L’ex ambasciatore Usa era una spia a servizio di Cuba: “Condannato a 15 anni di carcere”
Arrestato nel dicembre scorso, Victor Manuel Rocha si è dichiarato colpevole di aver passato informazioni a L'Avana per oltre 40 anni. Oggi il 73enne ha deciso di collaborare con le autorità statunitensi
L’ex ambasciatore degli Stati Uniti, Victor Manuel Rocha, è stato una spia al servizio di Cuba sin dal 1973 finché non è stato arrestato nel dicembre scorso ed è finito sotto processo come “agente straniero”, un’accusa di cui si è dichiarato colpevole e per cui è stato condannato a 15 anni di carcere.
A febbraio il 73enne, residente a Miami, aveva professato la propria innocenza per poi ritrattare a fine marzo la sua dichiarazione di non colpevolezza, ottenendo un patteggiamento della pena. Un accordo accettato ieri dalla giudice federale del distretto sud della Florida, Beth Bloom, che però ha preteso l’inserimento di una clausola di risarcimento per le potenziali vittime e la revoca della cittadinanza, due pene accessorie che saranno valutate nelle successive udienze.
“Per gran parte della sua vita, il signor Rocha ha vissuto nella menzogna”, ha commentato in conferenza stampa dopo il verdetto il direttore dell’ufficio affari legali della sicurezza nazionale presso il Dipartimento di Giustizia, David Newman. “Mentre ricopriva diverse posizioni di rilievo nel governo degli Stati Uniti, agiva segretamente come agente del governo cubano. Questo è un tradimento sconcertante nei confronti del popolo americano”.
Una spia di Cuba al Dipartimento di Stato
Nato in Colombia nel 1951, all’età di 10 anni Rocha si trasferì a New York dopo la morte del padre. La famiglia viveva con lo zio ad Harlem e si sostentava grazie al lavoro sottopagato della madre, impiegata in un laboratorio di sartoria. Nel 1965, Rocha vinse una borsa di studio per la Taft School, un istituto d’élite in Connecticut.
Qui, come spiegò alla rivista degli ex alunni della scuola nel 2004, subì una serie di discriminazioni per il colore della sua pelle arrivando persino a considerare l’ipotesi del suicidio dopo il rifiuto di quello che considerava il suo migliore amico di condividere la stanza con lui.
Dopo essere uscito dalla Taft School, si laureò all’Università di Yale. Secondo gli investigatori del Dipartimento di Stato fu proprio in questo periodo, nel 1973, che l’agenzia di spionaggio cubana reclutò Rocha durante un suo viaggio in Cile quando il presidente Salvador Allende fu deposto da un colpo di stato militare appoggiato dagli Usa.
Naturalizzato cittadino statunitense nel 1978, in seguito Rocha conseguì anche diversi titoli presso le università di Harvard e Georgetown. La sua carriera nel Dipartimento di Stato cominciò invece nel 1981, portandolo a ricoprire diversi incarichi di rilievo in America Latina, tra cui una serie di missioni in Bolivia, Argentina, Honduras, Messico e Repubblica Dominicana.
Per un breve periodo, durante l’amministrazione Clinton, riuscì addirittura ad arrivare al Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca. Tanto che la sua carriera culminò con l’incarico di ambasciatore americano in Bolivia tra il 2000 e il 2002. Qui, secondo quanto riportato dal New York Times nel 2002, si rese protagonista di un curioso episodio che coinvolse l’allora candidato e poi presidente cocalero Evo Morales, appoggiato da Fidel Castro.
In qualità di ambasciatore in Bolivia, Rocha avvisò infatti gli elettori che scegliere l’esponente della sinistra come capo dello stato avrebbe messo a repentaglio gli aiuti statunitensi al Paese, una dichiarazione che finì solo per favorire Morales, che arrivò a ringraziare il diplomatico definendolo il suo “miglior capo della campagna” elettorale.
Una volta lasciato il Dipartimento di Stato fu poi nominato consigliere del capo del Comando Sud delle Forze armate degli Stati Uniti (SouthCom), la cui area di competenza comprende proprio Cuba, dove negli anni Novanta era già stato assegnato come consigliere presso la missione diplomatica Usa a L’Avana, ai tempi del suo importante ruolo nel Consiglio di Sicurezza Nazionale.
Tutto questo ha dato accesso a Rocha a documenti e informazioni importanti, tra cui le valutazioni diplomatiche e dell’intelligence sul regime cubano, i profili biografici dei diplomatici, i dettagli sui programmi segreti gestiti dagli Usa e i rapporti sull’isola provenienti dal resto del mondo.
Il potenziale danno arrecato dall’ex ambasciatore alla sicurezza nazionale statunitense è così elevato, ammise a dicembre il portavoce del Dipartimento di Stato Matthew Miller, che l’amministrazione e l’intelligence stanno ancora cercando di valutarlo. Secondo quanto dichiarato ieri dalla Procura distrettuale, si tratta di un “procedimento lungo” che è tuttora in corso ma alla fine potrebbe anche rivelarsi impossibile conoscere la vera entità dei danni causati da Rocha.
La scoperta
Dal processo non sono emersi dettagli sul perché la Fbi abbia cominciato a nutrire sospetti sull’ex ambasciatore ma, secondo gli atti, tutto cominciò a fine ottobre 2022 con le dichiarazioni di un informatore, la cui identità non è stata rivelata. In seguito però Rocha fu avvicinato da un agente del Fbi sotto copertura, che si presentò come una spia cubana.
Durante le conversazioni via WhatsApp con l’infiltrato, l’ex diplomatico si tradì rivelando il ruolo giocato negli ultimi 40 anni. Dalle indagini emerse addirittura che aveva incontrato i suoi referenti a Cuba nel 2017, volando prima da Miami alla Repubblica Dominicana con il suo passaporto americano e poi da Panama a L’Avana con un documento dominicano.
Alla fine incontrò l’agente sotto copertura in una chiesa di Miami nel giugno 2023, confermando i sospetti del Fbi e dichiarando di essere ancora in servizio attivo per l’intelligence cubana, malgrado il congedo dal Dipartimento di Stato. L’uomo però fu arrestato soltanto nel dicembre scorso. Oggi, come previsto dal patteggiamento, sta collaborando con le autorità statunitensi.