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Home » Esteri

Altri quattro anni? Cosa succederebbe se Joe Biden vincesse le elezioni presidenziali negli Stati Uniti

Immagine di copertina
Credit: AGF

Il presidente sta facendo di tutto per convincere gli elettori e il partito democratico di essere l’unico in grado di battere Trump, come nel 2020. Ma appare sempre più provato. Gli ultimi mesi sembrano un’anticipazione di come sarebbe il suo prossimo mandato. Il retroscena da Washington D.C.

«Solo il Signore Onnipotente potrebbe farmi uscire dalla corsa presidenziale», sono queste le orgogliose parole del presidente degli Stati Uniti Joe Biden in un’intervista con George Stephanopoulos del canale televisivo statunitense Abc, andata in onda venerdì 5 luglio.

Tutti attendevano questa intervista: il primo momento per il democratico faccia a faccia con un giornalista, senza filtri né testi revisionati da poter leggere, da quando il disastroso dibattito presidenziale ad Atlanta a fine giugno ha fatto crollare a picco, per ora, le sue possibilità di vincere un secondo mandato. Un’intervista dove Biden, sempre con un po’ di voce roca e perdendo a volte il filo del discorso (come spesso gli accade), ha assicurato che quella del dibattito era stata solo una pessima serata, dovuta a un brutto raffreddore e alla stanchezza per via di tutti gli eventi a cui aveva partecipato nelle settimane precedenti.  Nonostante avesse avuto, a dire il vero, più di una settimana per riposare prima del confronto con Trump. 

Questa chiacchierata con Stephanopoulos serviva, nelle idee della campagna di Biden, per rassicurare gli elettori e soprattutto i compagni democratici. Così non è stato. Biden continua a essere sul filo del rasoio, mentre aumenta il malcontento fra i ranghi del suo partito e cresce il numero dei parlamentari che lo esortano a ritirarsi, perché un candidato presidenziale debole potrebbe compromettere anche le loro possibilità al Congresso.

Avanti come un treno
Tuttavia, dopo una settimana di incertezza e dubbi sul futuro del presidente, come non ne avevamo mai visti in dieci anni di politica a Washington D.C., la conclusione è semplice: Joe Biden non si ritira, va avanti come un treno ed è assolutamente convinto di poter vincere le elezioni che, secondo lui, saranno più un referendum su Donald Trump, un po’ come fu nel 2020. In Italia dicono che il ritiro è ormai prossimo e inevitabile, ma la realtà, a meno di eventi catastrofici nelle prossime settimane, è ben diversa.

Certo, i sondaggi post dibattito sono impietosi, come quello del New York Times/Siena College, che rivela come il margine fra l’ex presidente repubblicano e l’attuale inquilino della Casa bianca sia aumentato rispetto ai sondaggi precedenti al 27 giugno, oscillando fra i sei e i nove punti percentuali, a seconda se si guardano gli elettori registrati o solo quelli potenziali. L’altra faccia della medaglia: osservando la media dei sondaggi, il presunto abisso non sembra poi così grande, solo tre punti, a dimostrazione di come gli Stati Uniti siano talmente polarizzati in questo momento che chi vota Trump, vota Trump, anche se è un condannato, e chi vota democratico, lo fa, nonostante alla guida ci sia una persona con evidenti limiti fisici e mentali derivanti dalla sua età. 

Ricordiamoci, inoltre, che i sondaggi hanno fatto fiasco negli ultimi anni, nel 2016 (Hillary Clinton vincitrice) e nel 2020 (Biden doveva stravincere e vinse per un pelo), quindi bisogna prenderli con le pinze, perché possono dire tutto e assolutamente niente. È più materiale per i giornali e le televisioni che un riflesso di come voterà realmente la gente il 5 novembre. Magari nei prossimi mesi, quando le elezioni saranno più vicine, si potrà avere un quadro più credibile.

Una curiosità? Biden è da febbraio che non viene visto approfonditamente dal suo medico personale. Come stia davvero, resta un mistero.

Può ancora cambiare idea?
La verità è che dipende solo ed esclusivamente da lui. Può ricevere tutte le pressioni di Washington, anche dagli stessi leader del partito che finora lo hanno appoggiato (ma senza troppa convinzione), eppure lo scenario di un presidente in carica e attuale nomination dei Democratici che viene messo da parte è solo una trama perfetta per un episodio della serie “House of Cards”. Non rispecchia come funzionano le dinamiche della politica americana.

Esiste la remota possibilità di una convention del partito, che si terrà a Chicago dal 19 al 22 agosto, che potrebbe diventare “brokered”, ovvero dove i delegati, dopo una prima votazione obbligatoria per Biden, potrebbero decidere di votare per un’altra persona. E allora sarebbe il caos. Giornalisticamente affascinante, politicamente una Waterloo per i democratici. Tuttavia, non c’è il sentore che questo possa accadere. Per ora.

Se Joe Biden, nelle prossime settimane, continuasse a dare segni di cedimento cognitivo, una “brokered convention” potrebbe guadagnare plausibilità, ma sarebbe veramente uno scenario da fantapolitica. Per la cronaca, l’ultima “brokered” fu nel 1952.

E se ce la facesse?
La maggioranza degli analisti è convinta che queste elezioni saranno veramente un referendum su Donald Trump, che promette vendetta contro tutto e tutti in caso di vittoria. 

«Sarò un dittatore solo per il primo giorno», disse nel dicembre scorso. Una possibile minaccia alla democrazia americana, secondo molti, rafforzata dalla recente decisione della Corte Suprema di garantire un’immunità quasi totale ai presidenti in carica. Per questo motivo, contro ogni pronostico attuale, Joe Biden potrebbe alla fine spuntarla e vincere un secondo mandato. Giusto perché è quello “calmo”. Quello meno estremista.

Avremmo di fronte un presidente degli Stati Uniti di quasi 82 anni (li compie il 20 novembre), già il più vecchio di sempre, che rimarrebbe in carica fino al 2028, quando ne avrà compiuti 86. Questa settimana alcuni insider nella Casa Bianca hanno rivelato come Biden sia improvvisamente peggiorato, a livello fisico e mentale, negli ultimi mesi e che i momenti di sbandamento siano aumentati, facendosi più frequenti. Un presidente spesso confuso. Ovviamente l’amministrazione ha negato tutto, come ha negato che Biden abbia detto a un alleato di non essere più così sicuro di poter recuperare terreno alle presidenziali. I dubbi rimangono. 

Vedendolo quasi ogni giorno per lavoro, fra eventi di campagna elettorale e attività presidenziale, è evidente come Joe non sia più lo stesso di quattro anni fa, quando disse a Trump di stare zitto durante il primo dibattito di Cleveland. La sua voce è spesso roca, si ha difficoltà a volte a sentire cosa dice, e qualche volta persino a comprendere cosa stia dicendo. Si ha il timore che possa cadere da un momento all’altro. La fragilità di un amorevole nonno. 

Inizia un discorso, e lo lascia a metà. A volte rimane paralizzato, come durante la celebrazione del Juneteenth, e gli svarioni sono frequenti, come quando ha detto in un’intervista radio, poco dopo il dibattito, di essere stata la prima donna afroamericana ad aver servito un presidente afroamericano. Non che in passato non ne facesse di errori e strafalcioni, anzi, ma gli ultimi mesi sembrano essere un’anticipazione accelerata di cosa potrebbe succedere nei prossimi quattro anni. E andando a peggiorare perché, ricordiamoci, Joe Biden è pur sempre un uomo di ottantun anni. 

Lui stesso ha ammesso in un incontro con alcuni governatori democratici che dovrà ridurre le sue attività, specie quelle dopo le otto di sera, per rimanere fresco e presidenziale. 

Il 2028, oggi, sembra una data lontanissima. E in pochi, anche i più ottimisti, credono che Biden possa arrivarci in uno stato accettabile, capace di fare il proprio lavoro. Il presidente ha detto che è sicuro di farcela, ma alcuni, anche vicini a lui, non hanno una visione così rosea. 

Una persona che ha una fede incondizionata e che, anzi, lo sta spingendo ad andare avanti è Jill Biden, la first lady. E il suo circolo ristretto di assistenti, lo stesso che si dice lo protegga come fosse dentro a un bozzolo, isolandolo dalla stampa, dagli strapazzi, dalle brutte notizie, a volte dalla realtà così com’è.

L’ora di Kamala
Non è da escludere la possibilità che possa arrivare finalmente il momento di Kamala Harris, l’attuale vicepresidente, una volta sconfitto Trump e se la situazione di Biden peggiorasse ancora di più.  Secondo l’agenzia di stampa Reuters, il nome era già circolato negli ultimi giorni fra i gruppi privati democratici come possibile sostituto in corsa del presidente in queste elezioni. Tra le tante opzioni, forse la scelta più naturale, vista l’esperienza a livello nazionale e internazionale, senza contare il suo profilo: donna, afroamericana, con radici inoltre asiatiche. 

Una combo vincente per un partito progressista come quello democratico. 

Molti addirittura pensavano che sarebbe stata lei la candidata presidenziale 2024, visto che Biden si era fin dall’inizio definito come un presidente ponte, di passaggio. Tutto ciò è cambiato quando Joe ha annunciato che avrebbe corso per la Casa Bianca di nuovo. Varie fonti interne all’amministrazione dicono che Kamala Harris, con il suo basso profilo e i pochi successi ottenuti come vice, incluso non riuscire a limitare i flussi migratori alla frontiera sud con il Messico, fu reputata incapace di battere Trump. Eppure le cose cambiano.

Tornando al presente: Harris ha immediatamente espresso il suo appoggio a Biden dopo il dibattito, ma di fronte a un presidente impossibilitato a continuare il proprio mandato, sarebbe lei, in quanto vice, il futuro della Casa Bianca. Anche per dare continuità alle politiche a livello interno e internazionale degli ultimi anni.

Il futuro dei democratici
Se Kamala Harris potrebbe essere l’ancora di salvezza in caso di un Joe Biden inabilitato, senza auspicare nulla di peggio, le posizioni degli Stati Uniti rimarrebbero quelle che abbiamo visto finora a livello internazionale: appoggio continuo e duraturo all’Ucraina e Israele, affrontare la Cina ma senza antagonizzarla (sperando di non ritrovarsi con la patata bollente d’una invasione a Taiwan fra le mani), una presenza sicura e affidabile con gli alleati, in primis quelli della Nato. E un sostegno serio alla scienza e alla lotta contro il cambiamento climatico. 

Considerando che il Senato dovrebbe tornare in mano repubblicana, secondo le previsioni, mentre la Camera dei Rappresentanti dovrebbe passare ai democratici, a livello nazionale il duo Biden/Harris avrebbe la stessa manovra limitata che ha avuto in questi tre anni e mezzo per proporre leggi importanti come, ad esempio: la federalizzazione del diritto all’aborto, un aumento del controllo sulle armi e una riforma migratoria. 

E se Harris, come vicepresidente, fosse il futuro prossimo del partito, già nel 2028 si potrebbero vedere molti nomi fra i democratici con serie possibilità di vincere. Il primo fra tutti? Gavin Newsom, attuale governatore della California, figura rampante del partito che sta ora facendo campagna per Biden e che molti dipingono come un nuovo Clinton: affascinante, intelligente, carismatico. E soprattutto con meno di sessant’anni. 

Un’altra figura è la governatrice dello stato in bilico del Michigan: Gretchen Whitmer. Anche lei, come Newsom, è sostenitrice di Biden, ma con un tasso di gradimento tale nel Michigan, che supera quello di Trump dodici a uno. E considerando che assicurarsi in partenza uno stato chiave come il Michigan potrebbe valere una fetta delle presidenziali, è un fattore da non sottovalutare. 

In conclusione, l’underdog, quello che nessuno si aspetterebbe: Pete Buttigieg, l’attuale segretario ai Trasporti. Giovanissimo, solo 42 anni, membro della comunità Lgbtqi+, quando uno lo ascolta sembra di sentire Barack Obama che parla. Nel 2020 vinse le primarie dell’Iowa a sorpresa, per poi defilarsi con il progredire delle elezioni democratiche, ma è un profilo che potrebbe affascinare, soprattutto i giovani e alcune minoranze. Avendolo conosciuto di persona, non mi stupirei di vederlo come un candidato forte fra quattro anni.

Importante: dimenticatevi Michelle Obama. Ogni due o tre mesi in Italia presentano questo nome, ma la signora Obama tutto vuol fare nella vita meno che tornare alla Casa Bianca. Credetemi. 

Vi starete chiedendo: perché non presentarli già adesso? Tutti questi nomi sono stati risparmiati finora per una semplice ragione, ovvero non bruciarli di fronte un’entità talmente mastodontica e polarizzante come Donald Trump. Una persona che va ben al di là dell’essere un repubblicano e che molti americani seguono come fosse più di un semplice politico.

Ma il problema è ora
Se il futuro sembra abbastanza promettente tra le fila del partito democratico, mentre nuove figure, ancora sconosciute, potrebbero emergere nei prossimi anni, il problema rimane ora. Biden sta facendo di tutto per convincere gli elettori che può trionfare e che sia l’unico in grado di battere Trump, come fece nel 2020. A favore di Biden resta il fatto che mancano ancora quattro mesi per le elezioni e quattro mesi sono un’eternità a livello elettorale. Tutto può ancora succedere. 

Ulteriore aspetto: nomi alternativi non sembrano attrarre più voti di quelli che prenderebbe lui, secondo i sondaggi. Manco quello di Kamala Harris.  Allo stesso tempo, il danno fatto nel dibattito e la titubanza nelle settimane successive potrebbero essere qualcosa che neanche la versione più brillante di Joe, come in passato è già accaduto varie volte, potrebbe rimontare.

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