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Il Marocco è davvero più sicuro dell’Italia e dell’Europa in termini di terrorismo?

Immagine di copertina

L'omicidio e lo stupro di due turiste europee in Marocco ha sollevato il problema della sicurezza nel regno africano. I dati però mostrano che il paese è più sicuro in termini di attentati rispetto agli Stati Uniti e ai maggiori paesi europei.

Questa settimana, due turiste scandinave di 24 e 28 anni sono state violentate e uccise in Marocco nella regione montuosa dell’Alto Atlante. Gli investigatori, che hanno già arrestato 4 persone accusate degli omicidi, sospettano il coinvolgimento del terrorismo jihadista in questa vicenda. I quattro sospetti avevano infatti giurato fedeltà al sedicente Stato Islamico.

Le autorità del paese africano temono ora che questi omicidi possano intaccare il turismo, mentre l’opinione pubblica in diversi paesi europei si chiede se nel regno non stia aumentato il rischio in termini di terrorismo.

Il Marocco non subisce attentati dal 2015?

Eppure i dati degli ultimi anni raccontano un’altra storia: il Marocco risulta infatti un paese più sicuro in termini di attentati rispetto a Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Spagna e addirittura Italia. Secondo il Global Terrorism Index 2018, redatto ogni anno dal centro studi australiano Institute for Economics & Peace (IEP), tutti questi paesi risultano più a rischio del regno africano in termini di terrorismo.

Rabat occupa quest’anno la 132esima posizione su 161 paesi nella classifica delle nazioni più pericolose per impatto del terrorismo, con un profilo di rischio “molto basso”. L’Italia risulta 69esima perché considerata un paese a rischio “basso”, mentre altre nazioni come Spagna (50esima), Grecia (45esima), Germania (39esima), Russia (34esima), Francia (30esima) e Regno Unito (28esimo) presentano tutte un profilo di rischio “medio”, per non parlare degli Stati Uniti, che occupano la 20esima posizione, perché considerati ad “alto” rischio attentati.

Il paese africano, che risulta più sicuro persino dei paesi d’origine delle due escursioniste uccise, Danimarca (100esima) e Norvegia (123esima), ha addirittura guadagnato nove posizioni rispetto al rapporto del 2017, mentre gli Stati Uniti ne hanno perse dodici, il Regno Unito sette e la Spagna addirittura trentasei.

attentati terroristici nel 2017

Nella foto: Mappa degli attentati terroristici avvenuti nel mondo lo scorso anno (elaborata secondo i dati del Global Terrorism Database)

Secondo il National Consortium for the Study of Terrorism and Responses to Terrorism (START), un centro di ricerca dell’Università del Maryland, negli ultimi cinque anni in Marocco si è verificato un solo incidente definito “terroristico” secondo gli standard internazionali.

Il Global Terrorism Database (GTD), che dal 1970 raccoglie dati in merito agli attentati compiuti in tutto il mondo, definisce un attacco terroristico come “l’uso minacciato o effettivo della forza e della violenza illegale da parte di un attore non statale per raggiungere un obiettivo politico, economico, religioso o sociale attraverso la paura, la coercizione o l’intimidazione”.

Secondo questa definizione, l’anno scorso si sono verificati 10.900 attentati in tutto il mondo, in diminuzione del 20 per cento rispetto all’anno precedente, che hanno provocato 26.445 vittime, il 24 per cento in meno rispetto al 2016.

Il 35 per cento di questi attacchi è stato effettuato in Medio Oriente e Nord Africa, dove sono morte il 41 per cento delle vittime, mentre il 31 per cento degli attentati è avvenuto in Asia meridionale, che ha registrato il 29 per cento dei morti. Il 18 per cento degli attacchi si è verificato invece nell’Africa sub-sahariana, dove sono morte il 25 per cento delle vittime. Secondo questi dati, nessun attentato è avvenuto in Marocco né nel 2016 né nel 2017. Se dovesse essere confermato come un attacco terroristico, l’omicidio e lo stupro delle due turiste scandinave sarebbe il primo attentato condotto nel regno africano dal 2015, almeno secondo le autorità, sulle cui dichiarazioni si basano i dati pubblicati dal GTD.

Quali strategie di contrasto al terrorismo ha adottato il Marocco?

Il più sanguinoso attentato condotto negli ultimi anni nel regno è avvenuto il 28 aprile 2011 a Marrakech, la città dove sono stati arrestati i sospetti autori dell’omicidio delle due escursioniste scandinave. Quell’attentato uccise 17 persone, tra cui 11 cittadini europei. Due imputati furono allora condannati a morte e altri sette a varie pene detentive per il loro “coinvolgimento dimostrato” nell’attacco, che però fu il primo dal 2009.

Dal maggio 2003 infatti, dopo una serie di attentati suicidi perpetrati da dodici diversi terroristi che provocarono 33 vittime, Rabat ha adottato una nuova politica che ha portato: al rafforzamento del proprio apparato di sicurezza, con conseguenze anche sulla repressione del dissenso interno, a una maggiore supervisione della predicazione religiosa, e alla criminalizzazione dei viaggi all’estero allo scopo di combattere in conflitti armati. Queste misure hanno portato all’arresto di 3.000 persone e alla condanna di oltre 1.000 imputati per terrorismo negli ultimi 15 anni.

Anche il dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha elogiato le iniziative intraprese dal Marocco nel suo ultimo rapporto sul terrorismo globale. Washington ha apprezzato in particolare il coordinamento con altri stati della regione e con i paesi europei riguardo le indagini su presunti membri di cellule jihadiste.

Secondo il centro studi australiano Institute for Economics & Peace (IEP), una delle migliori strategie attuate dal regno per il contrasto al terrorismo riguarda le campagne di “de-radicalizzazione” dei soggetti a cui si rivolge la propaganda dei gruppi jihadisti.

Il Marocco ha infatti istituito un programma per contrastare l’estremismo violento e la contro-narrazione offerta da predicatori radicali. Secondo l’ong locale Morocco on the Move, questa politica prevede “il rinnovamento e l’ammodernamento delle moschee, la pubblicazione di elenchi ufficiali di imam e la revisione delle leggi che governano i luoghi di culto”.

Queste iniziative, unite al potenziamento del sistema repressivo, hanno dato risultati in termini di contrasto al fenomeno. Le autorità marocchine annunciano di frequente lo smantellamento di “cellule terroristiche” nel regno. Soltanto a dicembre, il ministero degli Interni ha rivelato di aver sgominato due gruppi affiliati al sedicente Stato Islamico, composti in totale da 9 miliziani che preparavano attentati nel paese africano.

Secondo il ministro degli Esteri marocchino, Nasser Bourita, nel 2017 almeno 343 attacchi terroristici sono stati segnalati in Africa, in cui sono state uccise oltre 2.600 persone. Nello stesso anno, l’ufficio centrale per le indagini giudiziarie (BCIJ) del Marocco ha smantellato 9 “strutture terroristiche” e “neutralizzato 186 sospetti terroristi”, senza subire alcun attentato sul suolo del regno.

A novembre, il ministro dell’Interno marocchino Noureddine Boutayeb ha rivelato che dal 2002 il paese ha smantellato un totale 185 reti terroristiche e fermato oltre 8.000 sospetti in operazioni anti-terrorismo condotte in tutto il regno. Tra le reti smantellate, oltre 50 avevano legami con altri gruppi attivi in Afghanistan, Pakistan, Iraq, Siria e nel Sahel.

Quali sfide deve affrontare il paese?

Una delle maggiori sfide che deve affrontare il regno in questo ambito è il ritorno dei propri cittadini che si sono recati a combattere in Iraq, Siria e Libia, che nel 2015 era stimato in almeno 1.600 persone. Secondo il direttore dell’anti-terrorismo marocchino, Abdelhak Khiam, “alcuni di questi sono caduti in attentati suicidi o sono stati uccisi dalle forze della coalizione internazionale, ma il resto è fuggito in altri paesi”.

Il problema del ritorno dei foreigh fighters è legato al rilascio, deciso dal governo nel 2011, di alcuni sospetti membri di gruppi estremisti a seguito delle proteste di piazza durante la cosiddetta “Primavera araba”. Il calo del numero degli attentati è indicato dal governo marocchino come una conferma della bontà del proprio programma di reinserimento dei soggetti radicalizzati, ma non è chiaro quanti di questi furono realmente reintegrati nella società e quanti partirono invece per “combattere la jihad” in altri paesi.

Secondo l’African Center for Strategic Studies, le politiche sopracitate hanno effettivamente ridotto il rischio di attentati, non permettendo ad esempio a gruppi terroristici come al-Qaeda per il Maghreb Islamico (AQMI), che ha la sua base in Algeria e compie attentati dal Mediterraneo al Golfo di Guinea, di stabilire una propria presenza nel regno.

Tuttavia, il Marocco presenta alcune zone problematiche sia nel sud che nel nord del paese. La disputa che coinvolge anche Algeri e altri paesi della regione riguardo il Sahara occidentale rischia infatti di aumentare l’esposizione di Rabat al terrorismo. In questo senso, i campi profughi controllati dal Fronte indipendentista Polisario, presenti nel sud ovest della vicina Algeria, possono rappresentare un rischio per il Marocco.

Lo scorso anno, l’ex segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon, ha espresso la propria preoccupazione per l’esposizione dei giovani saharawi al reclutamento da parte di “reti criminali e terroristiche”. A queste preoccupazioni Rabat ha risposto con l’aumento della presenza militare al confine con la Mauritania e con il lancio di un programma di investimenti per sviluppare le infrastrutture della zona e integrarle con quelle del resto del paese, una mossa definita colonialista dagli indipendentisti, secondo cui l’iniziativa lanciata dal re Mohammed VI nel febbraio 2016 mira a impedire l’autodeterminazione del territorio conteso.

Un altro focolaio di tensioni riguarda il nord del Marocco, da dove provengono almeno 600 dei 1.500 foreign fighters partiti dal regno per combattere con gruppi jihadisti in altri paesi dell’Africa e del Medio Oriente. Questa zona è stata teatro di diverse proteste sociali negli ultimi due anni, che hanno portato a una serie di arresti e processi eccellenti, in particolare nella regione del Rif, dove la maggioranza della popolazione appartiene al gruppo etnico berbero.

Quanto sono credibili i dati sugli attentati?

Va ricordato che Rabat è impegnata nel contrasto al terrorismo anche per ragioni economiche. Il turismo infatti potrebbe risentire fortemente di nuovi attentati nel paese, come avvenne nel 2003 in seguito agli attacchi di Casablanca.

Il settore contribuisce al 10,5 per cento del Pil del regno ed è quello che fornisce maggiori opportunità di lavoro dopo l’agricoltura, con il 4,6 per cento della forza lavoro occupata direttamente in aziende turistiche e il 9,9 per cento grazie all’indotto. Nel 2017, il Marocco ha registrato un numero record di turisti con 11,35 milioni di visitatori.

Secondo l’impresa privata di servizi segreti statunitense Stratforquando sono coinvolti i turisti le autorità di Rabat sono sempre riluttanti a definire gli attacchi come atti di terrorismo.

Il 5 ottobre 2017 infatti la polizia del paese ha attribuito ai disturbi mentali dell’aggressore l’accoltellamento di tre turisti olandesi e un agente di polizia avvenuto a Casablanca. Allo stesso modo, le autorità attribuirono all’abuso di stupefacenti un’aggressione simile compiuta nel novembre 2015 ai danni di alcuni turisti tedeschi a Fez.

Eppure, i problemi di salute mentale di un aggressore o le attività criminali precedentemente compiute non precludono il sostegno di questi soggetti a gruppi estremisti o legami con organizzazioni terroristiche, come dimostrato già da altri casi avvenuti in passato.

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