Rivoluzione rosa in Pakistan: aprono 1000 tribunali per difendere le donne vittime di violenza
Tribunali donne violenza Pakistan | “Avremo 1.016 tribunali per la violenza di genere in tutto il Pakistan, almeno uno in ogni distretto. L’atmosfera in queste corti sarà diversa dalle altre, così che chi denuncia un reato possa farlo senza paura”.
È l’annuncio, rivoluzionario, che arriva da Asif Saeed Khosa, giudice capo del Pakistan, alla guida della Corte suprema.
Il Pakistan, uno dei paesi al mondo dove la violenza sulle donne è una vera e propria piaga sociale, prova a dare un taglio netto con il passato istituendo oltre mille tribunali in tutto il paese dove si potranno difendere i diritti delle donne: picchiate, violentate, segregate soprattutto tra le mura domestiche.
Come riporta Amnesty nel suo report annuale, la violenza contro donne e ragazze nel Paese è continuata, anche attraverso gli omicidi compiuti da parenti in nome dell’ “onore”. Nel 2018, nella provincia nordoccidentale di Khyber Pakhtunkhwa, 94 donne sono state uccise da parenti stretti. In numerosi casi, le autorità non hanno avviato indagini né hanno chiamato a rispondere i responsabili.
Sistemi di giustizia paralleli e informali hanno continuato a indebolire lo stato di diritto e a emettere “verdetti” ingiusti che punivano donne e ragazze.
Un caso tristemente famoso, balzato sulle cronache italiane nel 2018, è quello di Sana Cheema, a ragazza italo-pakistana uccisa il 18 aprile del 2018.
Sana Cheema, 25 anni, di origini pakistane ma cresciuta in Italia, è stata uccisa per aver rifiutato un matrimonio combinato.
A maggio il padre, secondo i media locali, aveva confessato l’omicidio della figlia con l’aiuto di uno dei figli maschi: la ragazza si opponeva a un matrimonio con un suo parente.
L’autopsia disposta aveva rivelato che alla ragazza era stato spezzato l’osso del collo.
Il 15 febbraio 2019 il Tribunale distrettuale di Gujrat, nel nord-est del Pakistan, ha assolto gli imputati. Per questo risulta fondamentale creare percorsi di giustizia che siano equilibrati e portino a colpire i colpevoli di violenze e omicidi.
La legge del 2016, che ha introdotto punizioni per i cosiddetti “delitti d’onore”, equiparandoli all’omicidio, si è dimostrata inefficace. La legge, che prevede la pena di morte, autorizzava il giudice a decidere se il crimine era “basato sull’onore”. In alcuni casi, nel corso del 2017, l’accusato è riuscito a convincere che il motivo fosse un altro ed è stato perdonato dalla famiglia della vittima, secondo le norme qisas e diyat, che consentono di “pagare il sangue” e comprare il perdono invece di essere puniti.
La ong Human Rights Commission of Pakistan ha riportato 845 violenze sessuali contro le donne per l’anno 2018, un numero che tiene conto soltanto degli episodi denunciati, che sono una piccolissima parte. Botte, stupri, incesti, ma anche aggressioni con l’acido, rapimenti per matrimoni forzati, delitti d’onore: le donne pachistane sono vittime di soprusi sia nelle loro famiglie d’origine sia in quelle acquisite con il matrimonio. La loro condizione è simile a quelle di tantissime altre realtà tradizionaliste.
Questa svolta, se veramente venissi attuata, la decisione di Islamabad sarebbe un segnale per l’intera regione dell’Asia meridionale, dall’Afghanistan al Bangladesh.
La strada, però, è ancora lunga e difficile. Nel 2019 Women’s Liveability Index, che stabilisce per paese il livello di vivibilità per le donne, il Pakistan si è piazzato al terzultimo posto (98 su 100).