Lo scambio di prigionieri di guerra tra l’Ucraina e i ribelli separatisti
Nel 1943 in questa terra furono decimati gli alpini italiani. A 72 anni di distanza, la stessa terra è teatro degli scontri tra ucraini e separatisti filorussi
Era il 21 febbraio 2015 ma poteva essere il 1943. Centotrenta uomini sfilano di notte sulla linea al fronte. Volti segnati dalla guerra e dalle botte. Sono i prigionieri ucraini che stanno per essere scambiati con altri prigionieri filorussi a Kolobok, un villaggio poco a nord di Pervomaisk in mano ai separatisti. Si trova nel distretto di Lugansk, nell’est dell’Ucraina.
A pochi chilometri da qui, nell’inverno del 1943, gli alpini delle brigate italiane Julia e Cunense venivano decimate dall’assalto dell’Armata rossa, tradite dai tedeschi e abbandonate nel gelo nel disperato tentativo di trovare una via d’uscita dalla sacca della Nikolaevka.
Quelli che marciavano a febbraio sono i prigionieri dell’assedio di Debaltsevo, la battaglia per il controllo dello snodo ferroviario tra le città ucraine di Donetsk e Lugansk. Un’altra sacca che ha intrappolato migliaia di giovani soldati ucraini, anche questa volta senza ordini chiari e senza via di uscita. I rappresentanti delle truppe filorusse presenti a Minsk, al vertice di pace nella capitale bielorussa, avevano già fatto sapere che non avrebbero ritirato l’artiglieria da Debaltsevo.
Agli oltre tremila ucraini intrappolati sotto il fuoco dei filorussi non era rimasta alcuna alternativa, ritirarsi per i campi o essere fatti prigionieri.
E ora marciano nella notte illuminati dai fari delle telecamere, la temperatura sotto lo zero , alcuni di loro con addosso solo una camicia. Uno dei prigionieri indossa un guanto su un piede al posto di una scarpa. Dopo alcuni chilometri appaiono sulla strada soldati delle forze speciali ucraine. L’unico modo per distinguerli è il fiocco blu e giallo che portano al petto. Dietro di loro un’altra lunga fila di uomini che attendono di tornare nelle provincie ribelli.
Si è trattato del primo scambio di prigionieri tra le forze ucraine e i ribelli separatisti filorussi. Gli accordi siglati il 12 febbraio 2015 al vertice di pace di Minsk, a cui hanno partecipato Russia, Ucraina, Francia e Germania, prevedevano tra le altre cose la liberazione di tutti i prigionieri. In quest’operazione sono stati liberati 139 soldati ucraini e 52 separatisti filorussi. I ribelli tuttavia sostengono che il governo di Kiev stia trattenendo altri 580 miliziani filorussi.
Lo scambio
Comincia un lungo appello e uno ad uno i prigionieri sfilano in un corridoio di giornalisti e forze speciali. I soldati ucraini, passati oltre la linea dei loro commilitoni spariscono nel buio.
E poi tocca a loro, alle centinaia di miliziani appena liberati che devono ora percorrere il percorso a ritroso. Sono stati prigionieri per quasi un mese, catturati presso l’aeroporto di Donetsk dove ancora si combatteva. I filorussi liberati ricevono sigarette dai loro commilitoni, fumano camminando sino a raggiungere i camion che li riporteranno a Donetsk e Lugansk.
Alcuni di loro devono essere caricati su barelle e ambulanze poiché non riescono a camminare. Scambiano poche parole con i giornalisti, ma si dicono tutti pronti a tornare al fronte, a continuare la lotta con le forze armate ucraine sino alla liberazione di tutte le province del Donbas.
Chissà se pensano la stessa cosa gli altri, sfilati in senso inverso nel buio ucraino. Destini uguali, anche se a senso inverso. Destini di soldati catturati e poi liberati in una guerra che assomiglia a tutte le guerre, soprattutto a quelle che in passato non hanno risparmiato questa terra.