Russiagate: Mueller valuta di portare Trump davanti al gran giurì
Il procuratore speciale ha avvertito i legali del presidente che se Trump si rifiuterà di rispondere alle sue domande potrebbe emettere un mandato di comparizione
Il procuratore speciale statunitense Robert Mueller, titolare dell’inchiesta sul Russiagate, ha avvertito che potrebbe emettere un mandato di comparizione per il presidente americano Donald Trump, se questi si rifiuterà di collaborare con le indagini.
L’ipotesi è stata esposta dal procuratore durante colloqui avuti con gli avvocati di Trump nel mese di marzo. Lo riposta il quotidiano statunitense Washington Post.
Se il presidente dovesse rifiutarsi di rispondere alle domande degli inquirenti, Mueller potrebbe obbligarlo a testimoniare davanti al gran giurì.
La scorsa settimana l’ex sindaco repubblicano di New York, Rudy Giuliani, che di recente ha preso il timone del team legale di Trump, ha incontrato il procuratore proprio per discutere di un’eventuale comparizione del presidente.
Durante i colloqui con Mueller i legali del tycoon avevano insistito sul fatto che il presidente non è obbligato a rispondere alle domande degli inquirenti federali.
Quanto alla possibilità che Trump invochi il Quinto Emendamento per evitare di rispondere, l’emittente televisisiva Cnn cita due fonti secondo cui ci sono prima molte “questioni costituzionali” che devono essere appianate.
Le domande di Mueller
Nei giorni scorsi il quotidiano New York Times ha pubblicato la lista delle domande che Mueller intende rivolgere al presidente, oltre quaranta interrogativi.
Le domande riguardano i rapporti di Trump con i suoi famigliari e i suoi collaboratori, il licenziamento del direttore dell’Fbi James Comey e del primo consigliere per la sicurezza nazionale, Michael Flynn, nonché i rapporti con il ministro della Giustizia Jeff Sessions.
Ma anche l’incontro avvenuto alla Trump Tower nel 2016, durante la campagna elettorale per le presidenziali, tra i suoi più fidati collaboratori dell’allora candidato repubblicano ed emissari della Russia su presunte notizie diffamanti relative all’avversaria democratica alle elezioni, Hillary Clinton.
Nella lista di domande preparata da Mueller c’è anche il genero di Trump, Jared Kushner, marito della figlia Ivanka e consigliere del presidente, accusato di aver tentato di stabilire una comunicazione privilegiata con Mosca.
Il presidente ha criticato il New York Times per aver pubblicato le domande. “Sembrerebbe molto difficile ostacolare la giustizia per un crimine che non è mai accaduto”, ha scritto su Twitter.
It would seem very hard to obstruct justice for a crime that never happened! Witch Hunt!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) May 1, 2018
Il caso Russiagate
Il procuratore speciale Robert Mueller sta indagando sulle presunte interferenze della Russia sulle elezioni presidenziali americane del 2016, ma sull’eventuale collusione tra il Cremlino e la campagna elettorale di Trump e sull’ipotesi che il presidente abbia tentato illegittimamente di ostacolare l’inchiesta.
L’indagine è partita dall’Fbi all’inizio del 2017.
Mueller è stato nominato procuratore speciale dopo il licenziamento del direttore dell’Fbi, James Comey, lo scorso maggio.
Trump ha sempre smentito qualsiasi collusione tra la sua campagna elettorale e Mosca.
I primi sospetti su un appoggio di Vladimir Putin al tycoon sono nati durante la campagna per le primarie del partito Repubblicano, che Trump vinse nonostante fosse fortemente osteggiato dalla maggioranza del suo partito.
Nel marzo 2016 Trump ha nominato Paul Manafortmanager della sua campagna elettorale e Carter Page suo consulente, due figure date molto vicine alla Russia.
La “bomba”, però, è scoppiata quando durante la campagna elettorale per le presidenziali alcuni hacker russi hanno pubblicato i contenuti di mail dell’entourage dell’avversaria democratica di Trump, Hillary Clinton.
Da neo presidente Trump ha nominato il generale dell’esercito in pensioneMichael Flynncome consigliere per la sicurezza nazionale e Jeff Sessions come ministro della Giustizia.
Successivamente Flynn, in un colloquio con il vicepresidente Mike Pence, ha omesso di aver incontrato l’ambasciatore russo negli Stati Uniti, Sergey Kislyak, per discutere riguardo alle sanzioni inflitte dall’ex presidente Obama al governo di Mosca.
Questa mancanza ha costretto Flynn a lasciare la poltrona, innescando l’inchiesta dell’Fbi e della commissione istituita dal Congresso per far luce sui rapporti di Trump e del suo staff con la Russia.
Dopo Flynn è toccato a Sessions, che di fronte al Senato ha negato di aver mai incontrato l’ambasciatore russo Kislyak, venendo poi smentito da altre fonti.
Nel frattempo era giunto un rapporto di un ex agente dei servizi segreti del Regno Unito che rivelava l’esistenza di un dossier realizzato proprio dai russi allo scopo di ricattare Trump.
Nelle pagine di questo rapporto si parlerebbe degli affari poco chiari del tycoon a Mosca e di comportamenti sessuali poco adeguati che metterebbero in seria difficoltà il presidente.
A maggio 2017 Trump ha di licenziato il capo dell’Fbi, James Comey, nominato a suo tempo da Obama, ma che in campagna elettorale aveva tirato fuori una vecchia inchiesta contro la famiglia Clinton.
Il presidente ha successivamente ammesso di aver condiviso con il ministro degli Esteri russo Lavrov informazioni riservate inerenti al tema terrorismo.
In audizione al cospetto del Senato, Comey ha dichiarato come non ci sono dubbi sul fatto che la Russia abbia interferito nelle elezioni presidenziali statunitensi, accusando Trump di aver mentito.
A giugno 2017 il Washington Post ha rivelato che Trump è indagato per ostruzione alla giustizia. La notizia è stata così confermata dal presidente: “Sono indagato per aver licenziato il direttore dell’Fbi dall’uomo che mi ha detto di licenziare il direttore dell’Fbi!”, ha scritto Trump su Twitter.