Così negli Usa i colossi del web proteggono i loro monopoli digitali
Google influenza i risultati di ricerca a suo favore, Apple limita i servizi di pagamento nello store, Amazon compete con i venditori, Meta compra i concorrenti o li clona. Ma la politica Usa resta a guardare. E sotto elezioni si arrende alle grandi multinazionali
L’idea che un aspirapolvere robotico possa prelevare dati sulla vostra casa e inviarli ad Amazon risulterebbe sorprendente e inquietante allo stesso tempo. Se accadesse, Alexa comincerebbe a suggerire l’acquisto di un tappeto o di nuovi mobili?
L’accordo raggiunto dalla piattaforma di e-commerce per acquistare, al prezzo di 1,7 miliardi di dollari, l’azienda iRobot – produttrice dell’aspirapolvere robotico Roomba – permette al colosso della Silicon Valley di essere ancora più presente nelle case delle persone, aggiungendo un altro gadget a un consistente portafoglio di prodotti per l’automazione domestica.
L’acquisto di iRobot da parte della società di Jeff Bezos rappresenta un esempio di integrazione verticale, ovvero quell’insieme di operazioni che un’impresa compie per controllare e combinare tutti i processi produttivi e di distribuzione all’interno del suo sistema aziendale. Un tema molto caro proprio a Lina Khan – 33 anni, presidente della Federal Trade Commission statunitense – che ne aveva fatto il tema principale del suo famoso saggio Amazon’s Antitrust Paradox: il paradosso antitrust di Amazon.
In questo elaborato, pubblicato nel 2017, Khan sosteneva la necessità di un approccio più aggressivo nell’applicazione delle norme antitrust per contrastare il potere del colosso di Palo Alto e riteneva che contrastare l’integrazione verticale da parte delle grandi aziende tecnologiche fosse il primo passo per garantire la democrazia del mercato.
Lina Khan ha già aperto nuove strade nell’affrontare gli accordi verticali nel settore tecnologico. A luglio, ad esempio, la Ftc ha citato in giudizio Meta (casa madre di Facebook, ndr) per impedirle di acquistare il produttore di un’applicazione per esercizi virtuali chiamata Supernatural. Tuttavia la guerra di Khan sembra un percorso impervio e pieno di ostacoli.
Durante l’ultimo ciclo elettorale del 2020, i Democratici hanno promesso di cambiare questa situazione, arginando l’immenso e crescente potere di Big Tech. Tuttavia, a meno di due mesi dalle elezioni di medio termine, nessuna azione decisiva è stata portata a termine.
Google influenza i risultati di ricerca a favore dei propri prodotti, Apple limita i servizi di pagamento nel proprio app store, Amazon compete contro i propri vendor sulla sua piattaforma di e-commerce, Meta compra i suoi concorrenti oppure li clona.
L’unica possibilità per ottenere un cambiamento legislativo è dettata da una legge antitrust, che molti ritengono imperfetta, ma che potrebbe essere votata al Senato nelle prossime settimane. Si tratta dell’American Innovation & Choice Online Act, che ha lo scopo di impedire alle aziende dominanti di favorire i propri servizi e svantaggiare i competitor.
La proposta di legge, redatta dalla senatrice democratica del Minnesota Amy Klobuchar e dal senatore repubblicano dell’Iowa Chuck Grassley, è rimasta in stallo per mesi dopo le audizioni che hanno coinvolto gli amministratori delegati delle Big Tech.
Ma perché l’American Innovation and Choice Online Act viene considerata difettosa? Invece di determinare le dimensioni e le quote di mercato nelle diverse arene in cui solo i Big Five (Apple, Meta, Microsoft, Amazon, Google) possono giocare, la proposta di legge prenderebbe di mira le società in base alle loro valutazioni. Le aziende con un valore pari o superiore a 550 miliardi di dollari o con un fatturato annuo pari o superiore a questa stessa cifra sarebbero soggette a un controllo supplementare. Ma per adesso non c’è da preoccuparsi perché nessuno ha raggiunto questo traguardo, per cui attualmente nulla cambierebbe. Amazon, che festeggia il suo miglior anno di sempre, potrebbe raggiungere questi numeri l’anno prossimo. Meta è già scesa ben al di sotto dei 550miliardi di dollari di capitalizzazione di mercato, attestandosi di recente a meno di 450miliardi di dollari a causa delle difficoltà nel settore pubblicitario.
Ed Mils, analista della Banca d’investimento americana Raymond James – che monitora la politica governativa statunitense – sostiene che «anche se alla fine la legge dovesse passare – e l’industria tecnologica preferirebbe che non venisse votata – non c’è nulla che possa alterare il modello di business dei colossi della Silicon Valley».
Big Tech significa soldi e grande influenza. Quando queste proposte di legge sono pronte per essere votate, sono già state annacquate, revisione dopo revisione, grazie all’influenza delle lobby.
«Il lobbismo è una parte fondamentale, ci sono molti soldi di cinque grandi aziende che spingono sia i repubblicani che i democratici a dire che una legge antitrust troppo aggressiva possa essere negativa per i consumatori», ha dichiarato Rebecca Haw Allensworth, professoressa di legge alla Vanderbilt University.
A differenza di quanto accade in Europa, i legislatori statunitensi sono stati convinti a non agire perché eventuali azioni contro Big Tech danneggerebbero anche gli operatori più piccoli. I lobbisti di Amazon sostengono, per esempio, che i reclami per discriminazione da parte dei venditori terzi della società, potrebbero indurre il re degli e-commerce a sospendere i contratti con queste aziende partner, causando una riduzione della scelta e un aumento dei prezzi per i consumatori. Questo tipo di argomentazioni è quello che piace di più a Big Tech: «I nostri servizi sono gratuiti, offriamo dei prodotti a costo più basso, garantiamo più scelta». Ma a che prezzo?
Secondo alcuni esperti di antitrust come Herbert Hovenkamp, professore all’Università della Pennsylvania, l’approccio che il Congresso dovrebbe adottare per regolamentare Big Tech sarebbe quello di focalizzarsi sulle acquisizioni anti-concorrenziali che vengono costantemente effettuate dai Big Giants, cercando di eliminare e controllare le piccole minacce potenziali. Le aziende dominanti del settore acquistano i “nuovi arrivati” prima che diventino virali. Un esempio lampante è l’acquisizione di Instagram da parte di Facebook nel 2012.
Attualmente, la Federal Trade Commission sta diventando più aggressiva dal momento che il Congresso è ostacolato soprattutto dai rapporti tra i politici e Big Tech, che spesso rappresenta un partner piuttosto che una minaccia.
Tuttavia, non possiamo contare sul fatto che la Ftc e gli altri organismi di regolamentazione agiscano senza disporre di leggi adeguate. I tentativi di azioni legali recenti sono per lo più falliti. Per esempio, il primo tentativo di azione legale antitrust della Federal Trade Commission contro Meta è stato respinto. L’anno scorso la Ftc ha intentato una nuova causa alla società. Il caso è ancora in corso.
Il Congresso non è riuscito a fare nemmeno un passo avanti negli ultimi due anni, e un singolo voto su questo disegno di legge nel mese di settembre – se riusciranno ad ottenerlo – non produrrà un cambiamento reale. Se i Democratici vogliono usare Big Tech per segnare punti con gli elettori, devono agire in base alle loro promesse e regolamentare finalmente il web, differenziandosi dai propri predecessori, che per 20 anni sono rimasti in disparte a guardare il mondo cambiare per sempre.