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Tunisia, la rivoluzione fallita

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"Quasi una rivoluzione. Perché le cose nel Paese non sono poi così cambiate". Parla Meriem Dhaouadi, tunisina di uno tra i più influenti blog al mondo

Tunisia la rivoluzione fallita

Dall’esterno la Tunisia, il piccolo Paese che ha ispirato il mondo arabo alla rivolta, si sta muovendo verso una democrazia sostanziale. I manifestanti, di tutti i ceti sociali, sono scesi nelle strade del Paese e con una voce sola hanno gridato: “Le persone chiedono la caduta del regime“. Anche se le richieste erano cristalline – “posti di lavoro, libertà e dignità” – l’attuale governo di coalizione, formato da Ennahda dopo le elezioni di ottobre del 2011, è stato praticamente paralizzato. Queste istanze sono state vigorosamente supportate dall’attuale leadership durante i giorni della campagna elettorale. Oggi il ‘governo legittimo’ sta lavorando giorno e notte per negarle.

Decaduta sotto Ben Ali e ancora ai margini due anni dopo la rivolta popolare, Siliana, circa 120 chilometri a sud di Tunisi, è stata testimone mercoledì di una seconda giornata di scontri tra gli abitanti della città e le forze di polizia, che ha causato oltre 200 feriti. Proteste simili hanno avuto luogo in diverse parti della Tunisia, in particolare nelle regioni interne. L’obiettivo è ricordare al governo le priorità del popolo e la frustrazione per i lenti miglioramenti nello sviluppo e nella prosperità economica. L’atteggiamento ostile delle autorità nei confronti delle manifestazioni ha quindi incrementato la sfiducia del popolo in una possibile ‘rinascita’ sociale.

Il giro di vite sui manifestanti non ha scoraggiato il popolo di Siliana a protestare per il terzo giorno consecutivo, per chiedere le dimissioni del governatore, la liberazione dei detenuti arrestati ad aprile, e l’attuazione di progetti che potrebbero dare impulso allo sviluppo della regione. I sindacati hanno invitato a manifestare e gli abitanti di Sililana hanno aderito in massa. Secondo i medici dell’ospedale di Siliana, diciannove persone sono rimaste parzialmente o totalmente accecate durante gli scontri con la polizia.

Quello che la classe dirigente non sembra capire è che la loro risposta violenta alle istanze sociali rinforzerà ancora di più la determinazione da parte del popolo a reclamare la rivoluzione perduta. Si è spesso pensato che l’eredità di Ben Ali fosse finita, ma è palesemente vero il contrario. Un attento esame della retorica dei capi della coalizione di governo rivela che lo stesso tono minaccioso è ancora vibrante. “Il governatore di Siliana è qui per restare”, ha affermato il primo ministro della Tunisia Hamadi Jebali in un’intervista radiofonica. Per giustificare i loro fallimenti, i funzionari del governo hanno spesso puntato il dito contro le macchinazioni cospirazioniste orchestrate da alcuni elementi ‘controrivoluzionari’.

Solo pochi mesi fa, ad agosto 2012, Sidi Bouzid, il luogo di nascita della cosiddetta ‘primavera araba’, è stato teatro di violenti scontri tra le forze di sicurezza e alcune persone impegnate in un sit-in per chiedere il miglioramento della qualità di vita. Ancora una volta, gas lacrimogeni e proiettili di gomma sono stati la risposta per affrontare la frustrazione della gente. Il ministro dell’Interno Ali Laarayedh ha accusato i partiti politici e l’opposizione di manipolare le masse. Il semplice fatto che le persone esercitino il proprio diritto di protesta è stato percepito ancora una volta con sospetto, come un complotto orchestrato. L’esclusione dal processo decisionale, la povertà e l’alto tasso di disoccupazione sono state tra le principali forze trainanti che hanno portato le masse in piazza contro Ben Ali: ora vivono ancora in condizioni simili, e continuano a chiedere giustizia sociale.

La coalizione di governo accusa tutti gli altri del calvario che ha afflitto la città di Siliana, e non è disposta ad assumersi le proprie responsabilità per gli scontri. La mentalità vittimista del governo è radicata nella convinzione che ‘noi’ – il governo e i suoi sostenitori – siamo le forze della virtù, mentre ‘loro’ sono le forze del male, che ostacolano il progresso dei rappresentanti della virtù. In una conferenza stampa tenuta giovedi, il capo dell’ufficio del partito politico Ennahda ha ironicamente giustificato l’uso delle armi contro i manifestanti per proteggere le strutture pubbliche e ha notato che le munizioni utilizzate sono state importate da Paesi democratici. Il fatto di usare armi fatte in Paesi democratici, come l’Italia o gli Stati Uniti, legittima la repressione delle proteste che reclamano la giustizia sociale?

L’immagine negativa della brutalità della polizia è ancora vibrante nella mente e nel cuore dei tunisini. Purtroppo, la riforma delle forze di sicurezza sembra muoversi al rallentatore, come tutto il resto in questo Paese. Violazioni dei diritti umaniabusi durante le proteste e nelle carceri si verificano ancora in Tunisia, mentre il governo chiude un occhio.

Recentemente, la World Bank e l’African Development Bank hanno entrambe annunciato prestiti consistenti per supportare la Tunisia, inclusi aiuti anche per le regioni svantaggiate. Il prestito della World Bank è di 500 milioni dollari e il prestito della African Development Bank è di 387.6 milioni di dollari. L’aiuto estero riuscirà a promuovere la stabilità economica e allo stesso tempo la prosperità di un Paese che lotta per raggiungere la libertà e l’uguaglianza sociale?

In passato, Ben Ali e il suo clan calcolarono male la volontà e la forza del popolo di plasmare il proprio destino. Che cosa succederà in futuro è possibile prevederlo, il recente passato ci serve da guida. Il regime di Ben Ali ha fatto affidamento sulle forze di polizia e sulla violenza per aggrapparsi al potere, il popolo ha invocato mezzi non violenti di protesta per reclamare diritti. La pazienza dei tunisini finirà per esaurirsi, non tollereranno il ritorno delle pratiche del regime che hanno rovesciato da due anni. Hanno abbattuto il muro di paura che li aveva privati a lungo della loro dignità di esseri umani.

Meriem Dhaouadi è una blogger e attivista tunisina, laureanda in Lingua e Civiltà presso l’Università di Tunisi. Scrive per opendemocracy.net. e Nawaatun blog tunisino nato nel 2004 che ha coperto i recenti disordini e la rivoluzione nel Paese, presto trasformatosi in un motore di informazione senza censura importantissimo per tutto il nord-Africa. Nel 2011, Nawaat ha vinto tre importanti premi: The Reporters Without Borders Netizen Prize, The Index on Censorship Award, The Eff 2011 Pioneer Award. Ha inoltre rifiutato il premio Arab eContent Award 2011, in segno di protesta per la censura nel Bahrein e l’arresto di centinaia di attivisti e blogger. Tra i fondatori di Nawaat c’è Sami Ben Gharbia, un blogger e attivista tunisino, co-fondatore anche di Tunileaks. Foreign Policy lo ha indicato tra i 100 pensatori più influenti nel mondo per il 2011.

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