (“Questa è la mia migliore amica”), ripete un paio di volte, accarezzandola.
Malko Tarnovo è uno dei punti di raccolta dove si radunano i membri dell’unione militare Vasil Levski per pattugliare la zona e braccare i migranti che cercano di entrare nel paese.
Shipka – il nome con cui la Vasil Levski è conosciuta tra i bulgari – è una delle associazioni autonomamente create per prestare aiuto alla polizia di confine. Ma è forse la più nota organizzazione di cacciatori di migranti in Bulgaria.
È guidata da Vladimir Rusev, che si fa chiamare Walter Kalashnikov. Anche lui vanta una carriera militare alle spalle, seguita da una breve parentesi di vita monastica dopo che l’esercito lo aveva cacciato.
Vladimir Rusev e le centinaia di volontari che lo seguono hanno una missione: vogliono assicurarsi che nessun migrante entri nel paese. L’obiettivo è quello di proteggere i cittadini bulgari.
“La maggior parte di loro sono uomini in buona salute, forti, grandi, reclutati dall’Isis”, dice Rusev. “Arrivano e stuprano tutti”, ripete più volte.
Questo ritratto di migranti violenti e malintenzionati stona con quello delle migliaia di persone in fila di fronte ai bagni sporchissimi, che dormono su letti di ferro rotti nei campi di Harmanli e Voenna Rampa, o nei centri di detenzione a Busmantsi, Elhovo e Lyubimets.
Per la maggior parte si tratta di giovani uomini, ma ci sono anche molte famiglie e ragazzini non accompagnati. Arrivano a piedi da Afghanistan, Siria, Iraq e Pakistan.
Sono stanchi al punto che sembrano già vecchi. Portano i segni della cattiva nutrizione e delle violenze subite nel paese da cui sono scappati e durante il viaggio.
In Bulgaria i richiedenti asilo sono stati 19.418 soltanto nel 2016 e 723 dall’inizio del 2017, fino a marzo. Passano le giornate a sognare l’Europa in cui sono approdati da mesi, ma che sembra ancora lontana.
Rusev, grazie all’aiuto di gente come l’anonima guida dei boschi, cerca di stanarli al confine per incutere loro timore e magari respingerli prima che entrino nelle maglie della burocrazia.
L’unione militare Vasil Levski si professa autofinanziata e conta fino a oltre 30mila sostenitori, volontari a cui viene impartito un addestramento marziale e che spesso hanno un passato nell’esercito e nella polizia. Si considerano una grande milizia paramilitare, sebbene non esistano dati precisi sul loro numero.
“Noi aiutiamo la polizia perché non ha risorse sufficienti,” dice Rusev, di ritorno da un pattugliamento durato tutta la notte insieme ad altri 800 compari.
Si mantengono rigorosamente anonimi e girano con il volto coperto da un passamontagna, ma senza nascondere quello che fanno.
Sul sito della Shipka compaiono foto e video di catture amatoriali e persone legate. Eppure Rusev e i suoi rifiutano le accuse di violenza contro i migranti. “Non portiamo armi con noi,” dice, sebbene abbondino le immagini in cui posano con macheti, taser e pistole.
A volte non consegnano i migranti fermati ai poliziotti che lavorano nella stessa zona, piuttosto li minacciano per poi rispedirli in Turchia. Le loro azioni sono spesso contrarie alle leggi europee. Dal 2014 la pratica dei respingimenti è stata resa illegale.
Il governo e la polizia bulgara non hanno mai denunciato le azioni della Shipka e delle altre organizzazioni di cacciatori di migranti. Anzi, ad aprile 2016 il capo della polizia di confine Antonio Angelov ha premiato alcuni vigilantes dell’Organizzazione per la protezione dei cittadini bulgari – un gruppo nazionalista – per il servizio reso al paese. Avevano catturato 23 persone che tentavano di attraversare il confine provenienti dalla Turchia.
Qui sotto il videoreportage:
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