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Home » Esteri

Comincia in Turchia il processo a due professori accusati di terrorismo

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La polizia turca reprime le proteste di alcuni manifestanti nel giorno dell'inizio del processo contro due professori accusati di appartenere a un'organizzazione terroristica di ispirazione marxista-leninista. Credit: Reuters

Nuriye Gulmen e Semih Ozakca, licenziati a seguito del tentato colpo di stato del luglio 2016, sono stati arrestati a maggio 2017 e da allora, per protesta, portano avanti uno sciopero della fame

È iniziato oggi 14 settembre 2017 ad Ankara, in Turchia, il processo al professore di letteratura Nuriye Gulmen e all’insegnante di scuola elementare Semih Ozakca, accusati entrambi di far parte di un’associazione di ispirazione marxista-leninista, il Fronte rivoluzionario di liberazione popolare turco.

L’organizzazione è considerata un gruppo terroristico dal governo di Ankara, dall’Unione europea e dagli Stati Uniti. I due imputati erano stati licenziati a seguito del tentato colpo di stato fallito in Turchia nella notte tra il 15 e il 16 luglio 2016.

A maggio 2017 i due uomini sono stati arrestati e da allora, per protesta, hanno cominciato uno sciopero della fame per sensibilizzare l’opinione pubblica internazionale riguardo la situazione delle circa 150mila persone che, dal luglio 2016, sono state sospese dal proprio impiego o licenziate nel paese.

I due professori sono tenuti in vita tramite alimentazione forzata, ma i medici turchi li hanno definiti “pericolosamente debilitati”. Gli imputati non hanno partecipato alla prima udienza del processo, così come non erano presenti i loro avvocati.

Secondo la Gendarmeria turca infatti, nonostante le loro condizioni fisiche, se gli accusati fossero stati portati in tribunale avrebbero potuto tentare la fuga. Inoltre, nell’ultima settimana le autorità giudiziarie turche hanno emesso 18 ordini di arresto per altrettanti avvocati del team legale che difende Gulmen e Ozakca.

Proprio queste misure hanno provocato la reazione di una parte della società civile turca. “Il primo ostacolo a un processo equo contro Gulmen e Ozakca è proprio la detenzione dei loro avvocati. Questo è un velato tentativo di intimidazione e un’aperta violazione del loro diritto alla difesa”, ha detto Baris Yarkadas, parlamentare del Partito popolare repubblicano turco (CHP) che si oppone al presidente Erdogan.

Fuori dal tribunale di Ankara erano infatti presenti diversi parlamentari del CHP, insieme ad alcuni membri del partito filo curdo HDP, a un centinaio di avvocati e a decine di manifestanti.

La protesta è stata subito repressa dalle forze di sicurezza turche, che hanno utilizzato gas lacrimogeni e cariche della polizia per disperdere la folla. Le autorità hanno arrestato almeno 20 dimostranti, dopo averli trascinati via dal luogo delle proteste.

Membri delle forze di polizia turche sono stati schierati all’interno e all’esterno del tribunale per evitare nuove manifestazioni a sostegno dei due imputati e contro le politiche del governo di Ankara.

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan accusa il suo ex alleato l’imam Fetullah Gülen, che vive negli Stati Uniti, di aver organizzato il colpo di stato del luglio 2016 e da allora ha dato il via a una serie di purghe a tutti i livelli dello stato e della società.

Ad agosto 2017, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha respinto la richiesta dei due insegnanti di essere liberati per motivi di salute. “La detenzione dei due insegnanti non costituisce un rischio imminente e reale per la vita dei due imputati”, si può leggere nella sentenza della Corte.

Durante la repressione ordinata da Erdogan, in seguito al tentativo di colpo di stato fallito, sono stati arrestati almeno 50mila tra giornalisti, membri dell’opposizione e funzionari pubblici.

Da allora diversi gruppi di attivisti per i diritti umani e gli alleati occidentali della Turchia accusano il governo di Ankara di aver utilizzato il colpo di stato come pretesto per mettere a tacere il dissenso e imprigionare gli oppositori politici del partito di governo, l’Akp.

Ankara afferma invece che la repressione e la sospensione delle normali garanzie democratiche si è resa necessaria a causa della gravità della minaccia che si è trovata ad affrontare.

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