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Usa: 2 dei 37 condannati a morte graziati da Joe Biden rifiutano l’atto di clemenza

Immagine di copertina
Joe Biden. Credit: ZUMAPRESS.com / AGF

I due detenuti si oppongono alla commutazione della pena in ergastolo senza possibilità di libertà condizionale costituirebbe uno svantaggio legale per i loro ricorsi basati su dichiarazioni di innocenza

Shannon Agofsky e Len Davis, due dei 37 detenuti federali degli Stati Uniti graziati lo scorso mese dal presidente uscente Joe Biden, hanno rifiutato l’atto di clemenza.

Il 30 dicembre scorso i legali di entrambi i detenuti del penitenziario statunitense di Terre Haute, in Indiana, hanno presentato un’istanza urgente presso la Corte federale del distretto meridionale dello Stato, chiedendo un’ingiunzione che impedisca la commutazione della condanna a morte in ergastolo senza possibilità di libertà condizionale. I due detenuti ritengono infatti che accettare l’atto di clemenza costituirebbe uno svantaggio legale per i loro ricorsi basati su dichiarazioni di innocenza.

“Commutare la sua condanna ora, mentre l’imputato ha un contenzioso attivo in tribunale, significa privarlo della protezione di un esame più approfondito. Ciò costituisce un onere eccessivo e lascia l’imputato in una posizione di fondamentale ingiustizia, che decimerebbe le procedure pendenti di appello”, ha fatto sapere la difesa di Agofsky, secondo la documentazione pubblicata dall’emittente NbcDa parte sua, invece, Davis ha ricordato di “aver sempre sostenuto che una condanna a morte avrebbe attirato l’attenzione sulla schiacciante cattiva condotta” contestata dai suoi legali al Dipartimento di Giustizia. “Ringrazio la Corte per la sua pronta attenzione a questo enigma costituzionale in rapida evoluzione. La giurisprudenza su questo tema è piuttosto confusa”, si legge nella sua istanza.

Agofsky è stato arrestato nel 1992 per l’omicidio del banchiere Dan Short, presidente di una banca locale di Noel, in Missouri, ucciso nel 1989 e il cui corpo senza vita fu ritrovato nell’ottobre di quell’anno nel Grand Lake, in Oklahoma. L’uomo è stato riconosciuto colpevole di rapina insieme al fratello Joseph, morto in carcere nel 2013, con cui avrebbe prima sequestrato e poi ucciso la vittima per sottrarre 71mila dollari dalla sua filiale. Ma Shannon si trova nel braccio della morte dal 2004 per un altro motivo: è stato infatti condannato aver picchiato a morte tre anni prima un altro detenuto, Luther Plant, in una prigione del Texas. “L’imputato non ha mai richiesto la commutazione della pena e non ha mai presentato istanza per questo motivo”, si legge nella documentazione che lo riguarda, secondo cui il 53enne mira ancora a “stabilire la sua innocenza nel caso originale per il quale è stato incarcerato”. “L’imputato non desidera la commutazione della pena e si è rifiutato di firmare i relativi documenti”.

Davis, invece, è un ex agente di polizia di New Orleans che è stato condannato per l’omicidio di Kim Groves, una testimone 32enne, madre di tre figli, che nel 1994 aveva sporto denuncia contro il poliziotto accusandolo di aver picchiato un adolescente nel suo quartiere Lower Ninth Ward, scambiandolo per il sospettato di una sparatoria con le forze dell’ordine. Nel 1996 l’uomo, arrestato nell’ambito di una più ampia indagine sulla corruzione nella polizia di New Orleans, è stato riconosciuto colpevole di aver reclutato un sicario, uno spacciatore di stupefacenti, per uccidere la donna. La sua condanna a morte per omicidio e violazione dei diritti civili è prima stata annullata da una Corte d’appello federale e poi confermata nel 2005. Il 60enne, si legge nell’istanza presentata a fine dicembre, “ha sempre sostenuto la sua innocenza e che la Corte federale (che lo ha condannato, ndr) non aveva giurisdizione per processarlo per reati contro i diritti civili”.

Non è chiaro però se la mossa dei due detenuti avrà successo. Il Dipartimento di Giustizia di Washington non ha ancora commentato la notizia ma una sentenza emanata dalla Corte Suprema degli Stati Uniti nel 1927 sostiene infatti che “non è richiesto il consenso del condannato” in caso di grazia presidenziale.

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