Tutte le sanzioni contro la Turchia già in atto dopo l’attacco contro i curdi in Siria
Tutte le sanzioni contro la Turchia già in atto dopo l’attacco contro i curdi in Siria
L’occidente sta sanzionando la Turchia per l’attacco militare ai curdi nella Siria nord orientale, iniziato lo scorso 9 ottobre. Condanne internazionali all’offensiva di Erdogan sono arrivate da tantissimi paesi, Ue e Usa in primis.
Ma quali sono le sanzioni già comminate alla Turchia dopo l’avvio dell’offensiva contro i curdi? Una panoramica delle posizioni dei vari paesi in merito all’attacco di Erdogan in Siria:
Le sanzioni degli Stati Uniti
Il presidente americano Donald Trump ha firmato oggi, 15 ottobre 2019, il decreto con cui dà il via libera alle sanzioni Usa alla Turchia. Le sanzioni sono indirizzate a tre alti funzionari del governo turco: il ministro della Difesa, Hulusi Akar, il ministro dell’Interno, Suleyman Soylu, e il ministro dell’Energia, Fatih Donmez, oltre ai ministeri della Difesa e dell’Energia nel loro insieme.
Gli Stati Uniti hanno detto inoltre che aumenteranno i dazi sull’acciaio sino al 50 per cento e fermeranno i negoziati per un accordo commerciale con Ankara da 100 miliardi di dollari.
“Sono totalmente pronto a distruggere rapidamente l’economia turca se i leader turchi continuano su questa strada pericolosa e distruttiva”, ha detto Trump nelle scorse ore.
Intanto, il capo del Pentagono Mark Esper ha annunciato che la prossima settimana gli Stati Uniti chiederanno alla Nato di prendere misure collettive e individuali, economiche e diplomatiche contro la Turchia. Il provvedimento di Trump consentirà di introdurre anche “altre potenti sanzioni a coloro che sono coinvolti in gravi abusi dei diritti umani, che ostacolano il cessate il fuoco, impediscono agli sfollati di ritornare a casa, rimpatriano forzatamente i rifugiati o minacciano la pace, la sicurezza o la stabilità in Siria”.
La posizione della Germania
La Germania è tra i paesi che hanno bloccato l’export di armi alla Turchia. Ma le sanzioni economiche non sono all’ordine del giorno. “Il nostro interesse in questa difficile questione è rimanere in contatto con la Turchia attraverso il dialogo”, ha dichiarato il portavoce del governo tedesco Steffen Seibert a proposito della posizione del governo tedesco sulla possibilità di sanzioni economiche alla Turchia.
L’azienda tedesca Volkswagen intanto ha congelato la sua decisione sulla costruzione di uno stabilimento automobilistico in Turchia dopo l’operazione militare di Ankara nel nord della Siria. L’investimento era stimato in 1,3 miliardi di euro e la fabbrica avrebbe dovuto produrre 300mila automobili, per un totale di 5mila posti di lavoro, ma tutto è stato rimandato e l’azienda tedesca ha detto che segue con preoccupazione le notizie che arrivano dalla Siria.
Austria: “Altro che sanzioni, cancelliamo il processo di adesione alla Ue della Turchia”
Per l’Austria l’unica vera “sanzione” necessaria è quella di troncare il processo di adesione della Turchia all’Unione europea. “È un’ironia che si stia discutendo di sanzioni e misure come l’embargo di armi contro un Paese che è formalmente impegnato nel dialogo di adesione con l’Ue. Come austriaci pensiamo che questi negoziati per l’adesione, che abbiamo congelato in questi ultimi due o tre anni, grazie al nostro governo, sia ora cancellato formalmente”, ha detto il ministro degli Esteri austriaco Alexander Schallenberg.
La decisione della Uefa sulla finale di Champion’s league
L’hashtag #NoFinaleChampionsaIstanbul è diventato virale dopo l’invasione della Turchia nel nord della Siria. In tanti stanno chiedendo di annullare la partita come sanzione all’offensiva di Erdogan, ma per la Uefa è ancora prematuro parlare di annullare la finale di Champion’s league in programma il 30 maggio 2020 allo stadio Ataturk di Istanbul. “Revocare una finale è un atto forte. Penso che ora non siamo nemmeno nelle condizioni di discuterne, ha detto Michele Uva, vicepresidente dell’Uefa.
Lo stop alla vendita delle armi alla Turchia
Fin dai primi giorni dell’attacco, molti paesi occidentali hanno vietato, o hanno annunciato che vogliono vietare la vendita di armi alla Turchia dopo l’inizio dell’offensiva di Ankara in Siria, a danno dei curdi che popolano la zona del Rojava. La decisione deriva dalla convinzione che l’invasione del nordest della Siria lanciata da Recep Tayyip Erdogan costerà cara alla popolazione curda, che è stata in prima fila nella lotta contro i terroristi dell’Isis in Siria. L’obiettivo di questi paesi è dissociarsi dall’attacco contro la popolazione curda e fare pressione sul presidente turco, affinché ponga fine all’offensiva militare.
Nella giornata del 14 ottobre 2019 il Consiglio dei ministri degli Esteri della Ue ha condannato l’azione militare della Turchia che “mina seriamente la stabilità e la sicurezza di tutta la regione”. La Ue sancisce “l’impegno degli Stati a posizioni nazionali forti rispetto alla politica di export delle armi”. Nel documento dei ministri Ue si richiede poi un “incontro ministeriale della Coalizione internazionale contro Daesh”.
Nella stessa giornata, anche l’Italia ha annunciato la fine dell’export di armi ad Ankara, ma mantiene tuttavia attiva la missione Nato al confine con la Siria (qui tutti dettagli).
Sanzioni alla Turchia: il boicottaggio dei prodotti turchi
Negli ultimi giorni è diventato virale un appello per chiedere il boicottaggio dei prodotti turchi, come forma di protesta all’offensiva di Erdogan contro i curdi. Smettere di comprare ciò che arriva dalla Turchia per non essere complici della violenza contro il popolo curdo. Il post che circola su Facebook e gli altri social dice che i prodotti turchi sono riconoscibili dal numero 869 del codice Ean, l’European Article Number, che identifica ciascun prodotto. Ma non è esattamente così.
L’Ean è la sequenza numerica che si trova sotto i codici a barre: le prime tre cifre sono associate al Paese di provenienza, le successive 4 cifre all’indirizzo del fornitore, poi ce ne sono cinque che descrivono il contenuto e poi un numero di controllo. Il codice 869 è effettivamente associato alla Turchia, ma non indica necessariamente il luogo di produzione, quanto piuttosto il luogo di registrazione del marchio.