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Volodymyr Zelensky è davvero l’uomo dell’anno?

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Il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, guida il Paese contro l’invasione russa da oltre dieci mesi, tanto che la rivista TIME l’ha messo in copertina eleggendolo “Persona dell’anno“. Ma non tutti sono d’accordo sulle sue capacità e sui risultati raggiunti. TPI ha chiesto alla ricercatrice dell’Istituto Affari Internazionali, Nona Mikhelidze, e allo scrittore di origine russa, Nicolai Lilin, cosa ne pensano.

Perché sì, Nona Mikhelidze: “Rappresenta il suo popolo e si batte per la libertà”

«Il dibattito italiano è molto incentrato su Zelensky, come se l’ufficio del presidente fosse distaccato dalla resistenza civica. Ma non è così». A dirlo a TPI è Nona Mikhelidze, ricercatrice IAI (Istituto Affari Internazionali) che si occupa di Europa orientale. «Uno dei motivi per cui l’Ucraina non ha perso la guerra finora è la resilienza dei cittadini, come abbiamo visto a Kherson. Zelensky rappresenta il popolo ucraino, né di più né di meno. Tutte le sue decisioni hanno rispecchiato la volontà popolare. Le decisioni politiche della presidenza ucraina dipendono anche da questo: secondo i sondaggi, l’88% degli ucraini è convinto che Kiev possa vincere la guerra. In questo senso Zelensky ha un più stretto margine di manovra rispetto a Putin, che non deve rendere conto all’opinione pubblica, chiamata solo ad acclamare le sue decisioni. In Ucraina non funziona così. Inoltre, Zelensky non assume mai da solo le decisioni. A prenderle sono 5 o 6 persone del suo ufficio di presidenza».

Secondo Mikhelidze, valutando i risultati ottenuti dall’Ucraina dall’inizio del conflitto, le scelte di Kiev sono state finora azzeccate. «L’obiettivo iniziale di Zelensky era il ritiro dei russi alle posizioni del 23 febbraio, per poi sedersi al tavolo e rinegoziare le questioni legate allo status di autonomia del Donbass e della Crimea dentro lo Stato ucraino», spiega. «Nei primi incontri tra i negoziatori si è parlato anche di non adesione dell’Ucraina alla Nato e, al contempo, di un accordo sulla sicurezza del Paese, garantito da Stati terzi».

Ma dopo la ritirata russa di fine marzo da alcune regioni del nord, gli obiettivi di Kiev sono cambiati. «La consapevolezza che i russi non sono invincibili e la scoperta del massacro di Bucha modificano del tutto l’approccio ucraino. Zelensky capisce che la questione principale sono le armi e inizia quindi a chiederle con insistenza ai Paesi occidentali». In questa fase, rimarca, «la comunicazione di Zelensky può sembrare fin troppo insistente per alcuni Stati europei: l’impressione è che il presidente ucraino non sia mai soddisfatto. Ma questo si spiega col fatto che Kiev parte dall’idea di chiedere il massimo sforzo possibile, consapevole che verosimilmente otterrà un risultato minore. È come se ogni volta Zelensky alzasse l’asticella. Questo è stato il suo approccio finora. E ha funzionato, perché Kiev è riuscita a ottenere le forniture militari dall’Occidente, e dagli Stati Uniti in particolare».

Sempre in primavera, l’Ucraina ha avanzato la richiesta di adesione all’Unione europea. «In questo caso lo stile di comunicazione di Zelensky è stato legato molto alla contrapposizione tra democrazia e autocrazia», aggiunge Mikhelidze. «Anche da questo punto di vista la sua strategia ha funzionato, perché Bruxelles ha riconosciuto all’Ucraina lo status ufficiale di candidato».

«Ufficialmente sembra non ci sia mai stata su Zelensky una influenza o pressione dagli Usa per andare a negoziare», conclude l’esperta. «Sicuramente a livello “mediatico” esiste questo movimento, ma dai canali ufficiali non sembra ci sia stato alcun ripensamento, come conferma la recente visita di Zelensky a Washington, in occasione della quale sono stati annunciati ulteriori aiuti militari. La nuova mobilitazione che sembra in programma da Mosca difficilmente spingerà verso una diminuzione degli aiuti».

Perché no, Nicolai Lilin: “Non è un leader di pace e non lo è mai stato”

«Persino Putin (nel 2007, ndr) in passato finì sulla copertina di Time». Nicolai Lilin non è un estimatore del presidente ucraino Volodymyr Zelensky e, come emerge dal suo ultimo libro “Ucraina. La vera storia” edito da Piemme, neanche del governo di Kiev.

«Un politico non può essere valutato dalla quantità di video che pubblica su YouTube o su Instagram, ma per i risultati e la qualità della vita raggiunti nel Paese che governa e oggi l’Ucraina è uno Stato fallito che dipende completamente dall’estero», osserva lo scrittore, che non si limita ad analizzare gli ultimi mesi di guerra ma ripercorre gli anni precedenti lo scoppio dell’attuale conflitto.

«È sbagliato dire che Zelensky è un uomo di pace, non lo è mai stato». Eppure secondo l’Osce, da quando l’attuale presidente ucraino è stato eletto nel 2019 – «con elezioni falsate da un conflitto e a capo di un regime nato in maniera anti-costituzionale», tiene a precisare Lilin – le ostilità in Donbass si erano ridotte del 70 per cento.

«Rallentare il ritmo di una guerra che ha provocato 15mila morti non significa volere la pace, se intanto continua il riarmo: Zelensky non ha mai optato per un cambio di strategia e per un vero cessate il fuoco e quindi per la trattativa», prosegue l’autore, il cui intento – dichiara – non è quello di scrivere la sua versione della storia dell’Ucraina.

«Il titolo del mio libro si rifà a una frase dello storico e mio amico Oles Buzina, ucciso nel 2015 da un gruppo di nazisti, rimasti impuniti», ricorda Lilin. «Un omicidio politico, tra i tanti avvenuti in quegli anni, di cui in Occidente non si parla, come si dimentica il massacro di Odessa del 2014, quando decine di manifestanti disarmati rifugiatisi nel Palazzo dei Sindacati furono bruciati vivi da una folla di neonazisti».

Spesso tacciato di filo-puntinismo e di essere un fautore della Russia imperiale, Buzina – ricorda l’amico scrittore – «criticava duramente le scelte del governo ucraino e la glorificazione, ancora in corso, dei criminali nazisti come Stepan Bandera (collaborazionista degli occupanti tedeschi negli anni ‘40, ndr)».

«Oles voleva che raccontassimo tutta la storia, anche le pagine più buie, per imparare a essere indipendenti», rimarca Lilin. «Come ripeteva sempre, il problema dell’Ucraina è che nella propria storia non è stata quasi mai indipendente e quindi è necessario creare una cultura e una politica indipendenti. A Kiev invece hanno scelto di tornare alle radici estremiste per trovare un’identità alternativa», afferma lo scrittore. «Ma l’idea di puntare sul nazionalismo a lungo termine si è dimostrata fallimentare nella gestione di un Paese multietnico, in cui c’è chi si sente ucraino e chi si sente russo, nato all’interno dell’Unione sovietica che si reggeva sui valori dell’internazionalismo».

Non si tratta, spiega, di essere pro o contro Putin. «Io non sono, come dicono, un putiniano, anzi sono critico con il leader russo», conclude. «Ma se l’Ucraina, stretta tra due imperi, avesse imparato dalla storia e sviluppato una cultura della convivenza costituzionale, invece che un campo di battaglia avrebbe potuto essere un luogo di incontro pacifico, di scambio politico, culturale e commerciale, una Svizzera dell’Est: Oles Buzina la chiamava così».

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