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Home » Esteri

Io, 25enne venezuelano, vi racconto come si sopravvive nel mio paese

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Sergio, un ragazzo di 25 anni che lavora nel comune di Chacao, nello stato di Miranda, racconta quanto sia diventato difficile vivere in Venezuela

CACHAO, VENEZUELA – Code chilometriche davanti ai supermercati, cibo razionato attraverso il “sistema di controllo degli acquisti” e zero prospettive per il futuro: è questo oggi il Venezuela. 

Tra lo stato chavista e la popolazione venezuelana qualcosa si è rotto da tempo, ma nelle ultime settimane la situazione già grave e precaria del Venezuela ha passato il limite: si sono verificati in diverse parti del paese saccheggi e rivolte. Il più grave tra tutti è avvenuto nei pressi di Maracaibo, nell’ovest del Venezuela: centinaia di persone hanno assalito e saccheggiato circa 50 negozi di alimentari, vestiti e elettrodomestici. 

Come se non bastasse, il governo di Nicolas Maduro ha recentemente annunciato che tutto il Venezuela entrerà in un programma di razionamento dell’energia elettrica per 40 giorni, dovuto all’assenza di piogge nella zona dove si trova il bacino idrico del Guri, nel sudest del paese, il quale è responsabile del 60 per cento della produzione dell’energia elettrica nazionale. Invece di investire nelle rinnovabili, il governo ha “rattoppato” il surplus di fabbisogno costruendo piccoli impianti di potenza funzionanti a idrocarburi, quindi con bassissimi indici di efficienza e alti livelli di inquinamento.

Il governo non ha curato la manutenzione di questi piccoli impianti e di quelli già esistenti, permettendo che tali fondi andassero perduti nel mare dilagante della corruzione e del clientelismo, un mare che bagna praticamente tutte le “neo-democrazie-socialiste” dell’America Latina, dal Venezuela alla Bolivia al Brasile, anch’esso infatti in crisi politica ed economica. 

“Lavoro da circa un anno e mezzo nell’ufficio dell’amministrazione comunale, nelle risorse umane: in pratica mi occupo della contabilità dei progetti, del pagamento degli stipendi dei lavoratori del comune: a gennaio guadagnavo 14mila Bolivar (Bs), più 7mila Bolivar in buoni pasto, oggi 24mila e seicento bs e 6mila di buoni pasto: questa differenza la sottolineo per far capire quanto tutto sia in continuo mutamento”. 

“Prima potevo coprire tutte le mie spese ricreative, potevo persino fare dei regalini alla mia ragazza. Adesso non posso permettermi nulla di tutto questo: andare anche solo al ristorante in due mi costerebbe l’intero stipendio. Fortunatamente viviamo entrambi con i nostri genitori. Fare una spesa minima per due persone a gennaio mi costava circa 100mila bs, oggi mi costa 224mila bs (circa cento euro): è bene chiarire che non sto parlando del cambio ufficiale, quello imposto dal governo che è una menzogna, ma quello che affronto tutti i giorni per le strade e nei supermercati e che tutti i giorni varia sempre più”.

Il suo sguardo mentre si racconta è cupo, preoccupato. D’altronde come potrebbe essere diversamente, guadagnando circa 8 euro al mese (più tre euro in buoni pasto)? È impossibile poter vivere serenamente, figurarsi poi pensare di essere indipendente e poter vivere da soli.

“Questo sarebbe impensabile persino nelle più rosee delle fantasie. Con l’attuale inflazione dovrei, facendo due calcoli approssimativi, lavorare 20mila anni circa per potermi comprare una casa, ma anche così non sarei tanto sicuro di poterci riuscire”.

Il futuro è angoscioso e incerto. “Cercherò di resistere qui, almeno fino alla laurea. A me e alla mia ragazza manca un anno per finire l’università”.  

Un anno e poi probabilmente fuggiranno, perché vivere in Venezuela oggi è impossibile e non solo per la mancanza di prospettive lavorative, ma principalmente per la totale assenza di sicurezza nella vita di tutti i giorni e l’ormai quasi totale mancanza di beni di consumo: da quelli di prima necessità a tutti gli altri. Si tratta di un paese in cui trovare qualsiasi cosa è divenuta una sfida e, quando la fortuna ti assiste e trovi ciò che cerchi, ha costi proibitivi. 

“La nostra realtà quotidiana è assurda: a lavoro ci copriamo a vicenda per andare a fare la coda al supermercato. Una volta arrivati alla fine della coda, si domanda cosa c’è di disponibile quel giorno: spesso non è cibo e quando va bene è un po’ di pollo. Tutto rigorosamente razionato: ogni giorno ci sono sempre meno beni, come in guerra. Abbiamo un sistema di controllo degli acquisti di prima necessità, che riconosce le impronte digitali, di modo che tu non possa comprare una razione doppia di ciò che ti serve”.  

Per verificare quanto ci ha raccontato Sergio, siamo andati a fare la spesa al supermercato con un altro ragazzo del posto e siamo entrati dopo circa dieci ore di coda. Qualcosa di scioccante. Come se non bastasse, abbiamo potuto costatare che della semplice sabbia per il gatto a gennaio costava 4 euro e 50 centesimi, un chilo di cipolla 1 euro e 25 centesimi, mentre una scatola di tonno che costava 720 bs (circa 1 euro e 38 centesimi), oggi costa 3245 bs. Cifre assolutamente proibitive se rapportate allo stipendio di Sergio. 

“Avete rischiato parecchio, è vietato fare questo genere di foto”, ci dice in tono grave Sergio, che aggiunge: “questo tipo di controllo è solamente un tentativo di porre una toppa su un problema che dovrebbe essere risolto alla radice, non rattoppato. Peccato però che la radice del problema siano le stesse persone che cercano di rattopparlo. Adesso anche le bibite gassate rientrano in questo tipo di controllo, ma da quando in qua le bibite gassate sono alimenti di prima necessità? No, semplicemente non ci sono nemmeno quelle”.

La situazione, come si può ben notare arrivati a questo punto, è paradossale: il costo della vita in Venezuela è in dollari, ma gli stipendi no: è come se un cittadino statunitense guadagnando 12 dollari al mese, dopo un mese di lavoro potesse permettersi di acquistare con il suo stipendio circa 12 lattine di tonno. Oltretutto gli stipendi sono calcolati al tasso di cambio ufficiale, il quale non solo è molto lontano dalla realtà, ma non sappiamo neppure quale sia, dato che ne esistono sette, tutti differenti tra loro. La realtà “della strada” però è ben diversa da quella che provano a raccontarci i media del paese: i comuni cittadini che non hanno “conoscenze” non hanno voce e neppure diritti. 

In altre parole, attorno a questo tipo di controllo c’è un rilevante giro di corruzione, cosa che per i venezuelani non rappresenta certamente una novità.  

“Tu sei in coda da tutto il giorno e all’improvviso vedi arrivare un furgone della Guardia Nacional che, ovviamente armata, passa dal retro e prende tutte le razioni di cibo disponibile e tu torni a casa a mani vuote, dopo aver passato la giornata intrappolato in una coda chilometrica. Oppure semplicemente una volta arrivati alla cassa per acquistare la vostra razione settimanale di latte, potreste scoprire che qualcuno ha già acquistato quel latte al posto vostro. La corruzione è in ogni ambito”. 

Quando Chavez era al potere, la situazione era potenzialmente la stessa, l’unica differenza era il materasso di soldi su cui poteva riposare tranquillo, facendo quadrare tutto grazie ai “petrodollari”. Dopo la sua morte, nel 2013, ironia della sorte, i prezzi del petrolio sono precipitati e il materasso si è sgonfiato: il risultato è un’economia completamente “dollarizzata”, proprio laddove si diceva di voler giungere all’obiettivo contrario. Questa economia “dollarizzata” a fronte di un controllo di cambio è la principale, ma non unica, causa di questo disastro economico. 

Un’altra causa è la completa distruzione dell’apparato produttivo privato del paese: le aziende sono state espropriate da uno stato corrotto, che le ha depredate facendole fallire; non ci sarebbe stato altrimenti, il problema del desabastecimiento, il razionamento dei beni. Oggi il governo scarica la colpa sul settore privato, ma in realtà è tutto totalmente in mano sua, dalle aziende produttrici a quelle distributrici. 

“Siamo costretti a importare tutto, anche ciò che prima producevamo qui. Non so come faremo a uscire da questa situazione, ci vorrà ancora molto tempo, troppo per noi. Il governo non ha più l’appoggio della popolazione e persino il “calore” della gente che vive qui è molto cambiato. Oggi tutti sono sempre arrabbiati e il loro unico pensiero è di sopravvivere. La vita qui è davvero difficile, ci sentiamo isolati e senza speranza”.

* articolo di Romana Allegra Monti

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