L’ultimo abbraccio di un padre ai suoi gemelli morti nell’attacco di Idlib
Abdulhamid al-Youssef culla i due figli, Aya e Ahmad, morti nell'attacco sferrato nella città di Khan Sheikhoun il 4 aprile. L'uomo ha perso anche la moglie e 16 parenti
Abdulhamid al-Youssef non ha lasciato un secondo i suoi due gemelli morti nell’attacco chimico sferrato nella città di Idlib, in Siria, il 4 aprile 2017. Aya e Ahmad avevano appena nove mesi di vita e si trovavano in casa con la mamma quando è avvenuto l’attacco.
Abdulhamid non si dà pace e continua a cullarli avvolgendoli in un drappo bianco, prima di seppellirli. Oltre ai suoi due gemelli, morti martedì in un attacco chimico contro la città di Khan Sheikhoun a Idlib, nel nord della Siria, l’uomo ha perso anche sua moglie Dalal e altri sedici membri della sua famiglia.
Mercoledì, Abdulhamid ha dovuto seppellire i diciannove membri della sua famiglia in una fossa comune. Il ventenne gestiva un negozio nella città siriana, ed era sul posto di lavoro quando l’attacco aereo ha colpito nei pressi della sua abitazione, dopo le 6.30 ora locale.
Quando sua moglie lo ha allertato raccontandogli di quello che stava accadendo a pochi metri dal suo negozio, l’uomo si è precipitato a casa per portare in salvo la famiglia. Ha così condotto la moglie, i figli e altri parenti presenti nell’abitazione prima dell’attacco, nella cantina di un edificio accanto, al fine di proteggerli da eventuali bombardamenti.
Dopo circa un’ora, alcuni di loro hanno iniziato a manifestare dei sintomi sospetti: tosse, convulsioni e brividi. “La famiglia di Abdulhamid si era rifugiata in quel seminterrato e si sentivano al sicuro, ma poi hanno iniziato a manifestare i primi sintomi di soffocamento”, ha raccontato al Telegraph un cugino dell’uomo, Alaa al-Youssef. “I gemelli improvvisamente hanno cominciato a tremare e a respirare con fatica. Piano piano gli effetti di qualche sostanza nociva stavano uccidendo gradualmente la moglie, il fratello e i nipoti”.
“Sono morti tutti laggiù in quello scantinato, non hanno avuto nemmeno il tempo di raggiungere l’ospedale”, ha raccontato ancora il cugino di Youssef. Disperato e singhiozzante, al giovane negoziante non è rimasto altro che un abbraccio, l’ultimo, ai suoi figli e a sua moglie, prima di seppellirli.
“Gli attacchi chimici non lasciano segni”, ha sottolineato il dottor Mamoun Najem, un medico dell’ospedale al-Rahma di Idlib che ha accolto e curato numerose vittime dell’attacco chimico. “È un killer silenzioso che si fa strada nel corpo in modo lento”, ha precisato il medico, che ha visto decine di pazienti giungere nella struttura ospedaliera nella giornata, aggiungendo di non aver mai visto così tanti casi di avvelenamento in precedenza.
“Le loro pupille erano piccole come punte di spillo, e la loro pelle era fredda”, ha detto il professor Najem. A confermare il racconto del medico siriano, anche un infermiere che ha raccontato di aver sentito un odore acre: “Puzzava come cibo avariato. Anche in precedenza abbiamo curato vittime di attacchi al cloro, ma questo è stato completamente diverso”.
“Le vittime mostravano rivoli di vomito che fuoriuscivano sia dal naso che dalla bocca. Un liquido di colore giallo scuro o marrone. Facevano fatica a respirare, e i bambini morivano più velocemente rispetto agli adulti”.
Nella giornata di mercoledì 5 aprile, le autorità mediche della provincia di Idlib hanno rilasciato un elenco aggiornato dei morti: il bilancio è di 86 vittime, 30 dei quali erano bambini. L’attacco chimico di martedì è stato classificato come il più sanguinoso dal 2013, quando il governo siriano sferrò un attacco con gas Sarin in un sobborgo alla periferia di Damasco che uccise centinaia di persone.
Il bilancio delle vittime è destinato ad aumentare ulteriormente, poiché si ritiene che all’appello manchino numerosi civili. All’indomani dell’attacco non sono mancate le accuse e le ricuse contro il governo di Damasco e i filo-governativi: la Russia ha dichiarato che si è trattato di un attacco aereo sferrato dal governo siriano contro un magazzino di armi chimiche controllato dai ribelli, mentre gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno puntato il dito esclusivamente contro il regime del presidente siriano Bashar al-Assad.