L’uomo che ripara le donne
Il ginecologo congolese Denis Mukwege da vent'anni aiuta le donne che hanno subito violenze durante la guerra civile della Repubblica Democratica del Congo
“Una volta violentate, spesso veniva introdotta qualunque cosa nelle loro vagine. Ho visto dei pezzi di albero, colpi di arma da fuoco, baionette, prodotti tossici”.
A raccontarlo è colui che è stato definito dalla propria biografa “l’uomo che ripara le donne”. Si tratta di Denis Mukwege, un ginecologo della Repubblica Democratica del Congo che dal 1999 cura le vittime delle violenze sessuali perpetrate durante la guerra civile del Paese dai soldati congolesi.
“Sono come un fazzoletto strappato: si devono riprendere i fili e riallacciarli uno a uno”, dice, parlando delle sue pazienti.
Mukwege ha curato più di 50mila donne dall’apertura del suo ospedale a Panzi, vicino alla città di Bukavu sul confine col Rwanda. La struttura è nata dalle ceneri dell’ospedale che si trovava prima nella stessa zona, a Lemera, abbattuto durante la guerra civile congolese.
Il dottore aveva creato l’ospedale per regalare alle donne del posto un luogo sicuro dove poter partorire, con una sala operatoria sterilizzata.
La sua prima paziente, però, non era una donna incinta, ma una ragazza che aveva subito violenze così gravi da perdere incontrollatamente urina e feci.
“Credo che fare una cosa del genere all’apparato genitale della donna non c’entri nulla col desiderio sessuale: è un desiderio di distruzione” racconta Mukwege. Secondo lui, un atto di tale violenza può essere perpetrato soltanto per umiliare e distruggere del tutto una persona pur senza ucciderla.
Gli stupri durante la guerra civile, che fece 5 milioni di vittime e decine di migliaia di sfollati dal 1996 alla sua fine ufficiale del 2002, avevano spesso luogo davanti alla famiglia e alla comunità della donna. Secondo il ginecologo costituivano un simbolo, da parte dei soldati responsabili delle violenze, che manifestasse la loro intenzione di togliere addirittura la possibilità di un futuro alle popolazioni, impedendo alle donne di partorire.
Mukwege però è riuscito a “riparare” diverse donne e a permettere loro di sposarsi e procreare di nuovo.
Nato nel 1955 nella Repubblica Democratica del Congo da un pastore protestante, Mukwege si è laureato in medicina in Burundi e specializzato in Francia. Dopo la seconda laurea ha deciso di tornare in Africa per aiutare le donne del proprio Paese.
Nel settembre 2012 Mukwege ha tenuto un discorso alle Nazioni Unite nel quale ha condannato i gruppi di ribelli responsabili degli stupri, affermando che ignorare le violenze significa rendersi corresponsabili di quei crimini.
A causa delle sue parole, al suo ritorno nella Repubblica Democratica del Congo, ha subito un attentato da parte di un gruppo di uomini armati, che è costato la vita a una delle guardie che lo accompagnavano. Le minacce alla sua famiglia che sono seguite all’aggressione lo hanno spinto a un esilio forzato in Svezia e a Bruxelles.
“L’uomo che riparava le donne” è, però, tornato al lavoro, nella sua patria, mosso dal coraggio delle donne che aveva curato in passato, che per averlo di nuovo tra loro non solo gli hanno acquistato un biglietto di ritorno, ma si erano dette disponibili a creare dei turni di guardia per proteggerlo loro stesse.
In uno stato che, dalla fine ufficiale della guerra civile nel 2002, è ugualmente in guerra continua per il controllo di miniere d’oro, rame, diamanti e coltan – il materiale in cui sono fatti cellulari e portatili – Mukwege ha subito diversi casi di boicottaggio.
“Nell’ospedale di Panzi gli stipendi del personale si aggirano sui cento euro al mese. Il governo, però, me ne chiede 650mila da pagare in tasse”, ha raccontato a Bruxelles, dov’era andato a presentare il documentario che lo vede protagonista: L’uomo che ripara le donne, appunto.
E proprio il lungometraggio è protagonista di una vera e propria censura da parte del governo della Repubblica Democratica del Congo, che pur avendo in un primo momento accettato di diffondere la pellicola, ha ritirato poi il permesso di riprodurlo nel Paese. Secondo il governo, il film conterrebbe attacchi ingiustificati all’esercito congolese, rappresentando le truppe come responsabili delle violenze.
Mukwege per il suo operato ha vinto svariati premi internazionali, dal cosiddetto Nobel alternativo, il Right Livelihood Award, che premia coloro che offrono risposte esemplari alle sfide più urgenti del presente, al Premio internazionale Primo Levi, consegnato dall’Italia alle personalità che hanno promosso i diritti umani anche a rischio della vita.
Ma soprattutto, Muckwege è stato insignito del Parlamento europeo del Premio Sakarov per la libertà di pensiero, nel 2014.
Ancora oggi il ginecologo continua a curare le vittime delle violenze nel Paese che le Nazioni Unite hanno definito “il peggior luogo del mondo per essere una donna”.