I vaccini no-profit di Cuba che salveranno i Paesi in via di sviluppo
Gli Stati poveri avranno difficoltà nell'accesso agli immunizzanti contro il Covid-19 prodotti dalle case farmaceutiche. A Cuba si sta lavorando a vaccini no-profit totalmente pubblici che avranno costi molto bassi e potrebbero essere distribuiti nel Terzo mondo. Intervista a un ricercatore italiano a L'Avana
I vaccini no-profit di Cuba che salveranno i Paesi in via di sviluppo
“Dall’inizio della mia carriera universitaria come scienziato, tutti mi hanno sempre detto che, se volevi che un prodotto dal laboratorio raggiungesse la clinica e il paziente, dovevi passare necessariamente per una compagnia privata. Questo è quello che ci dicono tutti. C’era solo un modo per superare questo obbligo ed era quello di lavorare a Cuba, l’unico Paese che produce biotecnologie totalmente pubbliche e no-profit”.
Fabrizio Chiodo, del Cnr di Pozzuoli, è l’unico ricercatore italiano del più grande centro di ricerca per vaccini di Cuba, l’Istituto Finlay, con cui collabora dal 2013. Il rapporto iniziò per la volontà del ricercatore di unirsi a una grande impresa umanitaria: sviluppare un vaccino contro lo pneumococco da distribuire a costo zero a Cuba e nei Paesi in via di sviluppo che non possono permettersi i vaccini usati in Occidente.
Finora nel 2020 più di 72 milioni di persone in tutto il mondo sono state infettate dal virus Sars-Cov-2 e circa 1,6 milioni sono morte. Per fermare o almeno rallentare l’aumento incessante degli infettati, le più grandi compagnie farmaceutiche e istituzioni di ricerca biotecnologiche stanno lavorando a vaccini che possano immunizzare la popolazione mondiale.
Cuba, uno Stato socialista che da 60 anni fa i conti un blocco economico e commerciale, sta sviluppando quattro vaccini contro il Covid-19 – due dei quali sono dell’Istituto Finlay – totalmente no profit e pubblici. Come tutti gli altri vaccini prodotti dal Paese nel passato, saranno venduti a un prezzo molto basso agli Stati che lo vorranno comprare e il ricavato verrà reinserito completamente nel sistema pubblico.
Cuba, vaccini no-profit
“Saranno costi molto bassi, non solo eticamente perché il vaccino è no profit e pubblico, ma anche per un motivo tecnico”, spiega il ricercatore Chiodo a TPI. I vaccini di cui parliamo oggi in Occidente, infatti, saranno i primi ad arrivare per un motivo tecnologico, dato che sono a piattaforma mRNA e adenovirali. Quello di Cuba, invece, è un vaccino a subunità, che solitamente richiede più tempo e ha costi inferiori.
L’Istituto Finlay sta sfruttando piattaforme già utilizzate da 15 anni per superare un altro scoglio che renderebbe impossibile la distribuzione del vaccino delle grandi compagnie farmaceutiche nei Paesi in via di sviluppo, vale a dire la temperatura di conservazione.
Il vaccino di Pfizer dev’essere conservato a -80 gradi centigradi e per un Paese del terzo mondo è pressoché impossibile rispettare queste condizioni, ragion per cui l’istituto cubano sta sviluppando un vaccino stabile a temperatura ambiente.
Vaccino Covid: le difficoltà per i Paesi poveri
L’aspetto umanitario dello sviluppo vaccinale è molto osteggiato dalle grandi compagnie farmaceutiche, che stanno facendo accordi con i governi per distribuire i vaccini a costi contenuti. Tuttavia, ci sono già evidenti paradossi contro i quali si sta schierando, ad esempio, Medici Senza Frontiere (Msf): AstraZeneca-Oxford dichiara sulla carta che non farà profitto con il vaccino ma ha già deciso di prezzarlo in autonomia a partire da luglio 2021.
Stella Egidi, responsabile medico di Msf, spiega che “circa l’80% delle dosi iniziali del vaccino di Moderna sono già vincolate da accordi bilaterali non trasparenti con Paesi ad alto reddito, tra cui gli Stati Uniti, lasciando quantità insufficienti a disposizione dei Paesi in via di sviluppo e nei contesti umanitari più colpiti dalla crisi”.
Molte associazioni, tra cui appunto Medici Senza Frontiere, hanno denunciato le potenziali ineguaglianze nell’accesso futuro ai vaccini. Il Duke Global Health Innovation Centre di Londra è stato il primo a fare un’analisi completa che quantifica le dosi di vaccino acquistate dai diversi Paesi.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha spinto per la creazione di Covax, un piano a livello mondiale – sottoscritto sia dagli Stati ricchi che da quelli poveri – che ha promesso un accesso equo ai vaccini a livello globale. Tuttavia, sebbene facciano parte di questo schema, molti degli Stati occidentali hanno allo stesso tempo fatto degli accordi bilaterali direttamente con le grandi case farmaceutiche che stanno lavorando ai vaccini, arrivando a soddisfare un fabbisogno di 8 dosi per cittadino, quando per vaccinarsi ne servono 2.
Andrea Taylor, vicedirettrice del Duke Centre, ha ammesso a TPI che “sicuramente i Paesi ricchi avranno il vaccino prima, ma quando realizzi che i ventenni americani si vaccineranno prima degli anziani e degli infermieri in Etiopia, non si può non vedere l’ingiustizia. Bisogna vaccinare tutta la popolazione ad alto rischio nel mondo nello stesso momento”.
Secondo lo studio dell’istituto londinese, il fatto che i governi degli Stati del primo mondo stiano negoziando per comprare 8,8 miliardi di dosi di possibili vaccini potrebbe significare che gli Stati più poveri non raggiungeranno l’immunizzazione fino al 2024. Nessuna delle nazioni in via di sviluppo ha fatto accordi bilaterali con le compagnie farmaceutiche.
Tutte contano totalmente sul piano Covax per vaccinare la propria popolazione. “Non è chiaro come possiamo incentivare gli Stati ad alto reddito ad aspettare, prima di vaccinare la loro popolazione a basso rischio, che le categorie vulnerabili di tutto il mondo siano state protette”, sottolinea Andrea Taylor.
Cuba, una speranza per molti
In questo contesto, il lavoro pubblico e no-profit di centri di ricerca come quello dell’Istituto Finlay di Cuba sono l’unica speranza per molti. L’effettivo funzionamento di uno di questi vaccini potrebbe davvero cambiare le carte in tavola per gli Stati in via di sviluppo che altrimenti farebbero fatica ad accedere all’immunizzante contro il Covid-19.
“Sono molto orgoglioso”, confessa il ricercatore italiano Chiodo. “Non solo di dare un contributo alla società, cosa che penso dovrebbe essere l’obbligo ed etica di qualsiasi scienziato, ma anche farlo in modo totalmente pubblico, senza trarne assolutamente alcun profitto”.
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