La semantica del potere e le nuove parole della Casa bianca di Donald Trump

Avvertimenti alle potenze ostili e rivendicazioni territoriali all’estero. Minacce a immigrati e giornalisti sul fronte interno. Così il linguaggio del Tycoon plasma il dibattito pubblico e la politica negli Usa
Si dice che le parole siano armi. In questa seconda presidenza Trump, le parole usate dal capo della Casa Bianca, così come da molti degli uomini a lui più vicini, sembrano pezzi d’artiglieria usati contro tutti coloro che in un modo o nell’altro danno l’idea di mettersi in mezzo al loro ambizioso programma politico, senza fare distinzioni tra istituzioni, stampa e avversari politici. Giorno dopo giorno, un’amministrazione che a livello di politica internazionale sembra usare una diplomazia basata sulla forza, anche nel dibattito interno usa un meccanismo simile, portando all’ennesima potenza il concetto americano del «tell it like it is» (dire le cose come stanno, ndr), che ha reso popolare Trump, portandolo a diffondersi però senza alcun filtro e senza esclusione di colpi.
“Free speech”
E proprio in quest’ottica, il presidente non si è fatto particolari problemi a non escludere un intervento militare per prendere il controllo del canale di Panama o della Groenlandia, ritenuti territori vitali per gli Stati Uniti, con un’affermazione che fino a non troppo tempo fa avrebbe lasciato a bocca aperta l’intera diplomazia mondiale. Se questo non è avvenuto, è chiaro che il mondo sa bene che dall’imprevedibile Trump non c’è da aspettarsi frasi ortodosse troppo attente al cerimoniale. E se contro avversari storici come l’Iran le minacce belliche sono ancora più nette – come bombardarlo come mai visto prima in caso di mancato accordo sul nucleare –, se per Gaza ha proposto di trasformare il territorio devastato dalla guerra in un resort, ha mostrato chiaramente di essere pronto ad andare contro tutto e tutti con un audace paragone niente meno che con Napoleone Bonaparte: «Chi salva il suo Paese non viola alcuna legge», frase attribuita al generale corso e scritta da Trump sul suo social Truth.
Ma non è solo la diplomazia internazionale a essere messa in secondo piano. Il presidente, infatti, ha detto di desiderare correre per un terzo mandato alla Casa Bianca, nonostante la costituzione attualmente lo vieti, e ha detto che esistono modi per aggirare questo ostacolo, lasciando intendere a molti osservatori che la frase potrebbe non essere una semplice boutade.
Se nel suo secondo mandato Trump ha deciso di non moderare il proprio stile, diversamente dalla sua prima esperienza alla Casa Bianca ha deciso di mettere al suo fianco molte persone dalla visione politica e dalla comunicazione simili alla sua. Se Elon Musk si è notoriamente speso a favore del più radicale “free speech”, forse stupiscono meno di quelle di altri, come ad esempio quando ha attaccato i giudici che si sono pronunciati contro l’ordine esecutivo di Trump che impediva alle persone transgender di servire nell’esercito, parlando di «golpe giudiziario» e invitando il Senato a mettere in campo una procedura di impeachment contro quei magistrati. Ma se l’attivismo di Musk, spesso portato avanti tramite un’incessante attività a mezzo social in cui non manca di uscire fuori dagli schemi, non ci stupisce più di tanto, sono nomi magari meno noti al pubblico italiano ad aver reso alcune delle più controverse affermazioni della nuova amministrazione.
Intimidazioni al vertice
L’ultimo gesto che ha fatto discutere, tuttavia, non è stata una dichiarazione, ma un’immagine, quella della segretaria per la Sicurezza Nazionale Kristi Noem mentre teneva un discorso in posa di fronte alle sbarre di una prigione di El Salvador con oltre duecento cittadini venezuelani espulsi dagli States e deportati nel Paese centroamericano, lì esposti in bella vista in abiti carcerari. «Se non ve ne andrete, vi daremo la caccia, vi arresteremo e vi metteremo in questo carcere salvadoregno», ha spiegato Noem guardando in camera, lanciando una sfida a chi entra illegalmente negli USA e agli immigrati che commettono reati.
Già durante le audizioni che negli States precedono la nomina dei ministri, però, non erano mancati elementi che fanno discutere. Il segretario alla Difesa, Pete Hegseth, ad esempio, già al centro di numerose polemiche perché ritenuto da diversi osservatori una nomina poco ortodossa, non aveva dato una risposta univocamente chiara alla domanda su come si sarebbe comportato nel caso avesse ricevuto un ipotetico ordine incostituzionale dal presidente Trump. Hegseth, successivamente, è finito insieme a numerosi alti esponenti dell’attuale amministrazione all’interno di un caso insolito, goffo quanto preoccupante e che continuerà a far discutere, ovvero la creazione di una chat sul servizio di messaggistica Signal per coordinare l’attacco americano contro le milizie yemenite Houthi alla quale è stato erroneamente invitato anche il direttore della rivista The Atlantic Jeffrey Goldberg. Di fronte alla pubblicazione della notizia, che ha rappresentato uno scoop ed è stata diffusa con tutte le accortezze del caso, Hegseth ha attaccato Goldberg definendolo un giornalista «ingannevole e screditato» che «si occupa di spazzatura». A spalleggiare il numero uno della difesa è arrivato poi il consigliere per la Sicurezza Nazionale Michael Waltz, ritenuto il responsabile del pasticcio della chat, che ha definito il giornalista «feccia», mentre Elon Musk ha fatto loro eco dicendo che il posto migliore per nascondere un cadavere sarebbe pagina due del The Atlantic, perché nessuno guarda mai lì.
Prese di posizione che mostrano un linguaggio deciso, talvolta al punto da risultare violento, che non si fa problemi a puntare il dito contro persone o istituzioni consolidate e che sembra voler avallare quel manicheismo trumpiano di un mondo diviso tra “noi” e “loro”, tra “veri americani” e avversari della sua visione, secondo uno schema che in questo suo secondo mandato sembra destinato a consolidarsi ulteriormente, avendo Trump prediletto nomine a lui più fedeli rispetto ai repubblicani più tradizionalisti, legati alla visione dei Reagan e dei Bush, ben distanti dal Tycoon. Fedelissimi pronti a combattere per la causa trumpiana lontani dal linguaggio morigerato e istituzionale ma pronti a scagliarsi contro chiunque ostacoli il programma e la visione del presidente, risultando talvolta più eloquenti di un ordine esecutivo.