Ungheria, come muore la libertà di stampa al centro dell’Europa. Il reportage di TPI
I giornalisti di alcuni importanti media ungheresi raccontano a TPI come il premier Orban abbia silenziato i media a colpi di leggi, intimidazioni e operazioni finanziarie
Ungheria libertà di stampa | Il reportage di TPI
Budapest. I tram qui arrivano in orario. Il capolinea del tram 17 è nel quartiere Obuda, che dall’isola Margherita si estende fino alla periferia della città. A pochi minuti dal capolinea c’è la sede della televisione e della radio nazionale, la Mtva.
È una grande struttura moderna, composta da più palazzi, ci sono grandi vetrate riflettenti che la rendono luminosa nonostante il sole stia già tramontando. Di fronte a questa struttura, la notte tra il 16 e 17 dicembre 2018 e poi nei giorni a seguire, si è svolta un’imponente manifestazione contro la Tv di Stato, accusata di travisare la realtà e non informare i cittadini.
“Eravamo diverse migliaia, la lunga strada di fronte alla sede della televisione era gremita. Urlavamo: ‘Non saremo schiavi! Non saremo schiavi! E ‘Non siamo invisibili!'”, racconta a TPI Lili, una giovane ragazza di Budapest.
Le ultime due settimane del dicembre 2018 sono un momento caldo per l’Ungheria. Quasi un milione di persone si riversa in strada per protestare contro l’imminente approvazione della cosiddetta “legge schiavitù”, che aumenta le ore di straordinario per il lavoratori dipendenti e ne ritarda i pagamenti fino a tre anni.
I manifestanti si accorgono che la televisione pubblica sta sottostimando la portata della manifestazione e così, quella notte tra il 16 e il 17 dicembre, le strade intorno alla sede della Tv di Stato vengono invase.
“La televisione parlava delle proteste concentrandosi su due cose: la violenza dei manifestanti e la sporcizia che stavano lasciando in strada, nient’altro. Era assurdo”.
Lili ha 28 anni, è nata e cresciuta a Budapest e lavora per un’agenzia pubblicitaria. È una ragazza dai modi molto gentili e ha i capelli dai riflessi azzurri. Tra qualche mese partirà per l’Inghilterra e non pensa di tornare più.
“La mattina del 17 dicembre mi sono svegliata presto, stavo bevendo un caffè, sul cellulare ho iniziato a leggere quello che stava succedendo di fronte alla Mtva. Dopo poco ho aperto un live streaming: il personale della sicurezza stava buttando fuori alcuni parlamentari che erano entrati nell’edificio la notte prima. Mi sono detta: non è possibile”.
Durante la manifestazione alcuni deputati dell’opposizione, che per loro diritto possono entrare in tutti i gli edifici pubblici, attraversano le diverse file di poliziotti in assetto antisommossa e, una volta entrati nell’edificio, aspettano per ore un rappresentante della Tv, che però non si presenta.
Vogliono leggere alcune rivendicazioni, ma non gli viene consentito. Verso le prime ore della mattina vengono sbattuti fuori dall’edificio dalla security.
Lili continua: “In quel momento, guardando quelle immagini, ho capito che nulla di buono sarebbe potuto venire da questo paese. Mentre mi preparavo per andare a manifestare, ho detto a me stessa: o queste proteste porteranno a qualcosa di grande, qualcosa che cambierà la situazione, o me ne andrò. Oggi so che me ne andrò. Io non sono la prima e non sarò l’ultima”.
“In Ungheria – prosegue – abbiamo un detto: ‘L’ultimo che se ne va, sbatterà la porta’”. Secondo Reporter Without Borders, un’organizzazione non governativa che promuove e difende la libertà di stampa, la situazione dell’Ungheria è preoccupante per via della crescente concentrazione dei media in mano ad oligarchi vicini al Primo Ministro Viktor Orban.
Ungheria libertà di stampa | Come Orban ha silenziato i media
Il World Press Freedom Index, pubblicato nel 2019 dall’organizzazione, colloca l’Ungheria all’ultima posizione tra i paesi dell’Unione europea e all’87esima su 180 paesi nel mondo, dopo Perù e Sierra Leone.
“La proprietà dei media ungheresi, in modo crescente, sta continuando a concentrarsi nelle mani di oligarchi alleati con il Primo Ministro ultra nazionalista Viktor Orban”. E ancora: “Il più importante organo di stampa – la Népszabadság – ha dovuto chiudere”.
Nel 2010 Viktor Orban (qui il suo profilo) sale al potere e da allora, con il suo partito Fidesz, domina la politica del paese. Dal 2013 al 2019 l’indice di libertà di stampa dello Stato ha perso 31 posizioni, passando dalla 56esima all’87esima.
Il 12 settembre 2018 il Parlamento Europeo ha avviato una procedura di infrazione nei confronti dell’Ungheria, accusata di violare lo stato di diritto. Il timore è che il paese stia mettendo a rischio l’indipendenza della giustizia e la libertà di stampa.
Cosa sta succedendo in Ungheria? Prova a spiegarlo a TPI Richard Stock, amministratore delegato di Klubradio, una delle più ascoltate a Budapest.
“Quando abbiamo iniziato, nel 2001, Klubradio esisteva già. Noi l’abbiamo comprata e trasformato lo stile in un talk- news, l’80 per cento del nostro palinsesto era dedicato a cronaca e politica. Era una cosa unica in Ungheria e questo ci ha dato molta popolarità”.
Klubradio diventa rapidamente una delle più ascoltate. Nel 2010 contava più di 500mila ascoltatori su una popolazione di 10 milioni di abitanti.
“Poi nel 2010, quando Fidesz ha vinto le elezioni, le cose sono cambiate. Prima di tutto a cambiare sono state le regole. Il controllo delle autorità che vigilano sui media è passato dall’essere parlamentare, all’essere di fatto governativo”.
A luglio del 2010, uno dei primi interventi del nuovo governo è l’istituzione della National Media and Infocommunications Authority (Nmhh), con il compito di supervisionare il settore delle telecomunicazioni.
Nel dicembre dello stesso anno viene emanata una legge con la quale si stabilisce che il diritto di determinare il vincitore di gare d’appalto per frequenze radiofoniche e televisive spetta al Media Council, l’organo direttivo della Nmhh.
La legge stabilisce che i membri del Media Council siano nominati dal Parlamento, con una maggioranza di almeno due terzi. Fidesz ha più dei due terzi dei parlamentari e quindi il diritto di controllare l’intero consiglio direttivo dell’autorità che regola e vigila i media.
“Nel 2011 scadeva la nostra licenza e quindi abbiamo fatto richiesta per continuare a trasmettere sulla nostra frequenza. Le nuove regole però non ci favorivano. Obbligavano a dedicare tre quarti della programmazione all’intrattenimento e solo un quarto all’informazione. Per una radio come la nostra che ospitava dibattiti politici era impossibile. A concorrere per la nostra frequenza spuntò poi una compagnia sconosciuta, fondata nel 2011, con un capitale di soli tremila euro e una programmazione quasi inesistente. Vinsero loro e presero la nostra frequenza”.
Stock non ha dubbi: “Era solo uno strumento per farci fuori”. Dopo aver perso la gara Klubradio denuncia il caso in tribunale. Lo scandalo è troppo evidente e la battaglia di Klubradio rimbalza per le testate di tutta Europa.
Dopo questa prima causa, vinta, Klubradio ne vince altre due, sempre con l’autorità nazionale delle telecomunicazioni. “Il sistema giudiziario funziona e le nostre battaglie vinte ne sono la dimostrazione, ma purtroppo dal gennaio 2020 le cose non andranno più così”.
Stock fa una lunga pausa, poi continua: “Da pochi mesi è stata approvata una nuova riforma costituzionale che cambierà anche il sistema giudiziario. Verrà istituita una corte di giustizia per casi speciali, in cui i giudici saranno nominati direttamente dal ministro della Giustizia e quindi dal governo. Questa corte sarà titolata a trattare tutti i casi giudiziari contro la Media and Infocommunications Authority” .
Stock accenna un sorriso amaro. “La nostra licenza scadrà nel febbraio 2021 e dovremo procedere al rinnovo. Se l’Autorità delle comunicazioni deciderà di ostacolarci noi ci appelleremo nuovamente alla corte di giustizia, ma questa volta sarà una corte diversa, anch’essa in mano governativa. Il 2021 forse è l’anno in cui Klubradio chiuderà”.
Il caso Népszabadság
Nel 2021 una delle più importanti radio del paese rischierà di chiudere, ma non è una novità. La Népszabadság, letteralmente “Voce del popolo” ha chiuso l’8 ottobre del 2016.
“Non potevo crederci, non era possibile! Non puoi immaginarti che in un paese europeo il principale giornale di opposizione possa chiudere!” dice a TPI Péter Pető, uno dei più importanti giornalisti che lavoravano alla Népszabadság.
“Ci dissero che ci avrebbero trasferito in un altro ufficio e per questo avevamo preparato le nostre cose. La mattina dell’8 ottobre, mentre ci stavamo recando negli uffici della nuova redazione, ci hanno comunicato che il giornale chiudeva per problemi finanziari e di non presentarci alla nuova sede della redazione”.
Quella mattina i giornalisti scoprono che improvvisamente il giornale chiudeva. Le loro e-mail aziendali vengono bloccate. Il sito internet del giornale viene oscurato.
“Nel 2014 il gruppo editoriale che possedeva la Népszabadság, la Mediaworks, è stato comprato da un imprenditore, Heinrich Pecina, un austriaco che in Ungheria non aveva mai avuto a che fare con il settore dei media. Quell’uomo aveva una missione per conto di Fidesz, comprare il giornale per poi chiuderlo in cambio di favori commerciali, ma noi questo lo capimmo solo troppo tardi” dice Pető.
A 19 giorni dalla chiusura del giornale, la Mediaworks nomina il nuovo amministratore delegato, Gábor Liszkay, un uomo vicinissimo al primo ministro Victor Orbán.
“È lui che poi ha ‘finito’ il lavoro, che ha chiuso le ultime pratiche, e sappiamo che è lui ad aver pianificato le modalità per la chiusura del giornale. Adesso la Mediawork nelle sue mani sta attraendo a sé sempre più testate ed è il fulcro della neonata Central European press and Media Foundation”.
L’istituto a cui Pető fa riferimento viene fondato nel settembre 2018 e include quasi 500 organi di informazione, tra giornali, televisioni, radio e compagnie pubblicitarie in mano agli oligarchi più vicini a Fidesz.
Le motivazioni ufficiali sono “promuovere quelle attività dei media ungheresi che servono a rafforzare la coscienza nazionale ungherese”.
“Un’istituzione del genere, secondo le nostre leggi sulla concorrenza non potrebbe essere legale, perché è una concentrazione di media troppo grande che copre quasi il 24 per cento dell’intero mercato, ma il governo l’ha dichiarata un’istituzione di “importanza strategica nazionale” e da allora è praticamente intoccabile”.
A parlare a TPI è Attila Bátorfy, un giornalista investigativo che lavora per Atlatszo, giornale specializzato in inchieste. Bátorfy ha studiato a fondo il sistema che in Ungheria permette al governo di controllare il settore dei media.
“La Media Authority – dice – si avvale di un metodo che noi chiamiamo ‘regolamentazione fluida’. Produce dei regolamenti poco stringenti, che per essere applicati richiedono un’interpretazione che è la stessa Autorità a fornire, di volta in volta, e sempre a favore del governo. Qualche mese fa ad esempio l’Ungheria è stata invasa da poster raffiguranti le facce ghignanti di Juncker e Soros su cui era scritto: ‘Anche tu hai il diritto di sapere cosa Bruxelles si sta preparando a fare!'”.
I poster si riferivano alla procedura di infrazione aperta da Bruxelles. “L’autorità dei media ha catalogato quei poster come semplice ‘informazione di interesse pubblico’, ti rendi conto? Juncker e Soros ghignanti sono informazione di interesse pubblico in Ungheria”.
Non è finita qui. Bátorfy prende il computer e inizia a mostrare delle infografiche sull’incremento dei finanziamenti governativi ai media. Finanziamenti indiretti per comprare spazi pubblicitari per “informazioni pubbliche”.
Informazione pubblica qui equivale a propaganda, sostiene Bátorfy. Secondo i dati di Atlatszo nel 2006 tra i primi 25 gruppi editoriali che ricevevano questo tipo di finanziamento solo 8 erano considerati vicini al governo.
Nel 2018 tra i primi 25 gruppi finanziati 22 sono alleati con Fidesz e solo 3 sono gli indipendenti. “Qui lo Stato agisce sul mercato dei media in modo del tutto arbitrario” dice Bátorfy “ma la strategia di Fidesz prevede che questo tipo di finanziamenti, in modo minore, arrivi anche ad alcuni media indipendenti. Se una di queste compagnie ‘si comporta male’ può bloccare i fondi e metterli in crisi. È un’altra forma di controllo”.
L’Hvg, il principale settimanale del Paese, autorevole come un Economist dell’Est, il 25 aprile esce con una copertina in cui denuncia: “Messi al bando dai cartelloni pubblicitari. La censura è tra noi”. La compagnia pubblicitaria che da quarant’anni lavorava con Hvg ha interrotto i rapporti con la rivista.
Solo una settimana prima Hvg usciva con una copertina in cui veniva ritratta la moglie di Antal Rogan, capo del gabinetto di Orban, coinvolta in uno scandalo della pubblica amministrazione. Tutti i manifesti che annunciavano la nuova copertina sono scomparsi dalle colonnine della pubblicità nel giro di pochi giorni.
In Ungheria tutto accade dalla sera alla mattina, come per la Népszabadság.