Tra Israele e Libano
La Blue Line che separa i due Paesi è quanto meno labile, dove si gioca parte della stabilità del medio oriente
Un ragazzino libanese che fa il bagno nel fiume a ridosso della Blue Line, senza accorgersi di averla superata. Un pastore che segue il suo gregge e commette lo stesso errore. L’agricoltore che va a raccogliere il frutto del suo lavoro oltre il limite segnato da un Blue pillar.
È su questioni apparentemente di poco conto, sulla linea armistiziale che divide il Libano da Israele, denominata appunto Blue Line per il colore dei pilastri posti a delimitare gli incerti confini tra i due Paesi mediorientali, che si decide un futuro di guerra o di pace. Il sospetto tra le due parti, anche per un piccolo errore, potrebbe rialimentare vecchie scintille e il fuoco che cova sotto la cenere divampare nuovamente.
È dal 1978 che i due Paesi dirimpettai non riescono a mettersi d’accordo su praticamente nulla ed è da quella data che si è resa necessaria nell’area la missione Unifil (United Interim Force in Lebanon), ampliata nel 2006 dall’Onu dopo il riesplodere del conflitto israelo-libanese. Dunque anche quelle che sembrano piccole e insignificanti violazioni della Linea blu devono essere monitorate attentamente.
Bisogna prevenirle prima che accadano. Ora che si avvicina l’estate, con i bambini che vanno a nuotare al fiume e i campi che richiedono la mietitura, è su questi temi che si gioca la stabilità dell’area. La sede in cui programmare l’accordo tra le parti, affinché Israele non faccia scattare l’intervento armato su tali questioni, è il tavolo tripartito tra Libano, Israele e vertici Unifil. Un “rito” che si rinnova ogni mese e che, in questo giugno, avrà luogo il giorno 18, nella base 1-32 alfa, sulla stessa Blue line.
Ognuna delle parti contrapposte, Libano e Israele, accede alla sede dell’incontro dalla sua porzione di territorio. Scale separate, tavoli che non si toccano tra loro a simboleggiare una distanza incolmabile, ai quali i convenuti siedono dando le spalle ognuno alla Patria dell’altro.
In mezzo, a comporre le diatribe e a sedare gli animi, il comandante di Unifil, generale Paolo Serra. “Il nostro compito è mantenere le violazioni a livello zero. Prevenire le piccole e grandi questioni che potrebbero degenerare. Conosciamo le cause di scontro che variano da stagione a stagione, quindi dobbiamo fare in modo di trovarci preparati”.
Sulla linea immaginaria segnata dai “bidoncini blu” che demarcano l’ideale confine mai approvato definitivamente da Libano e Israele dopo il ritiro di quest’ultimo, tanti sono ancora gli episodi che creano tensioni. Solo lo scorso anno, il 15 dicembre, un soldato libanese ha ucciso un militare israeliano, rischiando di innescare reazioni a catena.
A causa di motivazioni economiche – la linea blu taglia in due porzioni di terreno ricche di risorse idriche o, a volte, particolarmente interessanti per la fecondità del suolo – la contrattazione sul tema sarà ancora lunga. “Su 570 pilastri da incanalare, solo sul posizionamento di 360 di essi si è raggiunto un accordo”, spiega il generale Serra.
Numeri che danno l’idea di quanto il processo sia ancora ben lontano dal concludersi, considerato che la trattativa per ogni singolo “pillar” è estenuante e che anche su quelli già posizionati esistono continue revisioni. Lo scivolamento del terreno dovuto alle piogge è solo l’esempio di uno dei motivi che di solito sono sufficienti a riaprire la disputa su quale fosse la sua posizione originaria e per affermare che le distanze vanno ristabilite daccapo.
La stabilità del medio oriente si misura anche così. A volte in pochi centimetri che separano la ragione della pace dalla follia dell’infinito conflitto.