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Benvenuti in Uganda, il Paese più omofobo al mondo

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Gli omosessuali ugandesi subiscono violenze e soprusi di ogni tipo. Molti dei quali compiuti addirittura dal governo

Uganda Paese più omofobo al mondo

Benvenuti in Uganda. Un paese dove gay e lesbiche sono sistematicamente perseguitati da governo e popolazione. Dove si cerca da anni di approvare una legge che sancisca la pena di morte per gli omosessuali. E dove ogni tipo di movimento in favore dei diritti gay viene osteggiato, delegittimato ed eliminato con la forza dal Ministero per l’Etica e l’Integrità.

Qualche dato: secondo alcune organizzazioni per i diritti umani, gli omosessuali in Uganda sarebbero circa 500 mila, su una popolazione totale di 36 milioni. Un sondaggio del 2007 del Pew Global Attitudes Project ha fatto emergere che il 96 per cento dei cittadini ugandesi ritiene che l’omosessualità debba essere estirpata dalla società. Una delle percentuali più alte al mondo. L’articolo 140 del Codice Penale prevede la condanna al carcere a vita per chi viene sorpreso nell’atto di avere rapporti omosessuali, mentre l’articolo 141 punisce con un massimo di 7 anni di carcere i ‘tentativi’ di avere rapporti con persone dello stesso sesso.

Il 4 agosto di quest’anno la polizia ugandese ha interrotto con la forza il primo Gay Pride mai organizzato nella storia del Paese, nella città di Entebbe, arrestando diverse persone. Lo stesso era accaduto qualche mese prima a Kampala, durante una riunione di attivisti facenti parte della Smug (Sexual Minorities Uganda), la maggior organizzazione per la difesa dei diritti degli omosessuali. A giugno il Ministero per l’Etica e l’Integrità, guidato da Simon Lokodo, ha dichiarato illegali 38 organizzazioni non governative, colpevoli di “distruggere la cultura del Paese promuovendo l’omosessualità”. A settembre il produttore teatrale inglese David Cecil è stato arrestato a Kampala per aver tentato di portare in scena un’ opera di cui è autore, ‘The River and The Mountain’: storia di un giovane ugandese gay che si scontra con la società in cui è cresciuto e finisce per venire assassinato. Il processo a Cecil è in corso in questi giorni.

Il caso più famoso rimane l’omicidio di David Kato, insegnante e membro dello Smug, considerato il padre del movimento per i diritti gay nel Paese. Nell’ottobre 2010 il tabloid ugandese Rolling Stone pubblica una serie di foto di noti attivisti gay, con tanto di nome e indirizzo, e una scritta: “Impiccateli“. Anche David Kato è raffigurato nell’articolo e tre mesi dopo l’uomo viene trovato morto in casa sua, ucciso a martellate. L’arresto dell’autista di Kato e la versione del movente fornita dalla polizia (un diverbio personale) non hanno convinto né le Ong né la comunità internazionale. Al riguardo il presidente americano Obama aveva affermato: “Sono profondamente rattristato di sapere del suo omicidio. David ha dimostrato grande coraggio nello schierarsi apertamente contro l’odio. Era un grande testimone dei valori di uguaglianza e libertà“. Intervistato sulla vicenda, il ministro per l’Etica e l’Integrità Lokodo aveva laconicamente commentato: “Gli omosessuali possono scordarsi i diritti umani. Dovrebbero soffrire della loro malattia restando in casa loro”.

La vicenda che tuttavia ha posto con più evidenza l’Uganda sotto i riflettori internazionali è stata l’ideazione della cosiddetta ‘legge anti-omosessualità‘. Questa legge venne proposta per la prima volta il 13 ottobre 2009 dal parlamentare David Bahati: prevedeva pene più severe per chi venisse scoperto a intrattenere rapporti omosessuali, introducendo anche la pena di morte nel caso in cui il colpevole avesse “reiterato più volte il crimine”, fosse malato di Aids, o qualora il suo partner fosse minorenne. Altri punti della legge: revoca dei permessi alle Ong che appoggiano campagne per i diritti dei gay, obbligo per i cittadini di riferire entro 24 ore ogni tipo di attività di stampo omosessuale di cui sono testimoni (chi non adempie rischia 3 anni di carcere), automatica richiesta di estradizione da parte dello Stato ugandese nei confronti di qualunque suo cittadino che intrattenga rapporti omosessuali al di fuori dei confini del Paese. La legge è stata più volte riproposta, anche in versione ‘ammorbidita’, ovvero escludendo la pena di morte per i condannati e il carcere per i familiari che non denunciano i propri parenti omosessuali. Il presidente ugandese Museveni però è intervenuto affinché la legge non uscisse dalla fase di discussione.

Yoweri Museveni, padre dell’ Uganda democratica (dopo il colpo di Stato che mise fine alla dittatura di Apolo Obote nel 1985), condivide appieno i pregiudizi sui gay tipici del popolo ugandese, ma finora ha evitato di esporsi troppo al riguardo per timore dei danni alla reputazione dell’Uganda sul piano internazionale. Questo non gli ha impedito di firmare nel 2005 un emendamento costituzionale che vieta espressamente il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Nonostante abbia sempre espresso il suo sostegno alla legge anti-omosessualità, Museveni è un politico consumato e sa di non potersi inimicare gli alleati occidentali, in particolare Stati Uniti e Regno Unito. Il presidente americano Obama ha definito la legge “odiosa” e ha minacciato di sospendere gli aiuti allo sviluppo destinati al Paese qualora venga promulgata. Se si considera che gli Stati Uniti hanno fornito all’Uganda più di 500 milioni di dollari dal 2008 a oggi, si comprende la cautela del presidente Museveni che sta utilizzando il dibattito sulla legge anti-omosessualità come esca per dare sfogo ai sentimenti omofobi e anti-occidentali presenti nel suo elettorato, ma soprattutto per stornare l’attenzione dai numerosi scandali economici che macchiano la sua più che ventennale presidenza.

Amnesty International ha inoltre messo in evidenza la violenta campagna anti-gay che diversi pastori evangelici americani hanno portato avanti in Uganda in questi ultimi anni, soffiando sul fuoco di un già violentissimo sentimento omofobo. Il nome più noto è quello di Scott Lively, un fanatico attivista anti-gay americano. David Bahati, l’autore della legge anti-omosessualità, ha ammesso che l’idea di proporla gli è venuta ascoltando un sermone di Lively. Più in generale è stato comprovato il legame tra il presidente Museveni e un’organizzazione cristiano-fondamentalista americana, fortemente omofoba, conosciuta come ‘The Fellowship’, il cui leader Douglas Coe ha identificato in Museveni “il loro uomo-chiave in Africa”.

Nel frattempo la lotta degli attivisti ugandesi sta lentamente ottenendo una maggiore eco internazionale: il direttore di Sexual Minorities Uganda, Frank Mugisha, ha ottenuto il Robert Kennedy Human Rights Award e il Rafto Prize nel 2011, come riconoscimento per la sua lotta in favore dei diritti degli omosessuali. Questo agosto il segretario di Stato Usa Hillary Clinton ha insignito dello Human Rights Defenders Award un’altra organizzazione di attivisti, la Ugandan Civil Society Coalition, con le stesse motivazioni. Poche gocce nel mare se poste di fronte alla spietata persecuzione della minoranza omosessuale che il governo ugandese ha messo in atto.

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