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Home » Esteri

The Donald è tornato: ecco come ha fatto e cosa dobbiamo aspettarci dal Trump 2.0

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Illustrazione di Ansperto Radice Fossati / TPI

Dato per politicamente morto dopo l’assalto a Capitol Hill e i guai giudiziari, il miliardario si è ripreso la Casa bianca, andando oltre ogni aspettativa elettorale. Ecco le ragioni della vittoria e cosa può succedere ora

Quando il 6 gennaio 2021 i suoi sostenitori prendevano d’assalto Capitol Hill a Washington chiedendo che non venisse riconosciuta la vittoria di Joe Biden arrivata alle urne nel novembre precedente, tutto ci si sarebbe aspettati tranne vedere Donald Trump venire eletto, ancora una volta, presidente degli Stati Uniti nella successiva tornata elettorale. Incriminato per l’assalto con l’accusa di aver cercato di rovesciare l’esito elettorale, ma anche accusato di aver cercato di non convalidare il risultato delle elezioni in Georgia, di aver conservato nella sua villa documenti riservati e di aver falsificato la destinazione di denaro per la campagna elettorale nell’ambito della vicenda legata alla pornostar Stormy Daniels, silenziato su tutti i principali social network, Donald Trump sembrava ormai arrivato al capolinea della sua carriera politica. Non è stato così.

In un Partito Repubblicano sempre più distante dei neo-con di bushiana memoria, il trumpismo – fenomeno troppo spesso ritratto in maniera folkloristica, come uno scalmanato movimento di estremisti e cospirazionisti di vario genere – si è preso il principale partito del centrodestra d’Oltreoceano, ha sbaragliato letteralmente ogni concorrente alle primarie e ha giocato un vincente scacco al re, o meglio al presidente, alle ultime elezioni. Trump ha mostrato così di non essere un fenomeno di passaggio nella storia del Grand Old Party, ma di essere l’espressione di un sentimento all’interno del partito e dell’America e di avere un consenso più che radicato. La trasformazione repubblicana è stata ben evidente quando J.D. Vance, non un vice scelto per provare a bilanciare la figura di Trump come avvenuto nel 2016 con Mike Pence, ma chiara espressione del tycoon, si è presentato al mondo con un discorso che, se pronunciato un paio di decenni fa, lo avrebbe collocato in tutt’altra area politica. Una dura critica all’impegno militare all’estero, così come agli accordi commerciali come il Nafta, una difesa prima di tutto dei lavoratori, dei poveri, e di quell’America che ieri era la middle class motore del Paese e oggi si trova impoverita.

La tripletta
Se molti vedevano Trump fuori dai giochi, i fatti mostravano che invece non solo era nella partita, ma la stava combattendo con un’assoluta determinazione. E i democratici, forse anche per questo, si sono trovati spaesati. Mentre non era in alcun modo chiaro se Joe Biden sarebbe davvero stato il candidato dem, mentre il suo nome veniva cambiato in corsa scegliendo l’unica figura possibile che si può gettare nell’agone a pochi mesi dal voto come la vice Kamala Harris, Trump non si limitava a girare gli Stati in bilico, ma andava anche nella roccaforte democratica della California a poche settimane dal voto per provare a fare la differenza nei collegi della Camera in bilico, andava nella Virginia solidamente blu a cercare di farla diventare rossa contro ogni pronostico. Non ha voluto limitarsi a vincere, ma ha lavorato per una vittoria chiara che non si limitasse a portarlo alla Casa Bianca, ma gli consegnasse la cosiddetta “trifecta”, ovvero il controllo della presidenza e la maggioranza in entrambi i rami del Congresso. Obiettivo centrato, ma non senza rischi. Poteva infatti finire come quando nel 2016 Hillary Clinton, convinta della vittoria, andava a cercare clamorosi successi in Stati fino a quel momento ostici per i democratici, col risultato non solo di non essere riuscita a vincerli, ma anche di aver perso le vecchie roccaforti del blue wall. Possiamo però dire che nel caso di Trump le cose sono andate diversamente.

La sorpresa delle minoranze
Se nel 2016 Trump aveva vinto contro la maggior parte dei pronostici, però, stavolta la cosa è stata ben diversa, è stato un lavoro durato anni per provare a ottenere una vittoria in grado di dargli la massima operatività e provare a lasciare il segno. La chiarezza e la determinazione si sono scontrate dunque contro una campagna democratica che non solo ha dovuto affrontare la debolezza di un cambio di candidato in corsa, ma che su molti argomenti è rimasta apertamente generica, e tra la vaghezza e la determinazione in politica è più facile che sia quest’ultima ad avere la meglio, col rischio che la prima si trovi anche alcune brutte sorprese. 

Se i democratici hanno provato a fare il pieno soprattutto tra le minoranze, storicamente loro elettrici, stavolta si sono trovati diverse sorprese che la storia ci dirà se si tratti di un episodio a sé stante o qualcosa di più radicato nella società. Il caso più clamoroso in questo senso sono i latinos, che nelle recenti tornate hanno contribuito a trainare i risultati dem, risultando determinanti in alcuni Stati in bilico e portando il partito dell’asinello a sognare che, grazie alla loro crescita demografica, potessero portare il Texas a diventare dopo tanti anni di dominio repubblicano un blue state. 

I dati del 5 novembre, tuttavia, dicono che tra i latinos ha sì vinto Kamala Harris, ma solo con il 53 per cento, in netto calo rispetto al 65 ottenuto da Biden nel 2020, e Trump sia quindi andato molto meglio del previsto in questa fascia di popolazione, arrivando addirittura conquistare la maggioranza tra i maschi di origine ispanica. Se da un lato hanno pesato elementi legati alla regolarizzazione e alle politiche sull’immigrazione, non può non essere considerato un graduale abbandono del voto identitario in favore di un voto legato alla condizione economica, che Trump ha saputo meglio intercettare, e che solo il tempo ci dirà se si sia trattato di un semplice giro di valzer o un fenomeno destinato a durare negli anni.

La risposta trumpiana in contrasto a una vaghezza dei dem non lo porta solo a un risultato particolarmente alto tra gli ispanici, ma anche tra le donne (tra le bianche Trump ha vinto) e nella classe lavoratrice, segmenti che sono stati decisivi in tutte le ultime vittorie dei democratici alla Casa Bianca. Anche così, Trump ha proseguito quella rivoluzione elettorale, ben visibile anche in molti Paesi europei, che ha portato i democratici a essere più forti tra la popolazione più ricca e maggiormente istruita a discapito di quella meno abbiente e che non ha frequentato il college, rovesciando quello che era stato lo schema consolidato fino agli anni ’90 e i primi 2000.

Ritorno al Futuro
Il percorso politico che ha portato Trump dall’angolo in cui era finito dopo Capitol Hill alla vittoria del 5 novembre non è stato un percorso inevitabile, così come il consenso che ha ottenuto alle presidenziali non è stato inevitabile. Gli errori dei democratici sono stati diversi e su vari fronti, ma il più grande forse è stato aver pensato – o forse sperato, viene a questo punto da dire – che Trump fosse ormai fuori gioco, non accorgendosi però che era ancora in campo e ancora più determinato di prima, al punto da aver dato una nuova forma al Partito Repubblicano. 

Trump stavolta non ha guardiani messi lì dai notabili del partito a cercare di accompagnarlo ed eventualmente fargli correggere il tiro: dalla scelta di JD Vance come numero due, qualcosa che suona anche come un’indicazione per il futuro da parte del 78enne Trump, all’inclusione a pieno titolo nella campagna e nella nascente squadra di governo di Elon Musk, fino all’accordo con un candidato fuori dagli schemi tradizionali, ritiratosi proprio per sostenere il Tycoon, come Robert Kennedy Jr., questa campagna e questa vittoria repubblicane sembrano essere a tutti gli effetti a immagine e somiglianza di Donald Trump. E mentre in Europa ci chiediamo soprattutto cosa aspettarci sui dazi, sul Medio Oriente, sull’Ucraina e sul clima, mentre aspettiamo di capire se ora che è stato rieletto avrà dei nuovi emuli nel Vecchio continente, oggi più che mai dobbiamo ricordarci un aspetto fondamentale della sua prima esperienza da presidente e che potrebbe essere ancora più evidente nella seconda: con Donald Trump alla Casa Bianca, in un senso o nell’altro, c’è da aspettarsi di tutto.

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