La Turchia ormai si è abituata al peggio, e lo considera normale
Il golpe è tanto inumano quanto lo è la barbara decapitazione di un soldato per mano di alcune delle persone che sono scese in piazza chiamate da Erdogan
F: “Il mio volo per tornare a Istanbul è domani ma non so che fare”
D: “Non saprei cosa consigliarti”
F: “Ma in generale la situazione lì com’è?”
D: “Oggi è tutto normale”
Oggi è tutto normale.
È il 16 luglio. Sono le 9 del mattino in Italia, a Istanbul sono già le 10 e fino a qualche ora prima militari golpisti e polizia si stavano ancora confrontando violentemente. Intorno a loro, orde di persone scese in piazza dopo che il presidente Erdogan aveva chiamato la popolazione ad opporsi alle parti dell’esercito che stavano tentando di portare a termine un colpo di stato.
Se fosse riuscito, sarebbe stato il quinto in novantaquattro anni di storia repubblicana. Cinquantasei anni dopo il primo golpe che portò all’impiccagione pubblica di Adnan Menderes, premier della Turchia eletto democraticamente e per la prima volta non più rappresentante del partito che aveva dominato la scena politica nei precedenti 27 anni, il Partito Repubblicano del Popolo del fondatore della Repubblica Turca Mustafa Kemal autoproclamatosi “Atatürk”, il padre dei turchi.
La violenza del tentato colpo di stato del 15 luglio si può misurare nelle quasi 300 persone che hanno perso la vita durante poche ore di scontri furiosi a Istanbul e per le strade della capitale, Ankara, dove il parlamento è stato bombardato. L’orrore di questo intervento militare è negli occhi della presentatrice della Tv pubblica costretta a leggere in diretta il comunicato in cui l’esercito dice che ha preso il controllo del paese “per portare la pace e ristabilire la posizione nazionale e internazionale della Turchia”.
Il golpe è tanto inumano quanto lo è la barbara decapitazione di un soldato per mano di alcune delle persone che sono scese in piazza chiamate da Erdogan. In alcuni casi, la polizia che ha bloccato i golpisti ha salvato alcuni dei militari dal linciaggio della folla impazzita che si era riversata nelle strade. Il trauma fatto di esplosioni, colpi di arma da fuoco e aerei militari che passano a pochi metri dalla propria testa non abbandonerà gli abitanti di Istanbul e di Ankara per tutta la loro vita.
Sono le 9 del mattino in Italia e sto scrivendo un messaggio a un’amica che mi invita a tornare a Istanbul perché “oggi è tutto normale”. In Turchia oggi è normale che il tuo collega di lavoro ti denunci alla polizia perché hai condiviso su Facebook qualcosa che non gli piace (ed è normale che per questo la polizia ti convochi in centrale o che ti accusi di avere insultato il presidente con un tuo post).
È normale che un giornalista venga condannato a più di 5 anni di carcere per degli articoli che ha scritto e una volta uscito dal palazzo di giustizia un uomo gli spari tentando di ammazzarlo o per dare un avvertimento. È normale che un negoziante qualsiasi ti dia del terrorista se quando ti chiede che lavoro fai gli dici che scrivi per un giornale o lavori nell’informazione.
In Turchia è normale andare a una manifestazione e morire per mano della polizia o a causa di qualcuno che si fa esplodere in nome di qualcosa di assurdo e inaccettabile. Non è certo normale morire a causa di un attentato terroristico ogni giorno ma, dopo più di 15 attacchi nel paese in 12 mesi, è perfettamente normale salire sui mezzi pubblici e guardare qualcuno sospettando che sia un attentatore suicida.
Visitare le attrazioni turistiche di Istanbul senza fare la coda perché non ci sono più turisti, o trovarsi quasi da soli nello splendore dei mosaici cristiani che si fondono con l’arte islamica sui muri di Santa Sofia è diventato perfettamente normale.
“Oggi è tutto normale”. E adesso questa normalità è una delle chiavi più importanti per capire la Turchia.