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Usa 2024: ecco chi potrebbe essere il candidato vicepresidente di Kamala Harris

Immagine di copertina
Credit: ZUMAPRESS.com / AGF

La scelta cruciale per la candidata democratica in pectore alla Casa bianca sembra limitata a tre nomi ma dovrà risolversi al più presto, anche per motivi legali

La vicepresidente cerca un vicepresidente: la rosa dei possibili candidati da affiancare a Kamala Harris alle presidenziali del 5 novembre prossimo negli Stati Uniti è ancora lunga ma, a giudicare dalle indiscrezioni, dovrebbe limitarsi a una terzina di nomi tra governatori di Stati chiave e senatori, anche critici con l’amministrazione Biden. Una scelta cruciale per la candidata democratica in pectore alla Casa bianca e che dovrà risolversi al più presto, anche per motivi legali.

Il processo di selezione
Per evitare contenziosi in Ohio infatti entro il 7 agosto il Partito dovrà organizzare una consultazione online per indicare chi sfiderà l’ex presidente Donald Trump e il suo vice J.D. Vance. All’interno dei dem si domandano se, perché la votazione risulti regolare, accanto al nome di Kamala Harris debba già comparire il suo candidato alla vicepresidenza, una decisione che i membri del Comitato di regolamentazione della Convention nazionale democratica saranno chiamati a prendere già a partire dalla loro prima riunione di oggi.
I tempi comunque sembrano stretti. Secondo una proposta di regolamento pubblicata dal Chicago Sun Times, se l’unica candidata sarà la vicepresidente, il voto online si terrà già a partire dal 1° agosto. In caso di più contendenti in cerca della nomination, la consultazione sarà posticipata per “un breve periodo” per permettere ai candidati di “esporre le loro ragioni ai delegati e al pubblico”. L’obiettivo comunque è arrivare a una scelta entro il 7 agosto, in modo da garantire l’accesso alle schede elettorali in ogni stato ed evitare di dover attendere la Convention del 19 agosto a Chicago per arrivare a una nomination. Ma come sarà selezionato il vice di Harris?
Di solito una scelta del genere richiede mesi, mentre oggi siamo ad appena due settimane dalla data limite per la consultazione online e a quattro dall’inizio della Convention. Secondo quanto riporta la Cnn, gli avvocati del Partito democratico hanno già avviato il processo di selezione, con la creazione di team separati per i principali potenziali candidati.
L’intera procedura, secondo l’emittente statunitense, è stata affidata all’ex Procuratore generale degli Stati Uniti durante il primo mandato del presidente Barack Obama, Eric Holder, e al suo studio legale Covington & Burling.
Finora sarebbero stati esaminati meno di una decina di potenziali vice di Kamala Harris, a cui è stato chiesto di fornire informazioni circa la propria situazione finanziaria, storia familiare e altri dettagli personali che potrebbero influire sulla campagna presidenziale appena cominciata. Ma chi figura in questa lista e chi sono i candidati più probabili?

La rosa dei tre
L’elenco allargato è composto per lo più da uomini caucasici provenienti da Stati tradizionalmente in bilico e conta ben sei governatori su nove possibili candidati. Per essere sicura di vincere infatti Kamala Harris dovrà conquistare sia i tre Stati del cosiddetto “Blue Wall” (Wisconsin, Pennsylvania e Michigan), come fece Biden nel 2020, sia la cosiddetta “Sun Belt” (Arizona, Nevada, Carolina del Nord e Georgia).
Non a caso in cima alla lista figurano infatti il governatore della Carolina del Nord, Roy Cooper, e i suoi omologhi del Kentucky, Andy Beshear, e della Pennsylvania, Josh Shapiro. A questi tre si aggiungono poi i governatori del Minnesota, Tim Walz, dell’Illinois, J.B. Pritzker, e del Maryland, Wes Moore.
Ma, oltre a capi di queste sei amministrazioni statali, nell’elenco figurano anche due membri dell’amministrazione Biden: il segretario a Trasporti, Pete Buttigieg, e la segretaria al Commercio, Gina Raimondo, unica donna in lizza. Ultimo, ma non per importanza, il senatore dell’Arizona, Mark Kelly che, insieme a Roy Cooper e Josh Shapiro, è nella lista ristretta dei tre nomi capaci di farcela davvero.

Roy Cooper
Il governatore della Carolina del Nord è in carica dal 2017 e non potrà candidarsi per un terzo mandato a Raleigh. Come Harris, anche il 67enne è stato procuratore del suo stato, un incarico ricoperto per ben 16 anni dal 2001 al 2017 dopo essere stato senatore per un decennio (1991-2001) e deputato per cinque anni (1987-1991).
Il suo principale sponsor finora è stato il deputato della Carolina del Sud, Jim Clyburn, che in un’intervista concessa alla Cnn subito dopo la rinuncia di Biden alla rielezione ha sottolineato il contributo che Cooper potrebbe dare alla campagna di Kamala Harris per vincere in uno stato chiave in cui i democratici perdono ininterrottamente dal 2008. “La Carolina del Nord porta circa 15 delegati”, ha osservato. “Sarebbe una competizione molto positiva per noi se avessimo Roy Cooper in lizza”.
D’altronde avere alla propria parte il governatore rieletto per ben due volte nello stato che nel 2020 Trump ha conquistato con meno di due punti percentuali di scarto potrebbe essere un vantaggio. Sembra pensarla così anche l’ex governatore del Vermont, Howard Dean, ex presidente del Comitato nazionale democratico e candidato alle primarie nel 2004, secondo cui Cooper potrebbe aiutare Harris a vincere, come ha già fatto appoggiandola subito dopo l’endorsement di Biden.
“Se volete una candidata che possa mettere al centro della scena la distruzione di Roe contro Wade (la sentenza che dal 1973 consentiva l’aborto negli Usa, sconfessata poi a maggioranza nel 2022 dai giudici della Corte Suprema) da parte di Donald Trump, se volete una candidata che abbia effettivamente perseguito criminali come Donald Trump, e se volete una candidata che possa mettere in primo piano l’età e la forma fisica di Trump, Kamala Harris è la persona giusta”.
Ma sulla propria candidatura invece non si sbilancia: “Voglio rispettare il suo processo (di selezione, ndr), darle spazio per scegliere la persona migliore e non farò commenti”, ha detto ieri dopo un evento elettorale a Winston-Salem il governatore della Carolina del Nord, secondo cui esiste “una lunga lista di democratici che potrebbero fare un lavoro straordinario” nel ruolo di vicepresidente di Kamala Harris. “Ha persone straordinarie tra cui scegliere e sono sicuro che prenderà la decisione giusta, non solo per lei, ma anche per il Partito Democratico e per il Paese”.

Josh Shapiro
Ancora più prezioso per Harris potrebbe essere il contributo del governatore della Pennsylvania, capace – da democratico – di raggiungere l’anno scorso lo scranno più alto in uno stato chiave conquistato da Donald Trump sia nel 2016 che nel 2020.
Considerato l’astro nascente del Partito, anche lui è stato procuratore generale del suo stato come Harris e Cooper, con ottimi risultati elettorali. Tanto che nel 2020, quando fu rieletto, prese più voti di Biden (che correva per
la presidenza Usa)
e due anni dopo riuscì a diventare anche governatore, superando
di ben 14 punti percentuali
il candidato repubblicano Doug Mastriano, appoggiato espressamente dall’ex presidente Trump. A livello locale poi, secondo gli ultimi sondaggi, gode
di un gradimento superiore
al 54 per cento, conquistando
anche il 29 per cento dei repubblicani. Un sostegno bipartisan che potrebbe essere molto utile alla vicepresidente, che gode della stima di Shapiro.
“Conosco Kamala Harris da quasi vent’anni: siamo stati entrambi procuratori, abbiamo entrambi difeso lo stato di diritto, abbiamo entrambi combattuto per il popolo e ottenuto risultati”, ha scritto sul suo profilo X (ex Twitter) all’indomani dell’endorsement di Biden. “Kamala Harris è una patriota degna del nostro sostegno”. Chissà se lei riterrà utile il suo come vice.

Mark Kelly
Il più affascinante tra i personaggi in corsa come vice di Kamala Harris, non fosse altro che per la sua biografia, è sicuramente il senatore dell’Arizona, ex pilota della Marina, ex astronauta ed ex comandante della Stazione Spaziale Internazionale, Mark Kelly.
Marito dell’ex deputata Gabby Giffords, diventata una vera e propria icona per i democratici che si battono per maggiori controlli sulle armi dopo essere rimasta gravemente ferita durante un comizio elettorale nel gennaio 2011 a Tucson.
Cresciuto nel New Jersey con il fratello gemello Scott, ha servito come pilota della Marina degli Stati Uniti in Iraq durante l’operazione Desert Storm, ai tempi della prima Guerra del Golfo. Secondo il suo stato di servizio, ha portato a termine 39 missioni in guerra, proprio come suo fratello Scott.  Scelti entrambi nel 1996 dalla Nasa come piloti dello Space Shuttle, durante i suoi 15 anni di carriera da astronauta, Mark Kelly ha trascorso 54 giorni nello spazio, conducendo diverse missioni presso la Stazione Spaziale Internazionale, di cui è stato anche comandante.
Entrato in politica solo di recente (è stato eletto per la prima volta a Capitol Hill solo nel 2020), il senatore si è avvicinato per la prima volta al mondo di Washington dopo aver sposato nel 2007 la sua seconda moglie Gabby Giffords, da pochi mesi eletta deputata, poi ritiratasi dopo l’attentato del 2011. Allora Kelly si è congedò dalla Nasa per aiutare la moglie a riprendersi.
In seguito sono entrambi diventati degli accesi sostenitori del movimento per un maggiore controllo sulle armi, un tema che condivide con Kamala Harris, fondando anche nel 2013 il comitato politico “Americans for Responsible Solutions” poi evolutosi nella fondazione no-profit “Giffords”.
Alla sua prima elezione nel 2020 vinse il seggio da senatore con appena 78 mila voti di scarto sulla repubblicana in carica Martha McSally, aiutando però i democratici a conquistare la maggioranza in Senato. Due anni dopo però fece ancora meglio, superando lo sfidante repubblicano Blake Masters di oltre 125 mila preferenze, continuando a battersi per un maggiore controllo sulle armi ma non solo.
Subito dopo la sentenza Dobbs con cui i giudici della Corte Suprema annullarono a maggioranza Roe contro Wade, che dal 1973 assicurava l’accesso all’aborto in tutti gli Stati Uniti, Kelly si è battuto per rendere accessibile alle donne l’interruzione di gravidanza in tutto il Paese, un altro punto in comune con Kamala Harris.
Ma il senatore è stato anche critico con l’amministrazione Biden per le sue politiche sull’immigrazione, affidate proprio alla vicepresidente. In particolare, Kelly ha criticato l’abolizione del Titolo 42, che aveva consentito agli Stati Uniti di respingere i richiedenti asilo durante la pandemia di Covid-19.
In merito l’ex militare propone invece più agenti di frontiera e maggiore sostegno federale all’Arizona e agli stati di confine per gestire l’afflusso di migranti dal Messico, un argomento su cui i repubblicani continuano a criticare Kamala Harris, che potrebbe presentare Kelly come un campione della lotta all’immigrazione illegale se lo scegliesse come suo candidato vicepresidente.
Lui però si schermisce. “Non si tratta di me”, ha dichiarato Kelly alla ABC. “Mi concentrerò sul fare tutto il possibile per assicurarmi che (Kamala Harris, ndr) venga eletta perché non possiamo ripetere ciò che abbiamo visto tra il 2016 e il 2020”.

L’outsider: Andy Beshear
Chi invece sembra già parlare da candidato di Harris è Andy Beshear, il vero e proprio outsider presente nella lista allargata dei papabili vice della pretendente democratica in pectore alla Casa bianca. Soltanto ieri il governatore del Kentucky ha attaccato frontalmente il senatore dell’Ohio e candidato vicepresidente di Trump, J.D. Vance, definendolo un “falso”, sottolineando come sia rapidamente passato da aspro critico dell’ex presidente a erede del movimento Make America Great Again.
“Il problema con J.D. Vance è che non ha convinzioni”, ha dichiarato Beshear in un’intervista concessa a Kaitlan Collins sulla Cnn. “Ma immagino che il suo compagno di corsa (Trump, ndr) ne abbia 34″.
Figlio dell’ex governatore del Kentucky in carica per due mandati Steve Beshear, come Harris, Cooper e Shapiro, anche lui è stato procuratore generale del suo stato ma solo dal 2016 al 2019, quando ha sconfitto il governatore in carica Matt Bevin. Una vittoria significativa perché arrivata in una roccaforte repubblicana contro un candidato sostenuto direttamente da Donald Trump.
Il 46enne è stato poi appena rieletto a novembre con oltre cinque punti percentuali di scarto sullo sfidante repubblicano Daniel Cameron, anch’egli appoggiato dall’ex presidente. Un vantaggio non da poco in uno stato da sempre appannaggio del Grand Old Party.
Ma la convergenza con Kamala Harris è più profonda. Considerato un moderato, sull’aborto Beshear assume posizioni pro-choice, ma in Kentucky ha adattato il suo messaggio politico per concentrarsi principalmente sull’opposizione al rigido divieto all’interruzione di gravidanza in vigore nello stato, che non consente eccezioni nemmeno per le donne sopravvissute a uno stupro o a un incesto.
Attento ai diritti delle minoranze, durante il suo primo mandato è diventato famoso per aver ripristinato il diritto di voto per oltre 180 mila cittadini afroamericani con condanne per reati gravi ma non violenti. Nel 2020 inoltre, durante la pandemia di Covid-19, Beshear ha promesso di fornire assistenza sanitaria gratuita ai residenti afroamericani. Insomma, un altro uomo che potrebbe rivelarsi utile per la causa democratica negli stati più in bilico.

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