Viaggio tra gli ungheresi per capire cosa pensano sull’immigrazione in vista del referendum
La campagna propagandistica del governo ha voluto in tutti i modi associare i migranti ai terroristi e trasformare il referendum in un voto contro il multiculturalismo
BUDAPEST – Camminando per le strade di Budapest si ha la sensazione che il 2 ottobre si deciderà il destino del paese. La città è tappezzata da più di un mese di manifesti governativi che raccontano di milioni di nuovi immigrati pronti ad arrivare dalla Libia, di molestie sessuali compiute da profughi. La campagna propagandistica del governo finora non ha risparmiato alcun possibile stratagemma per associare l’ondata di profughi al terrorismo e trasformare il referendum di questa domenica in un voto contro il multiculturalismo e la perdita della sovranità nazionale.
Missione compiuta, visto che a molti cittadini ormai sfugge che l’oggetto del referendum fortemente voluto dal premier Viktor Orbán è su una questione decisamente più spicciola: decidere se accettare o no la rilocalizzazione temporanea di 1296 rifugiati in Ungheria. Con le mani sulla maggior parte dei mezzi di comunicazione e grazie a una campagna pubblicitaria da 16 milioni di euro, il governo è riuscito finora a imporre senza difficoltà la propria narrazione: “Non vedo perché Bruxelles ci debba imporre di ospitare una quantità d’immigrati pari alla popolazione di una città, soprattutto perché tra di loro potrebbero nascondersi dei terroristi”, commenta Ágnes Csizmadia, una pensionata che sta facendo la spesa nel mercato di via Fény a Buda.
Il suo commento ricalca esattamente uno slogan del governo che gioca cinicamente con la definizione di città, che in Ungheria può essere usato tanto per definire la capitale Budapest quanto un villaggio di 2.000 abitanti. Le fa eco Levente Papp, un impiegato secondo cui “gli ungheresi hanno il diritto di decidere con chi vivere e non vedersi imposta la convivenza con persone che non sono destinate a integrarsi”.
Se queste sono le opinioni che fanno solitamente notizia quando si parla del paese magiaro, esiste però una parte della cittadinanza che la pensa diversamente. “Quando ho aperto la cassetta delle lettere e ho trovato il depliant del governo sul referendum non credevo ai miei occhi. Diciotto pagine di disinformazione xenofoba e nazionalista pagata con i nostri soldi”, racconta davanti alla facoltà di lettere dell’università Elte Zsuzsa Varga, una studentessa ventunenne.
Si riferisce all’opuscolo stampato in quattro milioni di copie che oltre a includere dati distorti e la foto di una coda di rifugiati simile a quella utilizzata dall’Ukip in un suo manifesto a favore della Brexit, mostra una mappa con in evidenza alcune città europee, tra queste Londra, Berlino e Bruxelles, al cui interno si troverebbero delle presunte zone off-limits ormai sfuggite al controllo delle autorità a causa dell’alto tasso di immigrati. Il Ministero degli esteri britannico ha criticato l’opuscolo definendolo “chiaramente inaccurato”, mentre l’Ambasciata britannica a Budapest ha protestato ufficialmente. Varga non si recherà alle urne domenica: “il boicottaggio del voto è una delle possibili alternative per chi si oppone all’idea stessa di un referendum così demagogico. Se non venisse raggiunto il quorum sarebbe di certo un brutto colpo per il governo”, aggiunge.
Secondo Anja Wodicka, un’attivista per i diritti dei rifugiati con l’organizzazione locale Migszol, “la propaganda del governo ha presa facile sulle persone facilmente persuasibili e sta alimentando un pericoloso clima d’odio, ma durante la crisi dei rifugiati dell’anno scorso le iniziative nate dal basso o i gesti di solidarietà degli ungheresi erano all’ordine del giorno e raccontavano una storia ben diversa”.
Wodicka è consapevole che l’integrazione possa rivelarsi una sfida, “ma non è una ragione per costruire muri. Quando parliamo dei profughi come persone incompatibili con la cultura occidentale ci dimentichiamo che le nostre società non sono immuni dal sessismo, l’omofobia, la corruzione e le discriminazioni sociali. Ma soprattutto che gli attacchi terroristici di questi anni sono l’espressione di dinamiche sociali e politiche, non di specifici valori culturali”.
In una campagna elettorale velenosa in cui i partiti d’opposizione progressisti hanno dimostrato la loro inconsistenza e debolezza, l’unico elemento positivo arriva dal Magyar Kétfarkú Kutya Párt (Partito del cane ungherese a due code), un partito burla nato negli anni 2000 dalla mente di quattro artisti e cittadini ungheresi. Inizialmente il Mkkp faceva semplicemente una parodia dei partiti politici, il loro programma prevedeva vita eterna, due tramonti al giorno e birra gratis per tutti, ma con l’intensificarsi della propaganda governativa i suoi fondatori hanno sentito la responsabilità di fare qualcosa.
“Quando vedi ovunque questi poster che ti terrorizzano dicendoti che con l’arrivo dei profughi la nostra cultura sparirà e gli attacchi terroristici aumenteranno, inizi a pensare che i rifugiati siano degli zombi o dei virus. Siamo convinti che un governo non dovrebbe usare l’odio per manipolare i cittadini e ottenere consenso”, spiega Zsolt Victora, uno dei quattro creatori del Mkkp.
La loro campagna è stata finanziata con il crowdfunding e grazie a 5.000 sostenitori in un mese ha raccolto circa 115mila euro, tutti spesi per realizzare dei poster e dei volantini ironici che ridicolizzano il tono sensazionalistico e falsamente informativo dei cartelloni governativi. “Lo sapevi che un milione di ungheresi è pronto a lasciare il paese per andare in Europa?” si legge in un loro manifesto, mentre un altro recita semplicemente “Hai saputo che in Siria c’è una guerra?”.
Altri poster invece allarmano su una serie di potenziali minacce, dal bere dell’acqua in cui è stato sciolto dell’Lsd allo scivolare su una buccia di banana. “Questo governo è sempre alla ricerca di un nuovo nemico. Prima erano gli zingari, poi i gay, ora i rifugiati. È solo un modo per distogliere l’attenzione dai veri problemi del paese, per esempio la corruzione dilagante”, aggiunge Victora. Una recente indagine dell’organizzazione Transparency International mostra che il 54 per cento dei giovani ungheresi è stato personalmente testimone di un caso di corruzione.
Il Mkkp ha il centro di distribuzione dei propri manifesti all’interno di uno spazio culturale situato al terzo piano di un ex grande magazzino dell’epoca socialista. Al suo interno c’è un gran viavai di volontari entusiasti di tutte le età e si ha la sensazione che questo partito burla sia riuscito a mobilitare una fetta di cittadini delusi dalle forze politiche progressiste. È l’unico partito che invita a recarsi alle urne e invalidare la scheda, gli ultimi dati del sondaggio Publicus danno questa scelta attorno all’11 per cento: “Votare a questo referendum è un gesto di partecipazione necessario, ma siamo anche convinti che non esista una risposta giusta a una domanda così stupida”, conclude Victora.
*A cura di Alessandro Pilo