Iran, Usa e il nucleare: cosa sta succedendo in Medio Oriente e cosa aspettarsi
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Petroliere in fiamme, minacce nucleari, scambi di accuse e – come sempre – forte instabilità: questa la fotografia del Medio Oriente attuale dopo il riacuirsi delle tensioni nello Stretto di Hormuz.
Snodo fondamentale nel Golfo persico per il traffico di petrolio, lo stretto separa l’Oman dall’Iran ed è terreno di scontro tra Teheran e Washington, come dimostrano gli ultimi incidenti che hanno coinvolto diverse petroliere.
A far salire la tensione in Medio Oriente è stato anche l’annuncio dell’Iran del superamento entro una settimana del limite delle riserve di uranio a basso arricchimento consentiti dall’accordo sul nucleare del 2015.
Dichiarazioni che hanno scatenato un rimpallo di accuse tra Teheran, Washington (che per primo ha abbandonato l’intesa) e le altre potenze regionali che temono che il paese degli Ayatollah possa sviluppare un’arma nucleare.
L’unico ad essersi espresso a sostegno dell’Iran è stata la Russia, alleato regionale – e occasionale – di Teheran che vuole scongiurare un’allargamento dell’influenza statunitense in Medio Oriente.
L’invio truppe Usa
Gli Stati Uniti hanno invece reagito con l‘invio di nuove truppe in Medio Oriente, un netto cambio di passo rispetto alle passate mosse del presidente Donald Trump che a fine 2018 aveva deciso di ridurre la presenza americana nell’area.
L’inquilino della Casa Bianca, che aveva puntato la sua campagna elettorale sul disimpiego Usa da zone di conflitto per concentrarsi sui problemi interni del paese, sembra abbia ceduto – almeno in parte – alle pressioni dei falchi della sua amministrazione.
Primi tra tutti il segretario di Stato Mike Pompeo, che negli anni passati aveva più volte invitato il governo Obama ad attaccare l’Iran e presentando un conflitto armato come unica soluzione per evitare che anche Teheran diventasse una potenza nucleare.
Adesso però il segretario sembra sceso a posizioni più “moderate”: Pompeo ha infatti specificato che una guerra con l’Iran non è tra gli obiettivi degli Usa, ma il dispiegamento di nuove truppe è un segnale di non poco conto.
L’accordo sul nucleare
Alla base della tensione tra Usa e Iran (e non solo) vi è il Jcpoa, il Joint Comprehensive Plan of Action, noto come accordo sul nucleare iraniano firmato nel 2015 tra l’Iran, il P5+1 (i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite – Cina, Francia, Russia, Regno Unito, Stati Uniti – più la Germania) e l’Unione europea.
L’accordo era stato fortemente criticato da Arabia Saudita e Israele e il presidente Trump non ha tardato a stracciare l’intesa siglata da Obama e a ripristinare le sanzioni contro il paese degli Ayatollah, che ha sperato fino all’ultimo in un aiuto da parte dell’Unione europea.
Non a caso, nel dare l’annuncio della ripresa dell’arricchimento dell’uranio, l’Iran ha lanciato un ultimatum all’Ue. Ma il tempo a disposizione sta per scadere e non sembra ci siano soluzioni all’orizzonte.
L’Alta rappresentante Mogherini ha ribadito che l’Iran ha sempre tenuto fede all’accordo, come dimostrano i dati dell’Agenzia internazionale sull’Energia atomica (IAEA), ma dopo mesi l’Ue non è ancora riuscita a mettere in pratica l’Instex, il sistema di pagamento ideato per aggirare le sanzioni statunitensi e che eviterebbe il nuovo arricchimento di uranio da parte dell’Iran.
Venti di guerra
Da mesi la parola guerra è tornata alla ribalta e il timore dello scoppio di un conflitto armato nell’area preoccupa non poco, anche se la possibilità che i paesi del Golfo – e relativi alleati – prendano effettivamente le armi è basso.
Un conflitto aperto in una zona fondamentale per il traffico di petrolio avrebbe prima di tutto effetti negativi sull’economia di tutti i paesi coinvolti, senza contare che le grandi potenze come Russia e Stati Uniti, senza contare lo stesso Iran, sono già coinvolte in altre guerre regionali (in primis la vicina Siria).
L’attacco alle petroliere
Ultimo momento di tensione in ordine cronologico è stato l’attacco avvenuto il 14 giugno nello Stretto di Hormuz contro due petroliere, la Front Altair, battente bandiera delle Isole Marshall, noleggiata dalla compagnia petrolifera statale di Taiwan e appartenente alla norvegese Frontline, e la Kokuka, battente bandiera di Panama.
Dopo giorni, nessuno ha ancora rivendicato la responsabilità dell’attacco ma gli Usa hanno subito puntato il dito contro l’Iran pur senza avere prova schiaccianti.
Il video – Washington ha accusato Teheran di essere dietro la nuova escalation di tensioni nella regione sulla base di un video realizzato dalla Us Navy, che vanta una base nel Baherin, e in cui a detta degli Usa si vedono dei pasdaran iraniani avvicinarsi alla Kokuka per eliminare una mina inesplosa.
Una versione che lascia molti dubbi aperti e che non spiega perché l’Iran avrebbe deciso di compiere una simile azione proprio durante la visita del premier giapponese Shinzo Abe, giunto a Teheran per mediare tra il paese mediorientale e gli Usa.
L’arricchimento dell’uranio
La più grande preoccupazione di Usa, Arabia Saudita e Israele è che l’Iran continui – come sta per fare – con l’arricchimento dell’uranio e che possa sviluppare un’arma nucleare, cambiando così gli equilibri nella regione.
Il Jcpoa era stato firmato per scongiurare questa ipotesi, lasciando però libero l’Iran di usare l’energia atomica a scopo civile, sottoponendo tra l’altro il paese ai controlli dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica.
Adesso però le carte in tavola sono cambiate: dopo il ripristino delle sanzioni Usa e l’impossibilità per l’Iran di vendere il petrolio, a causa anche dell’inattività dell’Ue, Teheran non ha più nulla da perdere. Da qui la decisione dell’Iran di superare il limite delle riserve di uranio a basso arricchimento, anche se Teheran ha specificato che non ci sono intenti bellici dietro questa mossa.
Come sempre, l’equilibrio nella regione continua ad essere instabile. Non resta che vedere se l’Ue riuscirà a trovare una soluzione nei pochi giorni che restano e verso dove spireranno questi nuovi venti di guerra.