In piazza per İmamoğlu: così la Gen Z scuote la Turchia

L’arresto del sindaco di Istanbul, leader dell’opposizione, ha scatenato la più grande ondata di proteste dell’ultimo decennio. A guidarle sono ventenni che non hanno mai visto un governo diverso da quello di Erdoğan. “La repressione è forte, ma la scintilla non si deve spegnere”
Se sali su un Uber a Istanbul e chiedi all’autista cosa ne pensa del suo sindaco, verosimilmente si volterà a guardarti con un misto di stupore e gioia. Immaginare cittadini di Roma, Milano, Napoli o Torino euforici all’idea di parlare del proprio sindaco è difficile perché inverosimile. È altrettanto difficile descrivere cosa significa Ekrem İmamoğlu per la città che amministra.
Quando sono partito per l’Erasmus in Turchia alcuni familiari dicevano che dovevo mettere da parte l’attivismo, che era come andare in Russia o in Egitto. Sbagliavano. La società civile turca è ampia e variegata. La stampa spezzata ma non piegata. L’opposizione ancora forte, al punto che governa in tutte le grandi città del Paese.
Quando vivevo lì, pensavo che Istanbul stesse alla Turchia come Berlino sta alla Germania. Sbagliavo. Sia in Germania che in Turchia vivono un po’ più di 80 milioni di persone. Solo che Berlino fa 4 milioni di abitanti, mentre Istanbul – dopo il terremoto – quasi 20. Un tedesco su venti vive a Berlino, quasi un turco su quattro vive a Istanbul.
Quello che accade sul Bosforo, cambia la vita politica del Paese. Il 19 marzo İmamoğlu, principale rivale del presidente Erdoğan, è stato accusato di «aver fondato un’organizzazione criminale finalizzata alla corruzione» ed è stato arrestato insieme a circa centro tra presidenti di municipi, consiglieri e politici a lui vicini.
Sabato 22, circa 300.000 persone hanno sfidato l’emissione di un divieto a manifestare, che in teoria la Costituzione turca garantisce. Ogni sera, per una settimana, migliaia di persone si sono date appuntamento davanti al Palazzo di Città a Saraçhane per chiedere la libertà di İmamoğlu e le dimissioni di Erdoğan.
Mobilitazione
Nonostante il controllo di quest’ultimo sulla magistratura, sui servizi, sull’esercito e su ogni altro braccio dello Stato, dal 2019 İmamoğlu è riuscito a vincere tre volte le elezioni (la prima è stata annullata dal governo) nella città più grande sul Mediterraneo. La convinzione è che Erdoğan, spaventato dalla naturale decisione di İmamoğlu di candidarsi alle presidenziali del 2028, abbia voluto fermarlo con accuse pretestuose.
Nelle prime tre settimane dopo il suo arresto, circa 2000 persone sono state arrestate. Non alle manifestazioni, ma a casa loro: la polizia ha utilizzato il nuovo sistema di riconoscimento facciale per collegare i volti dei manifestanti ai loro numeri di cittadinanza, ed è andata a prenderli all’alba, in classico stile dei regimi.
Tra loro, dieci giornalisti: Yasin Akgül, Ali Onur Tosun, Baris Ince, Zeynep Kuray, Kurtulus Ari, Hayri Tunç, Murat Kocabas, Gökhan Kam, Zisan Gür e Bülent Kiliç.
A Istanbul, Ankara, Izmir, la polizia ha usato idranti, lacrimogeni, spray al peperoncino, proiettili di gomma, e commesso diffuse violenze, trascinando manifestanti per i capelli e picchiandoli mentre erano a terra. Alla giornalista Ebru Celik i poliziotti hanno strappato il badge identificativo, tolto la maschera e sparato direttamente sugli occhi il gas urticante.
Sabato 29 marzo, a dieci giorni dall’arresto del sindaco, un’immensa folla ha inondato Maltepe, nel lato asiatico di Istanbul, per l’evento “Freedom for İmamoğlu”. Il suo partito, il Chp, sostiene che abbiano partecipato 2,2 milioni di persone, mentre le autorità locali hanno dichiarato che ce n’erano 150.000. Utilizzando l’applicazione MapChecking, Turkey Recap stima che nel luogo designato potessero essere presenti da 500.000 a un milione di persone.
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La piazza è stata uno sfogo della policrisi che da alcuni anni destabilizza la vita delle persone in Turchia: declino economico, inflazione, terremoto, mancanza di prospettive, retromarcia democratica. Il Chp ha definito l’arresto di İmamoğlu un «golpe» e ha lanciato un piano d’azione racchiuso in tre strumenti: una petizione per chiedere il rilascio del sindaco, manifestazioni due volte a settimana – a Istanbul ogni mercoledì e in un’altra città a turno nel weekend – e un boicottaggio di larga scala alle aziende e ai media filogovernativi.
Martedì 2 aprile locali ed esercizi commerciali in tutto il Paese hanno chiuso per protesta o sono rimasti aperti – temendo di subire una multa – non effettuando servizio al tavolo. Diversi concerti, tra cui quello dei Muse a giugno, sono stati annullati a causa del boicottaggio al circuito di vendita, ritenuto vicino al governo.
Erdoğan attribuisce ai boicottaggi i dati negativi dell’economia turca, che hanno avuto un ulteriore crollo dopo l’arresto di İmamoğlu, e accusa l’opposizione di essere «così disperata da gettare il Paese e la nazione nel fuoco».
I giovani non ci stanno
Alle proteste hanno partecipato persone di ogni etnia ed estrazione sociale, ma la loro forza trainante risiede nei giovani. La Gen Z nel 2013 non aveva l’età per partecipare alle ultime grandi proteste in Turchia, partite da gruppi ambientalisti contro la costruzione di un centro commerciale sopra il Parco Gezi di Istanbul e divenute un più ampio movimento antigovernativo violentemente represso.
Gli universitari, nati poco dopo il 2000, sono l’anima di questa nuova mobilitazione. Non lo fanno solo per İmamoğlu, lo fanno per il loro futuro. Perché hanno vent’anni e in nessuno di questi c’è stato un governo diverso da quello di Erdoğan.
«Ero alla primissima protesta quando gli studenti hanno superato le recinzioni erette dalla polizia. E si poteva sentire nell’aria: abbastanza è abbastanza. Se possono arrestare il sindaco della nostra città, a noi la polizia potrà tranquillamente uccidere», dice a TPI una delle studentesse più attive della Galatasaray University, che preferisce rimanere anonima.
Gli atenei sono in fermento: studenti e professori di Bogazici, Yildiz, Hacettepe, Odtu e Istanbul Teknik hanno annunciato il boicottaggio delle lezioni, sit-in di protesta e raduni. Fino a qualche anno fa le università erano tra i pochi luoghi ancora liberi, dove la polizia non entrava, dove i professori si esprimevano in modo chiaro – purché non registrati – e dove c’erano le uniche aree informalmente adibite per chi vuole fumare un po’ d’erba. Da quando il governo ha iniziato a nominare i rettori, anche questi ultimi luoghi sicuri sono stati messi in discussione.
«Quella di Galatasaray è un’università multiculturale e diversa al suo interno, in cui di solito è difficile realizzare qualcosa di collettivo e organizzato. Ma questa volta le cose stanno cambiando. Chiunque è preoccupato dal fatto che la protesta possa essere repressa, che i nostri amici possano rimanere in carcere. Ognuno, al meglio delle proprie capacità, fa del suo meglio perché la scintilla non si spenga», ci dice ancora la studentessa. «Io ho l’asma, l’ultima volta che la polizia ci ha lanciato addosso diversi lacrimogeni pensavo di morire. Per questo motivo non posso stare in prima linea, ma posso aiutare in altro modo. Con degli amici abbiamo aperto una piccola infermeria nell’università per prenderci cura degli studenti che subiscono le violenze della polizia».
Secondo una rilevazione dell’istituto di sondaggi turco Konda, il 73% dei turchi sostiene la protesta. Significa inevitabilmente che anche alcuni elettori dei partiti al governo disconoscono l’arresto di İmamoğlu.
«C’è questo senso di collettività, di appartenenza a una comunità che come studenti cerchiamo di sostenere», conclude la studentessa. «Ogni giorno, in tutto il mondo, le politiche identitarie diventano più significative, ma allo stesso modo lo diventa la solidarietà».