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Home » Esteri

Venezuela: Maduro blocca X (ex Twitter) e accusa il patron Elon Musk di “incitamento all’odio e al fascismo”

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Nicolas Maduro ha sospeso per dieci giorni l’accesso alla piattaforma social X (ex Twitter) in Venezuela, accusando il proprietario, Elon Musk, di “incitamento all’odio e al fascismo”.

L’annuncio era arrivato ieri sera proprio dal presidente venezuelano durante una manifestazione dei suoi sostenitori, a cui aveva fatto sapere che l’agenzia statale responsabile delle telecomunicazioni Conatel avrebbe “tolto dalla circolazione” il social network, senza però fornire dettagli su come funzionerà tale sospensione.

“Nessuno mi farà tacere, mi confronterò con lo spionaggio dell’impero tecnologico”, aveva detto ieri Maduro, accusando il miliardario statunitense Musk di promuovere una guerra civile nel Paese dopo le contestate elezioni presidenziali del 28 luglio scorso. Il blocco è effettivamente in vigore, almeno secondo la piattaforma del settore NetBlocks.

Musk contro Maduro
Dall’inizio della crisi a Caracas, il patron di Tesla e SpaceX ha spesso attaccato il presidente venezuelano dal suo profilo X, definendolo prima un “dittatore” e poi un “asino”, quindi scusandosi “per aver paragonato il povero asino a Maduro: è un insulto al mondo animale”.

In occasione dell’inizio della repressione delle manifestazioni di protesta dell’opposizione, Musk aveva minacciato di portare il presidente venezuelano a Guantanamo “su un asino”. Quindi l’ha accusato di fare uso di stupefacenti.

“Maduro si sta chiaramente ubriacando con la sua enorme scorta di farmaci”, ha scritto un’altra volta Musk su X, pubblicando un manifesto in cui il presidente venezuelano risulterebbe ricercato dall’agenzia anti-droga statunitense DEA. La situazione nel Paese però è sempre più grave.

Crisi a Caracas
Il 2 agosto scorso il Consiglio elettorale nazionale ha ratificato la rielezione di Maduro con il 52 per cento dei voti, senza però rendere pubblici tutti i verbali dei seggi elettorali, sostenendo di essere rimasto vittima di un attacco informatico. Secondo l’opposizione però, che ha pubblicato i soli verbali ottenuti grazie ai propri scrutatori – la cui validità è stata messa in dubbio dai sostenitori del presidente uscente – Gonzalez Urrutia avrebbe vinto le elezioni con il 67 per cento delle preferenze.

Anche i governi di Brasile, Colombia e Messico, tradizionalmente alleati del Venezuela di Maduro, hanno chiesto al Consiglio elettorale nazionale di rendere pubblici tutti i verbali. Intanto però a Caracas e in altre località di tutto il Paese sono scoppiate le proteste, che hanno provocato almeno 22 morti tra i manifestanti e due tra la Guardia Nazionale, che ha proceduto all’arresto di circa 2.400 persone, compresi giornalisti, attivisti per i diritti umani e oppositori politici.

In settimana, la Procura generale ha aperto un’indagine penale contro i leader dell’opposizione Edmundo Gonzalez Urrutia e Maria Corina Machado per “usurpazione di funzioni pubbliche, diffusione di false informazioni, incitamento alla disobbedienza alle leggi, incitamento all’insurrezione e associazione a delinquere”. Entrambi affermano di temere per la propria vita e non appaiono più in pubblico da giorni. Gli ex parlamentari Williams Davila e Americo De Grazia sono invece stati arrestati.

La Corte Suprema invece ha convocato tutti i candidati alla presidenza, compreso Maduro (che dovrebbe comparire oggi davanti ai giudici) e altri politici dell’opposizione, per ascoltare le accuse di brogli. Intanto gli Usa hanno minacciato nuove sanzioni contro il Venezuela.

L’opposizione lancia l’allarme esodo: “Se Maduro decidesse di restare al potere con la forza, l’unica cosa a cui assisteremmo sarebbe un’ondata migratoria senza precedenti: tre, quattro, cinque milioni di venezuelani in un lasso di tempo molto breve”, ha affermato negli scorsi giorni in videoconferenza con alcuni giornalisti messicani la leader dell’opposizione Machado, a cui è stato impedito di candidarsi alle elezioni.

Secondo le Nazioni Unite, oltre 7 milioni di venezuelani sono già fuggiti dal Paese (che conta circa 30 milioni di abitanti) da quando Maduro ha preso il potere nel 2013, per lo più verso altri Paesi sudamericani e negli Stati Uniti.

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