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Con l’incidente in Polonia Nato e Russia sono arrivate a un passo dal baratro: è ora di negoziare

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Era già successo in Croazia a marzo, ma stavolta in Polonia c’è scappato il morto. Mosca e l’Alleanza atlantica non sono mai state così vicine alla guerra per le conseguenze del conflitto in corso in Ucraina e per evitare altri episodi simili, non resta che la strada del negoziato

Era il 10 marzo scorso e a Zagabria erano da poco passate le 23 quando un drone carico di bombe si schiantò alla periferia della città, a oltre 570 chilometri dallUcraina. Si trattava di un Tu-141 di fabbricazione sovietica, che negli scontri tra Mosca e Kiev era uscito di rotta e prima di precipitare aveva sorvolato per unora il territorio Nato. In barba a ogni sistema di difesa.

La vicenda, dopo 9 mesi, non è ancora chiarita ma un altro e più grave incidente minaccia una nuova escalation. Se allora la mancanza di feriti gravi fu un miracolo, lo schianto di un missile di fabbricazione russa caduto il 15 novembre in Polonia, a pochi chilometri dal confine ucraino, ha provocato due morti e portato Nato e Mosca sullorlo della guerra. Le prime ricostruzioni facevano pensare a un attacco diretto del Cremlino, il che avrebbe potuto comportare lattivazione dellarticolo 5 del Trattato dellAlleanza e lentrata in guerra di tutti i Paesi membri (Italia compresa), avvicinando il mondo allolocausto nucleare. Le successive informazioni, confermate da Joe Biden, hanno invece accertato che si è trattato, come forse avvenuto anche in Croazia, di un pericoloso incidente dovuto alla contraerea ucraina impegnata a contrastare unondata di 100 raid russi in tutto il Paese. E questo mentre a Bali, in Indonesia, si riunivano i 20 grandi della Terra. Sebbene il mondo abbia tirato un sospiro di sollievo, laccertamento dei fatti non può essere di grande consolazione, anche perché tali episodi sono destinati a ripetersi se il conflitto dovesse proseguire. Guardando al recente passato infatti, il futuro sembra riservare due sole strade: continuare ad alimentare la guerra e una pericolosa corsa al riarmo o accelerare i negoziati per un cessate il fuoco in Ucraina.

Un sistema pieno di falle

Lunica certezza, indipendentemente da chi abbia sparato il missile che ha provocato due morti nel villaggio polacco di Przewodow, a poco più di 6 chilometri dal confine ucraino, è che impedire incidenti simili è impossibile. In primis perché lUcraina non dispone di un sistema di difesa aerea. Malgrado le richieste di Kiev, finora la Nato si è sempre (giustamente) rifiutata di armare il Paese con uno scudo anti-missile e caccia moderni per evitare unulteriore escalation. In secondo luogo poi, se anche Bruxelles cambiasse politica, nessun sistema di difesa potrebbe coprire lintero spazio aereo di un Paese e nulla garantisce copertura contro ogni minaccia balistica. Un esempio è Israele: nonostante disponga di uno dei più avanzati sistemi missilistici del mondo – Iron Dome – lo Stato ebraico non può difendere tutto il suo (piccolo) territorio.

LEuropa poi è coperta da più di un ombrello anti-missile e non tutti garantiscono la stessa qualità. Il principale programma Nato si chiama Ballistic missile defense” ed è stato implementato a partire dal 2010 nellambito della più ampia strategia Integrated Air & Missile Defence”. Il maggior contributo al sistema viene dagli Usa che già sotto la presidenza Obama vararono lo European Adaptive Approach” per integrare lo scudo anti-missile europeo. Lintera struttura, il cui centro di comando si trova a Ramstein, in Germania, si affida a una rete di satelliti, radar e sistemi di intercettazione dislocati tra Turchia, Romania, Polonia e Spagna. A tutto questo, le singole autorità nazionali aggiungono sistemi di difesa propri. Lo scorso mese ad esempio Germania, Paesi Bassi, Belgio, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Bulgaria, Romania, Estonia, Lettonia, Lituania, Finlandia e Norvegia si sono dette interessate a uno scudo antimissile continentale proposto dal cancelliere tedesco Olaf Scholz.

La Polonia invece farà da sé. Nellambito del programma Wisla, nel 2018 ha firmato con gli Usa un contratto da 4,75 miliardi di dollari per l’acquisto di 2 batterie di missili Patriot, a cui nel maggio scorso se ne sono aggiunte altre 6 e i cui primi componenti sono stati consegnati a ottobre. Inoltre, grazie a un accordo con unazienda britannica nellambito del programma Narew, si sta dotando anche di missili Camm, il cui sistema sarà ultimato nel 2023. Intanto, Varsavia sta sviluppando anche le proprie batterie anti-aeree a corto raggio Vshorad mentre, in attesa di completare il riarmo, continua ad affidarsi a sistemi di fabbricazione sovietica come gli S-200, i 2K12 Kub, gli S-125 e i 9K33 Osa.Tutto questo però, nonostante i continui pattugliamenti Nato del confine ucraino, non è bastato a fermare il missile schiantatosi a Przewodow. Le difese anti-aeree sul fianco est dellAlleanza e quelle schierate in Polonia coprono infatti solo i principali centri strategici come Danzica, Elblag, Varsavia e Lublino ma non possono difendere ogni centimetro di territorio. Per questo, lincidente accaduto il 15 novembre potrebbe provocare unulteriore corsa agli armamenti. Daltronde è già successo.

L’Europa al bivio: armi o tregua

A seguito della morte di due persone nel villaggio polacco, il governo di Varsavia ha infatti optato per lattivazione dell’articolo 4 dellAlleanza, che prevede una serie di consultazioni tra gli Stati membri. Nella storia dellAlleanza è avvenuto altre sette volte, lultima proprio a fine febbraio dopo linizio dellinvasione russa. Un precedente in particolare può però illustrare cosa ci aspetta e riguarda la Turchia. Nel 2012, Ankara invocò per ben due volte (prima a giugno e poi a ottobre) l’articolo 4 della Nato. La minaccia allora era rappresentata dallartiglieria oltre il confine siriano, che aveva provocato decine di morti in Turchia. Il tutto si risolse con un progressivo dispiegamento di batterie di missili Patriot nel sud del Paese da parte di Stati Uniti, Germania e Spagna, poi ritirate. Un epilogo simile, se anche la Polonia dovesse farne richiesta, potrebbe avere la vicenda del missile di Przewodow. Ma esiste anche unaltra strada, come insegna un altro precedente, che ancora una volta riguarda la Turchia e risale alla fine del 2015. Nel novembre di quellanno, due F-16 turchi abbatterono un caccia Su-24 russo che, secondo Ankara, aveva sconfinato nella provincia meridionale di Hatay. Labbattimento causò poi la morte di uno dei due piloti russi, ucciso a terra da un gruppo di ribelli siriani, e il decesso di un elicotterista abbattuto a sua volta dalla contraerea locale mentre era impegnato in unazione di recupero del compagno caduto. Fu la prima volta dal 1952 che un esercito della Nato abbatteva un velivolo militare russo, provocando una profonda crisi che avrebbe potuto scatenare unescalation con il Cremlino.

Allora però, nonostante le gravi ritorsioni economiche contro Ankara e sette lunghi mesi di crisi diplomatica tra Mosca e la Turchia, Vladimir Putin si mostrò da subito intenzionato ad attenuare le tensioni e a evitare un confronto diretto con la Nato, proprio come il presidente Joe Biden durante il G20 di Bali allarrivo delle prime notizie dalla Polonia. Il primo passo furono le scuse arrivate alla metà di giugno del 2016 da parte del presidente turco Recep Tayyip Erdogan a cui, nel giro di una settimana, seguì il progressivo annullamento delle ritorsioni economiche russe contro Ankara. Ad agosto poi per la prima volta dallabbattimento del caccia russo, Putin incontrò il Sultano a San Pietroburgo. Da lì nacquero i primi contatti, che nel dicembre 2016 avrebbero portato alla nascita del processo di Astana, che con la mediazione di Turchia, Russia e Iran riunisce da allora intorno a un tavolo il regime siriano e i vari gruppi ribelli. Nonostante questi colloqui si siano rivelati più funzionali alla sopravvivenza della dittatura di Damasco e agli interessi delle tre potenze coinvolte che alla pace in Siria, hanno certamente smorzato le tensioni tra Ankara e la Russia e impedito un confronto diretto tra Mosca e la Nato, malgrado un atto deliberato di guerra. Chissà che non possiamo imparare qualcosa

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