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Cina, turismo o morte nella Via della Seta

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Lo Xinjiang è una delle principali mete del 'turismo rosso'. Strano a dirsi, per una regione martoriata da decine di test nucleari

Qual è la nuova frontiera del ‘turismo rosso’ della Cina? Non è la Città Proibita di Pechino, né l’avveneristico quartiere Pudong di Shanghai, non è la Xi’an incantata dell’Esercito di Terracotta dell’imperatore Qin Shi Huang e neppure la zona archeologica di Dazu con i suoi santuari rupestri. La nuova attrazione turistica cinese si trova nel punto più lontano in assoluto dalla costa, nel mezzo del polo eurasiatico dell’inaccessibilità, nella provincia autonoma dello Xinjiang.

Una terra antica che per millenni ha ospitato gli insediamenti di popolazioni giunte da ogni confine dell’Asia, dai nomadi indoeuropei alle genti di lingua iranica, turca e proto-mongola. Che la provincia nordoccidentale fosse un confine strategico non è una novità: le autorità centrali lo ribadirono già nel 1884, quando quella regione oltre la Grande Muraglia fu ufficialmente inglobata nell’Impero di Mezzo e battezzata proprio con il nome Xinjiang, che significa ‘nuova frontiera’. In Cina tutti lo sanno: se “lo Xinjiang è perduto, la Mongolia è indifendibile e Pechino è vulnerabile”. I vecchi orientamenti cinesi non sono cambiati. Nell’ultimo ventennio il governo ha concentrato i propri sforzi in quell’area pianificando un’intensa campagna per lo sviluppo, focalizzata su “ristrutturazione e cambio di crescita economica, costruzione di infrastrutture e protezione dell’ambiente”, come ha affermato l’Ufficio del Consiglio di Stato. Nel documento programmatico sullo Sviluppo e Progresso nello Xinjiang emanato nel 2009 si registra una crescita media annua regionale più alta del 10,6 per cento rispetto al 2000, favorita dall’incremento della produzione industriale, soprattutto nel settore petrolchimico e del carbone.

Anche il sistema infrastrutturale è stato rinvigorito con la costruzione di 8 autostrade nazionali, 66 interprovinciali e più di 600 a livello di contea. Inoltre è stato rinforzato il sistema di comunicazione aerea, 114 percorsi di volo interni e internazionali si irradiano da Urumqi e collegano 70 città cinesi ed estere e 12 prefetture nello Xinjiang. Tuttavia, per accelerare lo sviluppo della periferia il governo centrale punta sulle risorse turistiche regionali e, strano a dirsi, più su quelle antropiche e artificiali che su quelle naturali della desolata piana desertica, che nel 2008 ha ospitato oltre 22 milioni di visitatori. L’agenzia di stampa governativa Xinhua di recente ha annunciato che Pechino è pronta a spendere circa 1 milione di dollari per bonificare l’ex sito atomico di Malan nel Lop Nur e trasformarlo in una meta di ‘turismo rosso‘, per rispondere al crescente interesse dei cinesi “per la storia e la visita alle ex basi rivoluzionarie”.

Quale memoria storica si può ritrovare nel Lop Nur? I ripari sotterranei dai raid aerei che si snodano per mille metri di lunghezza, i laboratori, i dormitori della base nucleare dove è stata detonata la prima bomba atomica cinese nel 1964, un dato di grande importanza nazionale. Il sito dello Xinjiang era il centro focale del segretissimo Progetto 596, avviato nel giugno 1959 nel pieno della crisi sino-sovietica e che ha portato la Cina a diventare la quinta potenza nucleare. Dal 1964 al 1996 ci sono stati almeno 46 test nucleari nella distesa del grande lago salato di Lop Nur. Il Dott. Enver Tohti, oncologo uiguro, era solo un bambino quando nel 1973 vide scomparire per tre giorni il sole e la luna, il cielo velarsi del color della terra e una strana polvere discendere come pioggia sui villaggi e la gente. Gli dissero che quella pioggia proveniva da Saturno e solo quando lungo la Via della Seta passò la morte seppe che quell’acquerugiola di fango era polvere radioattiva.

Leucemia, linfomi maligni, danni e malformazioni fetali, malattie degenerative, demenza e disabilità psichica: le cartelle cliniche hanno dimostrato che il tasso di malati di cancro nella regione è il 30-35 per cento più alto rispetto alla media nazionale. Questo è l’effetto degli esperimenti nucleari che hanno contaminato acqua, suolo e sangue della popolazione locale, gli uiguri. Secondo una stima non ufficiale sarebbero almeno 200 mila le vittime e 1,5 milioni i colpiti dal materiale radioattivo.

Nel 2008 la Xinhua ha riferito l’intenzione del governo di sovvenzionare segretamente le cure dei militari coinvolti nei test atomici, ma non è riservato lo stesso trattamento alla popolazione civile, per lo più senza assistenza sanitaria. Rispetto a Chernobyl il livello di plutonio liberato nell’aria è 6 milioni di volte più alto, eppure dell’impatto devastante che il nucleare ha avuto sullo Xinjiang non se ne è parlato abbastanza e tantomeno se ne parlerà ora che è diventata un’area turistica. A Pechino rassicurano che i programmi nucleari sono stati sospesi già dal 1996, ma gli uiguri lanciano l’allerta ai turisti e denunciano la compravendita di scorie nucleari provenienti da altri Paesi, poi sotterrate nel sottosuolo. Visto da questa provincia ferita, il costo umano della nuova frontiera del turismo rosso cinese sembra immenso.

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